Firenze – Gli investimenti in Toscana proseguono e fanno bene anche al tessuto delle tante piccole e medie imprese. Nuovi investimenti ci sono stati anche in questi mesi difficili di congiuntura internazionale, con gli scambi commerciali frenati dalla pandemia in corso. Investimenti italiani e investimenti stranieri.
E’ quanto risulta dai dati di Invest Tuscany, la struttura della presidenza della Regione attiva da dieci anni, discussi oggi nel corso di un incontro on line al quale hanno preso parte il presidente della Toscana Eugenio Giani, il sottosegretario allo sviluppo economico Gian Paolo Manzella, che presiede anche il Comitato interministeriale degli investimenti esteri (Caie). Discussi anche gli scenari per il futuro prossimo: dall’economia verde alla trasformazione digitale, dal ritorno in Italia (grazie proprio all’evoluzione tech) di imprese che avevano delocalizzato, al Recovery Fund.
l trend, probabilmente sottostimato, dal 2015 ad oggi rivela una crescita costante di investimenti in Toscana, non solo stranieri: 35 per 1,4 miliardi il primo anno, 68 per 2,5 miliardi nel 2016, 97 investimenti per 2,3 miliardi di euro nel 2017, 99 per 1,9 miliardi nel 2018 e 104 per 2,7 miliardi nel 2019. Si tratta di investimenti che hanno generato anche posti di lavoro.
Nel 2020, con dati ancora parziali, già ne sono stati registrati 52 (il 56 per cento italiani e il 44 per cento stranieri) per un valore complessivo di circa un miliardo: per poco più della metà acquisizioni, per poco meno di un terzo espansioni di aziende che già operavano, per il 15 per cento nuovi investimenti. Ne sono un esempio la posa del “primo albero” del nuovo stabilimento della Fendi Factory a Bagno a Ripoli, l’inaugurazione virtuale del nuovo centro logistico Ups a Prato, il riscatto congiunto di Inso dalla procedura di amministrazione straordinaria tramite Fincantieri e Sici Sgr, con un coinvolgimento indiretto di Regione Toscana.
Dove si investe di più? Se ci concentriamo sul solo 2020 il settore della moda guida la classifica con il 29 per cento, seguito da scienze della vita (17 per cento), turismo (15 per cento) e mercato immobiliare (10 per cento). E’ trainante l’area fiorentina, dove si concentra il 44 per cento degli investimenti, seguita da Pisa (17 per cento), Arezzo (13 per cento) e Siena (6 per cento). Tra il 2018 e il 2020 sono stati firmati una quarantina di protocolli d’intesa tra Regione, amministrazioni locali ed imprese e negli stessi tre anni “Invest in Tuscany” ha fornito assistenza a circa sessanta progetti di investimento. In questa fase di rallentamento l’attività si è concentrata sull’assistenza e l’attività di relazione con imprese già presenti nella regione, in modo da favorire progetti di espansione e scongiurare possibili disinvestimenti. Ma si è lavorato anche sulla comunicazione, per rilanciare l’immagine di un territorio ricco di opportunità.
Il modello di attrazione messo in campo dalla Regione Toscana dimostra dunque di funzionare. “Invest in Tuscany” sull’attrazione degli investimenti è n modello, snello e dai buoni frutti, che ha fatto scuola in Italia, tra gli esempi di buona pratica nello scenario nazionale come lo stesso sottosegretario Manzella aveva già evidenziato nel 2019 e come ritengono pure molte imprese e diversi osservatori indipendenti. Fdi Markets- Financial Times ha attestato come, nel quinquennio 2014-2018, la Toscana – subito dopo Lombardia e Lazio – sia stata la terza regione per investimenti diretti esteri in Italia. Secondo un’altra analisi di Ernst & Young – Oco Global nel 2018 la Toscana è stata addirittura la seconda regione in Italia, dopo la Lombardia, per capacità di attrarre investimenti dall’estero.
Lo ‘sportello’ di “Invest in Tuscany”, che fa capo direttamente alla presidenza della Regione, fu messo in campo nel 2010 ed è stato rafforzato nel 2016, snello (visto che vi lavorano una decina di persone) e con una ricetta in fondo semplice ma efficace: dare risposte veloci, risolvere problemi e diventare punto di riferimento credibile a disposizione di chi già in Toscana c’era e voleva crescere e di chi in Toscana voleva venire, aiutando gli uni e gli altri a farsi strada nella ragnatela della burocrazia e delle competenze ripartite spesso in modo complicato tra più amministrazioni, prendendo letteralmente ‘per mano’ l’investitore.
Il conto aggiornato vede oggi presenti in Toscana 785 società che appartengono a 573 gruppi a controllo estero. Due anni fa erano, rispettivamente, poche più di settecento e cinquecento. Sono dunque cresciute. Il 59 per cento fa capo all’Unione europea, il 17 per cento all’America settentrionale e il 9 per cento all’Asia orientale. Per numerosità delle imprese il primo Paese investitore sono gli Stati Uniti d’America (144 società), seguiti dalla Francia (130) e dal Regno Unito (73). Per fatturato la classifica però si muove ed è la Francia a salire sul podio più alto, con 9 miliardi di euro nel 2018, seguita dagli Stati Uniti (quasi 4 miliardi). La Svizzera vale 2 miliardi e 841 milioni (51 le società), la Germania 1 miliardo e 736 milioni, il Giappone 1 miliardo e 349 milioni e la Cina (29 società e 26 gruppi) poco più di un miliardo. La Francia primeggia anche per numero di addetti, con oltre 20 mila.
Il 29 per cento di tutte le società attive in Toscana riconducibili a gruppi stranieri operano nel manifatturiero, il 20 per cento nel commercio all’ingrosso. Generano complessivamente quasi 28 miliardi di fatturato – erano 25 un paio di anni fa – ed impiegano 62 mila addetti, cresciuti negli ultimi anni di seimila unità.
Le multinazionali che scelgono la Toscana lo fanno per la qualità della ricerca, la competenza della forza lavoro, la coesione sociale e la stabilità istituzionale.