Dramma industriale: storia del salvataggio del Pignone grazie a La Pira e Mattei

Festa del teatro a San Miniato nel segno del “bene comune”

Il palcoscenico naturale di Piazza del Duomo accoglie l’ultimo atto della Festa del Teatro, promosso dall’Istituto del Dramma Popolare. Una festa dunque più che un festival, partecipata e condivisa, da sempre legata a una drammaturgia, classica o contemporanea che sia, che oltrepassa i confini della “forma” per interrogarsi sul “contenuto”. Una drammaturgia di sostanza, ma non necessariamente severa, che si interroga e invita lo spettatore a riflettere.

Nata nel 1947  all’indomani della guerra, in un momento spartiacque per la ricostruzione, non solo materiale, del nostro Paese, la Festa di San Miniato ha interpretato, esplorato, coniugato, anno dopo anno, le traiettorie di un teatro che si guarda “dentro”, oltre la facciata della rappresentazione, fuori da ogni pregiudizio o schematismo confessionale. Da quella prima volta, quando fu Giorgio Strehler ad aprire il sipario con un allestimento di “Assassinio nella cattedrale” di Eliot rimasto memorabile, molte cose sono cambiate, impianto tecnico e perimetro di indagine, più duttile e accogliente, ma non è cambiata la filosofia, ancorata a quello che fin da subito si definì come “teatro dello spirito”, ma dialettico e aperto al confronto, in anticipo sulle trame di quel dialogo interreligioso che il Concilio Vaticano II avrebbe poi fatto proprie.

In questa prospettiva, all’insegna di “Bene comune tra politica, giustizia e libertà”, triade che fa da bussola e segnalibro alla Festa 2023, si colloca “Dramma industriale”, il testo di Riccardo Favaro per la regia di Giovanni Ortoleva che la 77esima edizione della Festa ha tenuto a battesimo (repliche fino a mercoledì 26 luglio) con unanime consenso. Favaro e Ortoleva sono giovani, pressoché coetanei: trevigiano classe 1994 l’uno, fiorentino classe 1991 l’altro.

Con consapevole estraneità e spavalda emotività fanno i conti con Giorgio La Pira, sindaco di Firenze dal 1951 al 1956. Figura complessa, sciamanica e ardimentosa, di La Pira Favaro e Oroleva restituiscono un ritratto di incondizionata attualità. Quello che, al di là del suo spendersi per una convivenza pacifica oltre le nubi della guerra fredda, mosse tutto il suo impegno di “primo cittadino” a favore dei più deboli, in nome di quel cristianesimo sociale esplorato al fianco di Giuseppe Dossetti, padre Balducci, don Milani, don Facibeni.

“Dramma industriale” fotografa l’autunno 1953, quando i duemila operai del Pignone rischiarono il licenziamento. La storia di ieri, la storia di oggi. La Pira, nelle drammatiche giornate che seguirono l’occupazione della fabbrica, riuscì nell’impresa di compattare un fronte politico e civile per la salvaguardia dei posti di lavoro. Sarà l’Eni dell’amico Enrico  Mattei a tendergli la mano, rilevando lo stabilimento.

La scrittura di Favaro è incalzante, febbrile. Il ritmo è spezzato, qua e là telegrafico, fra telefonate, interviste, dialoghi e passi a due, domande incrociate destinate a fluttuare nell’aria (nella coscienza?) in attesa di risposte, ragion di stato, solidarietà, valori etici, moralità e conflittualità, ma immerso in un magma onirico, una fascinazione traumatica che libera La Pira da santificazioni e altarini, smorza la parabola evangelica per farne una sorta di profeta disarmato del proletariato, un concentrato di caparbietà e volontà, di ostinazione e determinazione, che supera la “verità” dei fatti, le altalene del tempo, le alchimie, più o meno diplomatiche, dei reali protagonisti.

Il sogno di La Pira è quello di Martin Luther King: ma, almeno nell’immediato, toccato dal lieto fine. Illuminato dalla grazia, indomito e sorprendente, il La Pira di Favaro e Ortoleva si muove fra Bernanos, Brecht, Danilo Dolci, Ken Loach. La regia vive di assalti e allucinazioni, asseconda il ritmo convulso della vicenda che si gioca a scacchi attorno al tavolo della trattativa (il tempo stringe, che ne sarà di noi?) e così il girotondo entra nella sfera della contemporaneità, la più vicina, il mondo del lavoro che si scopre sempre più debole, senza paracadute.

All’orizzonte non ci sono novelli La Pira che possano sovvertire il pronostico. I casi Whirlpool o Gkn ne sono la controprova. La classe politica, oggi più di ieri, è solo una sfilata di “cadaveri eccellenti” che, come inermi manichini, calano dall’alto, neanche buoni per un posto di seconda fila al museo delle cere. Eccellenti ma vitalissimi erano i cinque interpreti, Stefania Medri, Stefano Braschi, Marco Cacciola, Christian La Rosa, Edoardo Sorgente, chiamati da Orloeva a estraniarsi, con sintonia rabbiosa, dai rispettivi ruoli.

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