Da Orbetello nasce la speranza per le acque malate

Le risposte italiane per salvare le lagune

Potrebbe partire proprio da Orbetello, in Toscana, un piano mirato di nuove tecnologie sostenibili che, dandosi la mano, potrebbero risolvere non solo il problema di una delle lagune più disastrate d’Italia, ma anche rappresentare un risposta ovunque, nel mondo, si ponga la questione della salute degli specchi d’acqua e della rottura degli equilibri naturali, provocata da inquinamento, ipertrofia, salto climatico delle temperature e fattori umani. Una risposta che sarebbe tutta centrata sulle tecnologie green e sostenibili realizzate da aziende italiane d’eccellenza.

Ne è convinto Fabio Roggiolani,  cofondatore di Ecofuturo, il festival italiano delle eco-tecnologie, da sempre impegnato sul versante della transizione ecologica molto prima che questa parola cominciasse ad essere abitualmente utilizzata. Ed è Orbetello e a tragedia che sta vivendo in queste settimane, che rappresenta l’occasione, secondo Roggiolani, per mettere in campo alcune innovazioni capaci di cambiare le risposte (o meglio, le non risposte) che fino ad ora, almeno in Italia, sono state date al problema.

Intanto, partiamo dall’analisi della situazione, che non può non considerare le cause all’origine di questa tragedia ecologica, connotata da morìa impressionante di pesci, puzza, alghe in putrefazione, solo per limitarsi agli aspetti più evidenti della contingenza. Una situazione che si pone a valle di “svariati fattori di origine antropica e naturale – spiega l’esperto – dalla bassezza dei fondali, alla questione degli scarichi, che, ricchi di urea e azotati, apportano alle acque elementi di iper-nutrizione che rendono le acque stesse favorevoli alla proliferazione delle alghe. tutti elementi che impoveriscono le acque d’ossigeno, innescando quella anossia che è la causa principale della morìa dei pesci”. Senza dimenticare che la laguna ancora sconta la presenza nei propri fanghi di metalli pesanti rilasciati dagli stabilimenti chimici, attivi fino al 2006. Dati già conosciuti, che attualmente sono oggetto di un Sin (Siti di Interesse Nazionale), ovvero un sito individuato per legge in quanto comportano un elevato rischio sanitario ed ecologico e sono oggetto di studio per la bonifica ai sensi dell’Art. 252, comma 1 del D.Lgs. 152/06 e ss.mm.ii. comunemente indicato come Testo Unico Ambientale TUA.

L’innesco per questa bomba ad orologeria, nella fattispecie (non dimentichiamo che la laguna di Orbetello non è nuova a queste condizioni, quindi la situazione critica era ampiamente prevedibile), è in parte il cambiamento climatico, ovvero le onde di calore che aumentando le temperature dell’acqua, hanno ridotto i livelli di ossigeno disciolto, creando una sorta di micidiale concentrato di inquinanti umani e chimici, di alghe in putrefazione e di acque calde che hanno reso la vita impossibile ai pesci, morti letteralmente per asfissia; una situazione esasperata anche dal fatto che la laguna tende a insabbiarsi, e la mancata pulizia dei canali abbassa la profondità media dei fondali, che si scaldano più facilmente. Un calore che, non potendo disperdersi per contatto in superficie con aria fresca, non viene rilasciato, creando così l’effetto “brodo”. Un brodo in cui l’ossigeno scompare.

Allora, che fare? Uno dei rimedi più interessanti, come dice Roggiolani, lo si può vedere realizzato nel lago di Ginevra, in Svizzera, che aveva avuto problemi simili. Si tratta del Jet d’Eau, ovvero, una grande fontana che emette un getto d’acqua molto alto. A parte l’indubbia presenza scenografica, il getto permette all’acqua di disperdere calore e di ossigenarsi. Una proposta molto simile, per la laguna di Orbetello, venne presentata nel 2016 dall’Architetto Bertolotto che, nella sua lunga carriera, si è occupato di bioarchitettura. Il progetto prevedeva l’istallazione nella laguna di sei fontane simili al Jet d”Eau al centro della stessa. Ma sarebbe possibile e sufficiente, ora, una soluzione di quel genere?

“La soluzione è interessante, ma per essere praticata abbisogna di una serie di altre tecnologie, che impediscano che gli eventuali getti sparino acque intrise di inquinanti umani e chimici in tutta la laguna – dice Roggiolani – la delicatezza dell’equilibrio da ripristinare infatti suggerisce di affrontare il problema con soluzioni diverse, tutte confluenti allo scopo di rimettere in sesto il sistema interno delle acque”.

Sarebbero indispensabili alcune operazioni, ad esempio per abbattere gli inquinanti, fra cui i metalli pesanti di cui sopra. Un’operazione che potrebbe vedere la messa a terra di uno studio del 2018, “colpevolissimamente – come dice Roggilani – rinchiuso in un cassetto, che prevedeva l’uso di zeolite e organismi EM per la ripulitura delle acque. La zeolite è una polvere vulcanica che proviene in gran parte dalle cave di Sorano, a pochi chilometri dalla Laguna, usata per depurare. In associazione con gli organismi EM, vengono utilizzati anche per la pulitura delle fosse biologiche”. Nessuno si scandalizzi, dal momento che buona parte dell’jnsano nutrimento che rende le acque della Laguna ipertrofiche proviene proprio dagli immissari che attraversano le zone abitate. Nella linea poi di rendere più sostenibile il ricambio di acque, non si può certo prescindere dalla pulizia dei canali esistenti ma interrati, e dalla creazione di un reticolo di canali capaci di garantire lo scambio col mare.

Ma tutto questo ancora non basta. “Lo stato delle acque è tale, che è necessario un dragaggio per liberarle dai sedimenti. Ma deve trattarsi di un dragaggio a circujto chiuso, ovvero una tecnologia che consente l’asportazione dei sedimenti senza contatto con il fondale, tecnica che impedisce fuoriuscite di materiale con la conseguenza della risospensione dei sedimenti, come solitamente avviene”. Una tecnologia che esiste ed è toscana, definita Ecodragaggio, messa a terra dalla Decomar di Massa, che l’ha chiamata Limpidho, conosciuta anche come ecodragaggio a depressione.

Fra i vantaggi dell’Ecodragaggio, la possibilità di rimuovere i sedimenti senza compromettere l’ecosistema acquatico, dal momento che evita l’intorbidimento delle acque, l’anossia e la diffusione di eventuali contaminanti. Inoltre, come ricorda Roggiolani, questa particolare tecnica non richiede l’utilizzo di acqua, ma impiega un fluido in circuito chiuso. Ancora, i sedimenti estratti vengono destinati in maniera differenziale ad un nuovo utilizzo.

Ma non è finita. “C’è ancora un problema, ovvero il proliferare delle alghe – sottolinea Roggiolani – responsabili di anossia e altri danni all’ecosistema lagunare, oltre a una ricaduta pesante sulla stagione turistica”. Non si possono semplicemente raccogliere perché, come spiega Roggiolani, da un lato mancano mezzi adeguati alla raccolta, ma dall’altro il problema è la salinità di queste creature vegetali, che ne rende difficile lo smaltimento e il recupero.

Anche in questo caso, una soluzione tecnologica esiste ed è del tutto italiana: si tratta della proposta di partenariato pubblico-privato  per realizzare un impianto HTC (Hydrothermal Carbonization) utilizzando la tecnologia proprietaria di Ingelia per il recupero delle alghe della laguna e la loro trasformazione in biocarbone. Una tecnologia, riconosciuta come eccellenza dalla Commissione Europea, permette di trattare efficacemente ogni matrice organica secondo i principi dell’economia circolare. A differenza degli impianti tradizionali di digestione e compostaggio, il sistema HTC di Ingelia può gestire anche matrici con alto livello di salinità, come le alghe, che nei processi tradizionali inibiscono la degradazione biologica. Un impianto che ha anche un’altra freccia al suo arco, come spiega Roggiolani, dal momento che “può essere utilizzato anche per processare la frazione organica dei rifiuti urbani e dei rifiuti agricoli, fanghi biologici, sfalci del verde urbano ed il compost fuori specifica, ottimizzando i costi di gestione”.

Costi? ecco una lieta sorpresa. Secondo quanto spiega Roggiolani, tutto ciò potrebbe essere realizzato senza aggravi per il Comune di Orbetello, dal momento che si potrebbe attingere ai fondi per lo sviluppo e per la salvaguardia ambientale della Banca d’Investimento Europea, o, in alternativa, ai fondi gestiti dalle agenzie statali italiane.

Un approccio integrato che sfrutta varie tecnologie e che potrebbe essere, come torna a sottolineare Roggiolani, un’occasione unica per le nostre tecnologie d”eccellenza, che potrebbe portare a tracciare una via alternativa e sostenibile in grado di essere applicata ovunque le acque comincino a morire.

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