Gentile Presidente Mattarella,
mi onoro di essere stato suo allievo all’Università di Palermo e di aver con Lei sostenuto, ormai quattro decenni orsono, l’esame di Diritto Parlamentare. In questi giorni drammatici per il nostro Paese, ancora sgomenti di fronte a un virus capace di travolgere e sconvolgere all’improvviso vite ed economie mondiali, siamo chiamati a svolgere ognuno la sua parte. Dal cittadino alle istituzioni tutte.
Nell’emergenza, per la difesa dell’unico diritto riconosciuto come fondamentale dalla Costituzione, il diritto alla salute, ai cittadini è richiesta la compressione di alcuni principali diritti solennemente tutelati. A cominciare dalla libera circolazione per continuare con la libertà di impresa o la libertà di esercitare il proprio culto. Alle istituzioni e agli organi della Repubblica è richiesto d’altro canto di agire tenendo ben saldo il principio della “leale collaborazione”.
Ma è qui, caro Presidente, che sento di rivolgerLe un accorato appello nel Suo più alto ruolo di garante dell’unità nazionale. Sì, perché mentre ai cittadini italiani viene richiesto il sacrificio di alcuni diritti centrali, con il pressante e costante invito a rimanere in casa giustificando ogni pur piccolo spostamento, alcune istituzioni continuano a procedere in ordine sparso producendo a getto continuo nuove prescrizioni. Contraddicendo a volte ciò che in altri territori, secondo normative governative, è invece permesso e generando confusione lì dove occorrerebbe al contrario una voce sola forte e chiara.
Non solo si assiste allo sconfinamento di ordinanze regionali lì dove solo la legge esclusiva dello Stato può spingersi (come la compressione del diritto generale di libera circolazione) ma anche al dileggio costante e ripetuto di alcuni (pochi per fortuna) rappresentanti in fascia tricolore contro organi di Governo deputati alla gestione dell’emergenza. Non è francamente tollerabile che mentre al cittadino viene richiesta stretta obbedienza alle norme (pena sanzioni e denunce) un rappresentante delle istituzioni oltraggi ripetutamente altri rappresentanti dello Stato ignorando il principio di leale collaborazione richiamato dalla Costituzione e arrivando a confliggere con più leggi in un colpo solo. A Messina, secondo ordinanza sindacale firmata il 5 aprile scorso e che dovrebbe entrare in vigore l’8 aprile, viene introdotto addirittura il nulla-osta preventivo allo sbarco (una sorta di visto non previsto da alcuna norma di legge) prescrivendo al cittadino che voglia mettere piede in Sicilia dalla sua porta principale un farraginoso meccanismo di registrazione dove viene anche ignorata la legge sull’autocertificazione.
Se la situazione non fosse tragica ci sarebbe da fare della facile ironia.
A giudizio del presidente emerito della Corte Costituzionale, professor Sabino Cassese, di fronte allo stato d’emergenza e alla pandemia “è stato un errore non aver avocato i poteri che l’articolo 120 della Costituzione attribuisce allo Stato”.
Articolo che ricordo al me stesso studente, cittadino e giornalista: “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”. Di più. Lo stesso articolo prescrive che “La Regione non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale”.
Ma anche a non voler scomodare la Costituzione, lo stesso ultimo decreto legge del Governo (quello del 25 marzo scorso) conferisce ai presidenti delle Regioni il potere di adottare provvedimenti più restrittivi, ma “in casi di estrema necessità e urgenza per situazioni sopravvenute” e soltanto “nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con efficacia limitata fino a tale momento”. Oltre a specificare: “esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”.
Considerato che il Dpcm scadrà il 13 aprile prossimo e che le ordinanze regionali più restrittive sono state prorogate alla stessa data, la speranza è che finalmente si arrivi a prevedere una normativa uniforme per quel che riguardata le libertà costituzionalmente protette.
In quanto ai sindaci, lo stesso decreto pone un divieto esplicito e non aggirabile: “I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, nè eccedendo i limiti di oggetto” definiti dal decreto. E nell’oggetto non c’è traccia di nulla-osta preventivi alla libertà di movimento. Libertà compressa ma comunque sempre consentita per lavoro, necessità o salute. Di più. Il decreto legge si preoccupa ancora di specificare a Regioni e Comuni che “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente”.
Insomma la norma parla chiaro. Una voce autorevole servirebbe a parlare ancora più chiaro. La Sua, gentile Presidente, potrebbe ricondurre tutti a quell’unità nazionale così necessaria in questi delicatissimi frangenti.
Con stima,
Giuseppe Maria Riccobene