Firenze – 17 giugno 2019 – Conversazione con Paola Presciuttini.
Paola Presciuttini scrive da sempre. I suoi libri più recenti sono Trotula, La mannaia. Il macello della peste, Coste del mondo nella cartografia europea (1500-1900), Il ragazzo orchidea.
Durante l’intervista telefonica chiedo a Paola Presciuttini in quale momento della sua vita ha cominciato a scrivere.
Il bisogno di scrivere ce l’ho fino da bambina quando divenne presto il modo migliore per potermi esprimere e spiegare: prendevo un foglio, lo intitolavo “il mio carattere” e, dopo averlo riempito con tutte le mie problematiche, lo consegnavo ai genitori o alla maestra. Lo facevo soprattutto quando avevo la sensazione di aver subito un’ingiustizia.
Perché hai scelto questa forma espressiva?
Credo che dipenda dal fatto che fino da piccola ho sempre letto molto, soprattutto i classici che “rubavo” dallo scaffale di mio fratello maggiore e che la parola scritta mi sia così divenuta familiare e il mezzo privilegiato per esprimermi.
Scrivere, per me, significava mettermi in contatto con gli “altri”: scrivevo poesie e piccoli racconti. Forse perché ho fatto studi artistici e ho frequentato di più pittori e scultori, ho sempre avuto quest’idea dello scrittore come di una figura mitica e irraggiungibile, quasi un’entità magica.
Poi, quasi per caso, ho frequentato corsi di scrittura dove mi hanno incoraggiata a continuare, consiglio che seguii dato che avevo cose da dire.
Un giorno fui contattata dalla direttrice di una collana dell’editore Sensibili alle foglie la quale, dopo aver letto un mio racconto, mi invitò ad inviargliene altri che in seguito furono pubblicati. Da quel momento ho continuato a pubblicare anche con altri editori, affidandomi alla consulenza dell’Agenzia Letteraria Nabu.
Occhi di grano è il mio primo libro di racconti uscito per i tipi di Sensibili alle foglie, il secondo Comparse, ambientato nel ‘900, racconta quell’epoca vista con gli occhi delle donne contadine, il terzo Non dire il mio nome è un romanzo di formazione che narra di una ragazza lesbica. Poi, a seguire, Il ragazzo orchidea, storia di una ragazza trans; Trotula, forse il libro che ha avuto più successo, narra le vicende di una donna medico, salernitana, dell’XI secolo, che condusse studi medici legati alla sfera femminile, infine l’ultimo: La mannaia. Il macello della peste parla della “peste nera” che nel 1348 colpì la popolazione europea.
Quest’ultimo romanzo come è nato?
Accadde che nel 2006 il festival di Certaldo Mercanzia mi commissionò sei testi teatrali per una sorta di retrospettiva. Poiché si trattava di Certaldo, pensai di scrivere su Boccaccio, ambientandolo nella Firenze del Trecento.
Studiando il Boccaccio ero rimasta affascinata dal tema della peste e quando mi resi conto che sull’argomento non era stato più scritto niente cominciai a studiare e documentarmi.
Ma proprio documentandomi sulla peste e su altri argomenti di ambito medico mi sono imbattuta nel personaggio di Trotula, a cui mi sono subito appassionata, tanto da lasciare in sospeso il tema della peste.
Trotula, che apparteneva alla scuola salernitana, era un personaggio straordinario: nell’XI secolo fu capace di insegnare, studiare e, contemporaneamente, mandare avanti la famiglia. Nonostante fosse una persona straordinaria su di lei non si trovava molto. Decisi così di dedicarle tempo e attenzione narrandone la storia. Solo quando il libro fu terminato ricominciai a lavorare al romanzo sulla peste che uscì con il titolo La mannaia. Il macello della peste.
Da quali fonti trai la tua ispirazione?
L’ispirazione in linea generale mi viene sempre da fatti reali, ma solo come incipit, come stimolo iniziale, perché poi la gran parte della narrazione è frutto della fantasia e, in parte, è un collage di molte cose che percepisco nel mondo reale. Quindi le mie sono storie realistiche ma non reali.
Qualche precisazione ulteriore?
Il 6 marzo 2019, al Teatro dei Rozzi di Siena, è stato rappresentato il mio testo su Artemisia Gentileschi Il viaggio di Artemisia che poi 12 di marzo è stato replicato al Teatro dell’Affratellamento di Firenze, dalla compagnia Sobborghi, con la regia di Altiero Borghi.
Poi, a settembre prossimo uscirà la riedizione di Occhi di grano, che conterrà nuovi racconti.
Riesci a vivere con il tuo lavoro di scrittrice o svolgi anche un’altra professione?
Insegno scrittura creativa sin da quando ho cominciato a scrivere, quindi insegnare è un’altra mia professione.
Un’ultima domanda che faccio sempre: hai un consiglio da dare a chi intenda diventare scrittore?
Il consiglio è sempre lo stesso: leggere tanto, altrimenti si rischia di scrivere solo per se stessi senza produrre niente che possa interessare a potenziali lettori. Secondo me non fa neanche molto bene alla salute, è un modo poco sano di scrivere, è come inspirare senza espirare, si va in ipossia.