Claudio Abbado è stato ricordato dal direttore artistico della Camerata di Prato giovedì sera 23 gennaio, poco prima del concerto in programma.
Senza forzature, quasi ascetico, prossimo alla grandezza dei predicatori di un tempo, il direttore artistico Alberto Batisti ha parlato al pubblico del maestro e dell’uomo che ha lascito all’umanità un vasto patrimonio di cultura e di musica nell’ideale visione dell’Europa dei popoli. Concetto che Abbado ha trasportato nelle sue orchestre, quando ancora il vecchio continente portava evidenti i segni della sua divisione post bellica.
Batisti ha rammentato la carriera di un uomo eccezionale, riconosciuto in tutto il mondo. Al pubblico in sala ha chiesto di ascoltare in piedi l’“Aria sulla quarta corda” secondo movimento della Suite per orchestra n. 3 di J.S. Bach divenuto ormai celebre, ed uno dei più suggestivi brani di tutta la musica. Il tributo dell’orchestra diretta dal maestro ungherese Gabor Takacs-Nagy ha salutato così Abbado, sottolineato dal lungo applauso.
Non meno applaudito è stato il concerto n1 per pianoforte ed orchestra, tonalità in do maggiore op 15, di Ludving van Beethoven da Bonn. Sul podio, Nagy, che già aveva diretto la Camerata lo scorso anno. Al pianoforte Mariangela Vacatello, interprete dotata d’ottima tecnica e sentimento. L’artista, deve essersi sentita lusingata dai decibel degli applausi provenienti dalla sala per concedere ben due bis come da copione.
Il concerto op 15, fa parte delle opere giovanili di Beethoven. Risente dell’eredità concertistica mozartiana, dotata di un impianto orchestrale classico con corni, trombe, timpani, flauti e clarinetti due, oboi e fagotti idem, archi. Pur sotto l’influenza del genere Militarkonzerte, il concerto trova spunti autonomi del crescente stile di Beethoven. A largo lirico del secondo movimento sottolineato dai clarinetti, Mariangela Vacatello offre una delicata intima interpretazione. Il Rondò chiude con energico e vigoroso ritmo col finale introdotto dal clarinetto.
Nella seconda parte del programma era stata annunciata la Sinfonia Scozzese di Mendelssohn, sostituita con la Sinfonia in do maggiore dei Georges Bizet, opera giovanile ed eseguita postuma dopo il suo ritrovamento per la prima volta nel 1935. Sia fatto onore al giovane Bizet. Specialmente per il secondo movimento, dal gusto esotico coloniale nel fascino melodico dell’oboe.
Finale brillante, dove tutta l’abile orchestra si cimenta come fosse in un sussulto.
L’appendice è colorata dalle danze di Galanta. Il direttore Nagy ne ha dato una direzione orchestrale ammirevole del suo creatore e connazionale Zoltan Kodaly, coetaneo di Bela Bartok, ma brillante compositore della vera tradizione popolare ungherese. Le danze di Galanta esprimono il ritmo e lo spirito popolare rivisitato dal Kodaly, fresche e felici, dotate di energia sincopata, dove spicca il clarinetto fino alla conclusione del concerto, tra gli applausi tributati dal pubblico all’orchestra e al direttore Nagy evidentemente soddisfatto, per la circostanza, ambasciatore magiaro.
Disegno di enrico Martelloni