Firenze – Giuseppe Bufalari, per tutti Beppe, il maestro, è morto lunedì 20 giugno nella sua casa fiorentina di Via de’ Macci, nel rione di Santa Croce, dove tutti lo conoscevano per avere insegnato a lungo nella scuola elementare Vittorio Veneto, in Via San Giuseppe. Beppe era nato nel 1927 in San Niccolò, altro quartiere popolare, Diladdarno, come si dice a Firenze. Aveva 95 anni, ma non era inconsueto, fino a poco tempo fa, incontrarlo per strada durante la sua passeggiata quotidiana o sentirlo parlare dalla finestra sulla corte della propria abitazione.
Aveva retto alla recente morte della moglie Ketty dopo una lunga malattia, ma soprattutto alla prematura scomparsa del figlio Vieri, a soli 59 anni, nel 2016. Vieri, fratello maggiore di Mauro, era un dirigente della Regione molto conosciuto per aver guidato «Vetrina Toscana», l’agenzia creata per promuovere l’eccellenza del gusto toscano, e per essere stato a lungo in Rai dove aveva contribuito al successo di Linea verde.
Due gravi perdite, che avevano inciso nell’animo di Beppe, ma grazie anche all’affetto dell’altro figlio e dei nipoti non gli avevano tolto il sorriso, né ridimensionato i modi affabili. Il maestro era anche un uomo discreto, al punto che molti ancora ignorano che dietro al bravo insegnante si celasse un raffinato scrittore, amico di Vasco Pratolini, di Romano Bilenchi e di Mario Luzi, che la vocazione all’insegnamento aveva spinto in Basilicata nel lontano 1953.
«Ero arrivato in Lucania come un estraneo, conoscendo la realtà del Sud soltanto come la descrivevano i giornali — raccontava Beppe —. Erano gli anni Cinquanta, gli anni della riforma agraria. Ero andato laggiù a lavorare spinto dall’entusiasmo. Volevo che quella gente non continuasse a restare al di fuori del cammino della civiltà, che fosse liberata dall’ignoranza e dalla superstizione. Mi sembrava giusto, non accettavo nessun’altra verità. Andai a vivere coi contadini, m’assimilai progressivamente a loro».
In effetti, per un anno visse in una masseria e da lì prese a scrivere alla moglie, alla mamma e a Bilenchi il quale intuì la potenzialità di quelle lettere in cui si parlava di un mondo antico e profondo, duro e avverso, con uomini capaci nonostante tutto di vivere e lottare. Bilenchi le avrebbe volute pubblicare, una volta riadattate, sulla «Chimera», la rivista di Enrico Vallecchi, oppure, se fossero diventate un libro vero e proprio, nella collana che la casa editrice milanese Lerici aveva affidato allo stesso scrittore valdelsano e a Luzi.
Nel frattempo Beppe fu trasferito a Calvello, sempre in Basilicata, dove rimase per tre anni. Dopo di che fu trasferito di nuovo, questa volta in Toscana, sull’Argentario, a Porto Ercole dove i contenuti abbozzati in quelle lettere presero nel 1959 la forma del romanzo, che l’anno dopo, nel 1960, la casa editrice Lerici pubblicò con il titolo La masseria. «Un libro scritto benissimo», ebbe a dire il poeta Eugenio Montale che lo recensì con entusiasmo. Ne scrisse anche Alberto Moravia. Di lì a breve La masseria sarebbe stato considerato uno dei capolavori del romanzo meridionalista, pubblicato in più edizioni, tradotto in molto lingue, adattato per le scuole e premiato in più occasioni.
Stessa sorte per il secondo romanzo, La barca gialla, che ha avuto il riconoscimento internazionale «Anderson» per il miglior libro italiano per la gioventù. La barca gialla è il primo dei due romanzi sugli aspetti del rapporto uomo-mare. L’altro è Scellamozza. Entrambi pubblicati da Einaudi e ispirati dalle acque verdi e azzurre dell’Argentario. Romanzi poetici, di totale fantasia, in cui si immaginano città, foreste, montagne e fiumi sommersi.
Il mare, che Beppe amava in modo particolare, avrebbe ispirato altri suoi scritti, ma non avrebbe limitato la sua ricerca tanto da arrivare a un libro-esperimento come Pezzo da novanta – Due secoli di mafia (Le Monnier) in cui l’autore alterna cronaca, narrazione e documento. Con questo libro, come si legge nel risvolto di copertina, «Bufalari entra nel vivo della più scottante realtà, con un sofferto impegno civile e sociale, ma anche e soprattutto con alta sensibilità di artista».
Per questo Beppe merita di essere ricordato come un grande maestro, formatore di intere generazioni di ragazzi del quartiere, ma anche come un grande scrittore, oltre che un uomo buono.
Andrea Fagioli