Firenze – “…Fontana avrebbe potuto riprendere la ricerca su strade veramente nuove. Del resto nella lettera che mi scrisse il 7 giugno del 1967, insiste sul are chiarezza critica in rapporto all’effettivo produrre, Guardava avanti, anche in quello che poteva essere un breve periodo di minore impegno”.
Chi racconta Lucio Fontana, un gigante dell’arte del Novecento è Francesco De Bartolomeis, professore emerito dell’Università di Torino, pedagogista e critico d’arte, amico e grande estimatore dell’artista.
“…Se Lucio Fontana non avesse fatto buchi e tagli”, Etghaphiae Editore, 2021, è l’ultimo libro di De Bartolomeis, dove, con un acuto pensiero critico offre un punto di vista approfondito e originale intorno le opere di Fontana.
Con un’obiettività che supera i luoghi comuni, le dinamiche del mercato dell’arte, quasi scavalcando i tagli e i buchi, spogliando lo spazialismo di retorica, De Bartolomeis, ci restituisce un Fontana, non solo artista, ma anche uomo e soprattutto amico. Al fondatore del movimento spazialista ha dedicato altri libri e monografie. Nel suo ultimo testo ne cita almeno due e afferma che per lui … “continuare a scrivere su Fontana è una necessità”.
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Professor De Bartolomeis, Fontana è conosciuto per i suoi tagli e i suoi buchi. Il suo libro racconta molto altro. Una sperimentazione che non si ferma mai…
“ Il mercato ha falsato i valori particolarmente dell’arte contemporanea. I buchi e i tagli sono la produzione più modesta e ripetitiva su cui Fontana non avrebbe insistito senza la pressione del mercato. Fontana si distingue proprio per la varietà e la coerenza della ricerca”.
Spazialismo. Fontana ne fu l’artefice. Ci sono stati altri artisti al suo livello in questo movimento?
“Fontana ha avuto una larga influenza non per lo spazialismo, denominazione generica, ma per le novità delle varie fasi”.
Quando e come ha conosciuto Lucio Fontana?
“Di persona nel 1967 nello studio di Milano in Corso Monforte. Gli avevo scritto del mio interesse a incontrarlo per conoscere meglio la sua opera. Mi rispose subito. A Milano mi trovai di fronte una persona gradevole, semplice, gentile, interessato all’interlocutore anche se sconosciuto. Non poteva conoscere la mia intervista di Asger Jorn o un lungo articolo del 1963 pubblicato su Il Verri di Luciano Anceschi”.
Aveva intenzione di scrivere su Fontana?
“No, mi sembrava un compito molto difficile, per la novità e varietà delle sue opere. Consapevole dell’azzardo, anche se a torto lo consideravo un piano più praticabile, gli chiesi che cosa pensava di un mio libro sui disegni fino ad allora poco studiati. Si dimostrò subito favorevole al punto da passarne subito a esaminarne un buon numero… Fui subito affascinato dalla sicurezza del segno che esprimeva libertà creativa con cui faceva emergere la profondità della composizione”.
E quale posto le sembrò che occupassero nell’insieme?
“Bisogna fare una distinzione e non dimenticare mai che Fontana è soprattutto uno scultore con una eccezionale capacità di modellamento. La distinzione. I buchi e i tagli puri, intendo da soli sono una semplificazione incapace di dare vitalità perché l’insieme è povero, senza contrasti, piatto: si sarebbero ridotti a un rapido passaggio se non avessero incontrato il favore del mercato. Altro che conquista di spazio misterioso e infinito. I buchi e i tagli potevano giustificare il loro valore estetico insieme ad altri elementi, cosa di cui Fontana ha dato larga dimostrazione”.
Come si comportava Fontana durante la sua permanenza nello studio?
“Lasciava il suo lavoro e si dimostrava un collaboratore diligente, interessato, critico. Leggeva quello che scrivevo man mano che andavo avanti e se ne discuteva. Diventammo amici, mangiavamo insieme, tornavamo nello studio per eventuali aggiunte al lavoro del giorno”.
Qualche aneddoto, o storia da cui emerge l’uomo e non solo l’artista?
“Ma l’uomo si rivelava con naturalezza e affabilità in tutto quello che faceva. Un prezioso e modesto collaboratore”.
Quello che lei faceva nello studio con Fontana era solo una parte del lavoro?
“Nello studio sceglievo i disegni e discorrevo con Fontana. I disegni occupavano una cassa di media grandezza, io li sfogliai uno a uno e mi capitò di scoprire disegni di cui non si ricordava, tra l’altro il primo disegno con la scritta concepto espacial del 1946 e i disegni per la serie delle Venezie”.
Mi può parlare della sua vita nel mondo dell’arte?
“Ormai lavoro in solitudine non solo per la pandemia. Gli artisti che frequentavo non ci sono più. E diventano sempre più rare le occasioni di presentare importanti mostre. Mancano i rapporti, i confronti di idee, e nella maggioranza dei casi gli affetti sono ricordi che rattristano”.
A quali progetti sta lavorando adesso?
“Ho appena finito un nuovo libro. Il titolo provvisorio è L’arte nella materia. È inevitabile che io pensi non tanto a nuovi argomenti ben definiti ma a problemi. Proprio non so se uno di questi o un altro tutto diverso diventerà oggetto di studio. Inconscio, intuizione e caso hanno una parte decisiva”.