Prato – È di pochi giorni fa l’appello al nostro governo degli attivisti dell’associazione Kethane che in italiano vuol dire «Insieme» e raggruppa i Rom e Sinti d’Italia. In piena emergenza Covid hanno lanciato anche via social un grido d’allarme affinché l’esecutivo a guida Conte si preoccupi della situazione dei campi italiani per scongiurare il pericolo di contagio.
Infatti in molti di questi, manca purtroppo il bene primario, cioè l’acqua che con l’epidemia in corso è diventata più che mai necessaria perché bisogna lavarsi le mani molte volte al giorno. Il pericolo di contagio poi tra le comunità è alto perché ci sono tante persone che vivono in spazi angusti, privi di servizi igienici.
A Prato attualmente ci sono quattro campi istituzionalmente riconosciuti in cui vivono duecento persone ed anche qui si avverte la paura da coronavirus. Ne parliamo con Noèll Maggini giovane e noto stilista sinti, attivista del movimento Kethane a cui chiediamo come vivono lui e la sua gente a Prato l’emergenza Covid.
“A Prato la comunità alla quale appartengo è sinti così come lo sono tutte le persone residenti nei campi del territorio pratese; viviamo con molta preoccupazione questo periodo di incertezza non solo perché temiamo il contagio dato che viviamo vicini gli uni agli altri, ma anche perché le nostre attività sono ferme; non abbiamo risorse economiche, né tutele”.
Di che cosa si occupano i Sinti di Prato?
Sono ambulanti, giostrai ed alcuni raccolgono il ferro per le cooperative. Ma per queste attività il governo italiano non ha previsto aiuti. Di qui la petizione nazionale dell’associazione Kethane e la richiesta di inserire ad esempio la categoria dei giostrai in quella degli spettacoli, visto che si tratta di uno spettacolo mobile.
È difficile per voi attenersi alle regole sanitarie per evitare il contagio?
A Prato i Sinti sono una comunità molto unita e fin da subito si è compresa l’emergenza e il pericolo della diffusione del virus. Ci siamo dati da fare per rispettare le norme igienico-sanitarie il più possibile; da soli siamo riusciti a procurarci le mascherine; ci aiutiamo facendo la spesa ognuno per più famiglie per limitarne le uscite,ma siamo nonostante tutto in difficoltà.
Può spiegarci meglio?
Viviamo in campi con case mobili o roulotte che sono vicinissime tra loro;quando per necessità usciamo non possiamo non incontrarci e dunque non è facile mantenere la distanza di sicurezza; le nostre abitazioni non hanno metri quadri importanti, nonostante l’alto numero dei componenti familiari e, dunque il rischio della diffusione del virus è più facile qui che altrove.
Quali sono attualmente le vostre maggiori preoccupazioni?
Le sembrerà strano ma nell’immediato è l’impossibilità dei ragazzi sinti a studiare. In assenza di un computer o di un tablet non è possibile effettuare alcun collegamento con gli insegnanti per cui i nostri giovani restano indietro,con grande dispiacere dei genitori. Ad oggi, poi, non si comprende perché non sia stata fatta alcuna sanificazione nei campi il che aumenta il timore del propagarsi del virus per persone che ci vivono.
Vi sentite abbandonati a voi stessi?
Non proprio perché anche se siamo stati noi per primi a cercare un contatto con le Istituzioni pratesi, devo dire che esse si sono attivate attraverso l’erogazione dei buoni spesa per le famiglie in difficoltà; ma abbiamo bisogno di sentire più vicino l’amministrazione comunale e che soprattutto ascolti i nostri rappresentanti. Quello che mi indispettisce è udire qualcuno che,in questa emergenza, dica ancora “prima gli italiani”. Ecco approfitto per dire a costoro che sono italiano come lo sono i miei genitori e prima ancora i miei nonni. Nel campo dove io vivo siamo italiani e non stranieri!
Foto: Noèll Maggini