Se oggi si chiede a un cittadino italiano, nato nel dopoguerra, con una formazione culturale e politica laica e democratica, e priva di preconcetti di estrema destra o estrema sinistra, che cosa evochi “via Rasella”, generalmente la risposta sarà: “l’attentato di partigiani comunisti che a Roma causò per rappresaglia la strage delle Fosse Ardeatine”. Forse qualcuno potrà ricordare che quei partigiani appartenevano ai Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e che i gappisti più noti furono Rosario Bentivegna (che trasportò il carrettino dell’immondizia con il tritolo e lo fece esplodere al momento del passaggio del battaglione tedesco, formato da reclute altoaltesine) e Carla Capponi (che coadiuvò il futuro marito Rosario nell’azione).
Nella memoria collettiva si è sfuocato lo scenario dell’attentato (la dinamica della preparazione e dell’esecuzione, il numero dei gappisti, il numero dei soldati uccisi, persino il giorno in cui accadde l’attentato stesso), mentre risalta l’eccidio delle Ardeatine. Siamo appunto nella dimensione della memoria collettiva che viene costruita attraverso il filtro delle risonanze emotive e affettive (le Ardeatine, al pari di altri eventi tragici, sono un evento doloroso conservato nella memoria di un romano più che di un bolognese o un milanese, e particolarmente in chi ha un legame di parentela con la vittima), mentre i freddi dati storici rappresentano solo una cornice di riferimento.
Nel caso di via Rasella, la discussione politica e storica si è concentrata sugli effetti che l’evento ebbe: se i gappisti avevano valutato la rappresaglia, se essi dovevano rispondere alla (mai provata) richiesta delle autorità tedesche di presentarsi, ecc. Nel groviglio di discussioni che hanno diviso per decenni la coscienza italiana e che si rinnovano ogni anno il 24 marzo in occasione della ricorrenza dell’eccidio delle Ardeatine, l’attentato di via Rasella va sullo sfondo come un evento storicamente definito e sul quale ormai vi è poco da aggiungere sul piano della documentazione storica.
La rappresentazione dell’attentato che tuttora ci è offerta dalla storiografia più accreditata, e cioè quali furono i suoi protagonisti, come si svolse e soprattutto chi lo organizzò, viene ora letteralmente demolita nella recentissima monografia di Carlo Maria Fiorentino, L’armata delle ombre. Gappisti e militari a via Rasella, 23 marzo 1944 (LEG Editrice, euro 20).
Fiorentino è stato fino a pochi mesi fa un funzionario dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, una figura storica di quelle sale di studio frequentate dai nostri autorevoli studiosi della Resistenza, ma anche lui uno storico illustre, autore di numerose opere (tra cui La corte dei Savoia, 1849-1900, il Mulino, 2008; Angelo Sommaruga, 1857/1941. Un editore milanese tra modernità e scandali, Le Monnier-Mondadori, 2014; Eros, scrittura, politica. Gabriele D’Annunzio e Matilde Serao nella Roma Umbertina, Aracne, 2019; oltre a Il garbuglio diplomatico. L’Italia tra Francia e Prussia nella guerra del 1866, Luni Editrice, 2021, con cui ha vinto il premio Acqui Storia l’autunno scorso).
Sulla base di una documentazione archivistica impressionante e un’analisi critica fittissima della storiografia su via Rasella, emergono fatti, personaggi e intrecci inediti. In primo luogo risalta la ricostruzione dell’ambiente gappista romano costituito da uomini provenienti da un mondo borghese e intellettuale, e per buona parte con una solida esperienza militare. Si conferma il ruolo di Giorgio Amendola a capo della organizzazione comunista, ma viene messo a fuoco anche quello di Sergio Fenoaltea, presidente del CLN romano, e membro del Partito d’Azione. Assume una importanza centrale il Fronte Militare Clandestino della Resistenza di Roma guidato dal colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, un centro militare antifascista e antinazista sempre sottovalutato nelle storie complessive della Resistenza romana (Montezemolo fu arrestato il 22 gennaio 1944 e fu ucciso alle Ardeatine), mentre si profila uno scenario ancora più complesso con il ruolo di mediatore e indiretto fiancheggiatore svolto dal Vaticano.
Una serrata disamina delle testimonianze dei gappisti, centrali nella vulgata resistenziale, mette impietosamente in evidenza la loro incongruenza fino a un livello che ha dell’imbarazzante (i gappisti si contraddissero l’uno con l’altro, oppure uno stesso gappista riportò nel corso degli anni ricordi non meno contraddittori tra loro). Più che di un attentato si dovrebbe parlare della “battaglia di via Rasella” con 156 altoatesini che passano per quella via stretta nel centro di Roma e almeno una trentina tra gappisti e militari che li stanno ad aspettare da almeno un’ora per colpirli (intorno alle 15.45) con tritolo, bombe e pallottole.
I tedeschi attribuirono l’attentato a un gruppo di “comunisti-badogliani” vedendovi subito una organizzazione mista, non un gruppo puramente comunista come fu poi rivendicato dal relativo partito. Per Fiorentino, a ragione, si dovrebbe parlare più propriamente di “amendoliani-badogliani”, vale a dire un sistema integrato formato principalmente dalla componente comunista, ma di estrazione borghese e intellettuale, e dalla componente militare.
Per autodenunciarsi di fronte a Kappler non avrebbero dovuto presentarsi solo i gappisti le cui storie ci sono state tramandate in una sorta di narrazione mitologica (Fiorentino dedica un capitolo alla “mitopoiesi” di via Rasella), ma una serie, una “armata” di uomini e donne che decise di rimanere nell’ombra. Una scelta sulla quale, oltre a fattori personali, giocò prioritariamente una precisa volontà politica che ora va rivisitata sul piano storico, un’operazione che riguarda gli storici capaci di affrancarsi da schemi ideologici, cristallizzati e invecchiati, come ha fatto Fiorentino con questo importante libro, esempio di competenza storiografica, ma anche di limpida coscienza civile.
Foto Mausoleo delle Fosse Ardeatine