Dobbiamo essere sinceri: siamo andati alla conf.stampa (la seconda in poche settimane) di presentazione della mostra “Marionette e avanguardia” a Palazzo Magnani di Reggio Emilia con annesso vernissage, ricolmi delle più malevoli delle intenzioni.
Con la penna pre-intinta nel curaro del risentimento perché, poffare, lo staff organizzativo si era sbizzarrito nell’elargire bei soldini di giusta pubblicità a tutti tranne alla qui presente testata (7per24-thedotcultura), probabilmente l’unica a cui dei pupazzi freghi qualcosa.

Poi c’è una sorta di collega locale, vieppiù impigritosi col passare del tempo, che ci smolla come un mantra l’inutilità e banalità degli appuntamenti stampa “nell’era del digitale”. In parte ha pure ragione ma quando c’è di mezzo l’istrionico e coltissimo James M.Bradburne (già direttore artistico di Palazzo Strozzi a Firenze e di Galleria Brera a Milano), orbene questi meeting per sfaccendati pennivendoli (di cui ci onoriamo essere i capofila), diventano spassosissimi ed imperdibili momenti di ripasso storico ed apertura mentale sulle connessioni creative del primo ‘900 occidentale.
In questo caso appunto il rapporto strettissimo tra le avanguardie artistiche ed il mondo dell’arte antichissima e popolarissima delle marionette (quelle mosse coi fili dall’alto da non confondere coi burattini, animati a mano dal guanto) e ancor più in generale col teatro di figura. Da Picasso a Deplero, da Klee a Sarzi (il grande burattinaio reggiano, nota dolente, forse avrebbe potuto essere omaggiato di più, anche perché il 2022, scivolato via senza colpo ferire, è stato il centenario della nascita).

Il Bradburne, del Comitato scientifico di Palazzo (Magnani), ha pure deliziato i presenti (orsù indolenti, schiodatevi dal divano con vista pc) animando la marionetta con le sue fattezze dall’immancabile acconciatura da paggio di illuminata corte rinascimentale e colorato gilet per ogni occasione. Il Bradburne in carne e ossa, per questa occasione appunto, ne indossava uno (di gilet) con alcuni taschini da cui spuntavano mini pupazzi pronti per uno spettacolino improvvisato.
Archiviata la parte più di costume e/o gossippara, inoltrandosi nella mostra, su due piani, ci si imbatte da subito, grazie ad una suggestiva scenografia, nella vita del teatro o meglio nel teatro della vita, accolti dai costumi che Picasso disegnò per Parade, balletto russo messo in scena a Parigi nel ’17. Poi si ascende al primo piano e si peregrina di stanza in stanza tra le declinazioni di figura di alcuni Futuristi italiani, le sperimentazioni viennesi, le marionette giavanesi che esplosero a fine ‘800 sulle scene dei teatri europei, quelle a bastone di Teschner, l’apporto di Schlemmer riscopritore del saggio d Kleist “sul teatro delle marionette” (1810) che inondò di pupazzi animati le case dei bambini. Fino all’avanguardia russa con l’immancabile capitolo dedicato al rapporto tra marionette e rivoluzione (a Reggio non si può far senza di Lenin manco se si parla di baracche e burattini).

Infine una serie di spettacoli di raffinato livello, allestiti dentro Palazzo Magnani (ma non solo) grazie alla collaborazione con la Compagnia marionettistica Carlo Colla di Milano e l’Associazione 5T. Ed un corollario di appuntamenti-convegni-spettacoli che accompagnerà il tutto fino a marzo 2024 quando Reggio cesserà di essere un teatro a cielo aperto diffuso. Dicevamo nel preambolo iniziale del nostro livore prevenuto pronto a sfociare in un elzeviro birichino ancorché documentato come siamo soliti apporre tra una pagina bianca e l’altra. Ma la qualità dell’esposizione ce lo vieta. Facendoci riporre penna a calamaio avvelenati nel cassetto degli editoriali cattivelli mai scritti. Anzi, visto che alla fine siamo pure più simpatici degli inchiodati sul divano, invitiamo anche i nostri scarsi ancorché intellettualmente vivi lettori a recarsi alla mostra. Accompagnati da eventuali bambini.

Anche perché, come ci ha ben elargito dialetticamente il Bradburne in carne e ossa (o forse la di lui marionetta esponendo il fil-rouge a mo’ di ventriloquo), l’allestimento chiosa in qualche modo la vocazione educativa della città che da Malaguzzi a Rodari, arriva fino a Sarzi. E nel divertirsi intuendo la differenza tra esseri animati e no, i piccoli oggi ma futuri cittadini di domani, possano diventare uomini finalmente liberi. Da lacci e lacciuoli (o fili appunto) tirati dall’alto.

Giustamente i vertici istituzionali culturali reggiani sono tornati a ribadire questo inverno di fuoco delle rassegne reggiane, dai Chiostri di San Pietro con la mostra sui 40 anni dei Cccp a questa di Palazzo Magnani. Ma non sarebbe stato fenomenale per l’occasione, creare un mega evento trait d’union, tipo un concertone di Giovan Lindo Ferretti and company allestito quale spettacolo di teatro di figura, con le marionette a fattezza dei 4 ex punk più o meno filosovietici (che da 30 anni non suonano più niente e giammai più lo faranno), come già da tradizione nel teatro delle marionette salisburghese che dal 1913 mette in scena pure le opere liriche a pupazzi animati? Questa provocazione-battuta sul teatro d’ombre, il vostro gianpar l’ha fatta pure de visu all’assessora alla Cultura Annalisa Rabitti ed al direttore di Palazzo Magnani Davide Zanichelli. Non hanno riso.