Firenze – Pubblichiamo alcuni estratti dall’introduzione di Piero Meucci al saggio “Samsung Rising – Storia di un impero familiare protagonista della rivoluzione tecnologica”, scritto dal giornalista americano Geoffrey Cain e pubblicato nei giorni scorsi dalla casa editrice thedotcompany di Reggio Emilia.
Too big to fail, too big to jail. Il gioco di parole va di moda a Seul dopo che Lee Jae-Jong, capo miliardario del più importante produttore mondiale di chip per i computer, smartphone e monitor digitali il 13 agosto 2021 ha ottenuto la libertà sulla parola dopo aver scontato 207 giorni della condanna a due anni e mezzo inflittagli nel gennaio 2021. È stato riconosciuto colpevole di aver pagato 37,7 milioni di dollari a due fondazioni gestite da un’amica dell’ex presidentessa Park Geun-ye in cambio di sostegno politico alle discusse operazioni di fusioni fra società del gruppo.
La liberazione di Jay Lee ha sollevato polemiche e critiche nei confronti del primo ministro Kim Boo-Kyum e del presidente Moon Jae-In che aveva vinto le elezioni promettendo di fare piazza pulita delle pratiche di scambi di favori e di denaro con i grandi gruppi industriali familiari, i chaebol.
Per questo motivo scarcerare Jay Lee è stato più complicato degli atti di clemenza presidenziali che periodicamente toglievano dai pasticci nonno e padre. A rendere le cose più agevoli non ci ha pensato il presidente ma una decisione del giudice arrivata dopo che la grande industria americana ha fatto pressioni ufficiali perché Samsung fosse messa urgentemente nelle condizioni di intervenire per far fronte alla pesante crisi del mercato dei semiconduttori che provoca gravi danni soprattutto all’industria dell’automobile.
Jay doveva avere più libertà di movimento e di intervento rispetto a quella di cui disponeva in cella per far girare gli investimenti richiesti. Come tenere bloccato un colosso costruito su un sistema gerarchico che trae l’unica e ultima fonte nel capo della famiglia del fondatore? Nonostante la legge stabilisca che un condannato per i reati contestati al capo di Samsung non possa tornare nel pieno possesso delle sue facoltà di azione e movimento per un periodo di cinque anni, Jay può riprendere in mano il suo impero senza alcuna restrizione.
E chi è contrario «ha la mente troppo ristretta» ha detto il primo ministro Kim. E forse difetta anche di patriottismo visto che Samsung, con una capitalizzazione di 270 miliardi di dollari, più di 80 miliardi di introiti da investire e più di 300.000 dipendenti in 74 Paesi è un pilastro dell’economia coreana. «Il suo rilascio è avvenuto nell’interesse della nazione» ha confermato Moon raccomandando «comprensione».
Il contesto internazionale ha dato una mano a colui che con ogni probabilità presto sarà chiamato ufficialmente Lee iii, nipote del fondatore Lee Byung-chul e figlio di Lee Kun-hee, colui che ha trasformato l’azienda in un marchio globale dell’alta tecnologia. Ma in ogni caso il finale delle sue vicende giudiziarie era considerato scontato. (,,,)
Samsung è un colosso industriale molto diversificato, guidato con uno stile manageriale basato su una gerarchia di stampo militare e fortemente burocratizzata. Che però riesce a veicolare creatività e innovazione e a lanciare talenti e intelligenze grazie alla suprema, riconosciuta, venerata leadership del capo della famiglia Lee per il quale si è disposti anche a sacrificare carriere e libertà. (…)
Il fondatore di Samsung (“Tre stelle” in coreano) e il figlio hanno tratto il meglio dalla cultura confuciana di origine cinese (pragmatismo, preparazione, meritocrazia ma anche burocrazia) e dallo spirito imprenditoriale giapponese dello zaibatsu, costruito su rigide basi familiari e sulla fedeltà incondizionata dei dipendenti. B.C. Lee lo aveva attentamente studiato durante l’occupazione della Corea da parte dei giapponesi (1910-’45).
La natura rigida dell’organizzazione e il potere assoluto del capo, con la conseguenza inevitabile del culto della personalità, favorisce il fiorire di analogie (e battute satiriche) fra l’impero Samsung e il comunismo dispotico dei cugini del Nord, anche se Samsung rifiuta sdegnosamente ogni paragone.
A leggere i risultati della lunga, minuziosa e pressoché esaustiva ricerca di Cain (con le difficoltà di lavorare in un Paese così particolare per storia e cultura) una delle caratteristiche principali della realtà Samsung è la riservatezza al limite dell’ossessione che circonda la famiglia Lee e il gruppo di executives: la “Torre” che elabora le strategie del gruppo.
Stupisce tuttavia la capacità dei Lee di elaborare strategie di lungo periodo confrontandosi con culture industriali diverse pur restando fedeli alle proprie radici storico culturali. In particolare di fronte alle tecniche sempre più innovative della comunicazione. Per questo è stato così complicato per i guru americani del marketing costruire un brand in grado di competere con le leggende abilmente costruite da Apple. La separazione orgogliosa fra la storia e l’identità dell’azienda e i suoi prodotti poteva andare bene in passato per un’azienda attiva in molti settori ma non per chi opera nel big tech digitale.
Un elemento chiave per capire il successo di Samsung Electronics, la più importante società in un gruppo molto diversificato (una cinquantina di aziende dalla moda all’alimentare, alle assicurazioni, al medicale, alla cantieristica) che in poco tempo ha superato Sony e poi Apple sta nella sua duplice natura industriale. Un’azienda manifatturiera
di ingegneri dell’hardware, di fornitori di semiconduttori e di componenti elettronici decide di dichiarare guerra ai suoi principali clienti e conquista (con l’aiuto dei marketer americani) un mercato in fase di tumultuosa e inarrestabile trasformazione che ha lasciato sul campo molti marchi che erano le avanguardie di un nuovo paesaggio digitale (Motorola, Blackberry, Nokia).
Attaccati alla concezione che il prodotto conta molto più del marchio, progettando strumenti migliori sul piano della durabilità e dell’utilizzabilità, nel momento in cui si sono affidati ad altri per sviluppare la parte software, design, immagine e bellezza i progettisti di Seul hanno prevalso.
Superando anche incidenti ed errori che avrebbero potuto metterli per sempre fuori mercato. Come nel 2016 quando le batterie del Samsung Note 7, l’ultimo fiore all’occhiello, si incendiavano ed esplodevano. I limiti della cultura aziendale di Samsung sono risultati evidenti – come spesso accade – di fronte a una grave crisi come gli incendi del Note 7 e all’incapacità di sostenere una comunicazione di crisi efficace per ammorbidire gli effetti negativi
dell’incidente.
Con tutto ciò Samsung sta tuttora raccogliendo i frutti del lavoro fatto grazie alla sua struttura anticiclica. La ragione ce la spiega Cain: «Quando il business dei semiconduttori cala, Samsung può trarre profitto dagli smartphone. Quando il business degli smartphone cala, Samsung può trarre profitto dai display. Dopo di che, forse i semiconduttori torneranno ad essere redditizi» (. ..)
Perché il successo si mantenga nel tempo tuttavia è necessario un passaggio generazionale che garantisca la continuità di una guida carismatica. La designazione dell’erede diventa lotta senza esclusione di colpi, scatena conflitti che l’hanno l’effetto di indebolire l’intera architettura societaria e alla fine anche la capacità competitiva. (…)
La storia industriale di Samsung diventa così una saga familiare degna di una serie Netflix. Il momento più critico, in grado di porre in discussione lo stesso grande potere dei Lee è stato il modo con il quale la famiglia ha preparato il passaggio dell’impero all’erede designato, una strategia di vendita di partecipazioni incrociate, con titoli al ribasso dei valori di mercato e vendite forzate che hanno fatto perdere valore ad azionisti del calibro del fondo coreano per le pensioni. L’ultimo colpo a sorpresa è venuto negli ultimi mesi. Con una mossa che appare strumentale per dimostrare il suo ravvedimento, Lee iii in pectore ha detto che non passerà la guida della società al figlio cambiando una regola fondamentale del chaebol. Si attendono sviluppi.
La “Repubblica di Samsung”, la coincidenza fra gli interessi del grande gruppo e quelli dello Stato della Corea del Sud, percorre tutto il volume di Cain. Il rapporto squilibrato tra il colosso dell’elettronica e il potere politico che nella Corea del Sud ha avuto periodi di autoritarismo alternati a fasi di democrazia avanzata come quella di questi ultimi anni. Non è facile per nessun governo avere a che fare con una potenza economica che vanta un bilancio analogo a quello di uno Stato. Soprattutto se questa potenza garantisce lavoro e benessere a centinaia di migliaia di cittadini. «Se non entri in Samsung sei un fallimento e non esisti» dice uno degli intervistati da Cain.
In qualunque rapporto fra potenti c’è sempre uno scambio di favori. Ovunque accade altrettanto spesso che il moral hazard favorito da una sostanziale condizione di impunità faccia inciampare quei potenti come i Lee: poi tanto arrivano la grazia presidenziale e le modifiche delle normative ad personam per sospendere i procedimenti. Le ultime grandi crisi finanziarie mondiali e i mercati colpiti dalla pandemia, dunque alla ricerca disperata di una ripresa accelerata, favoriscono perdoni e condoni.
In questa situazione come si fa a decapitare una potenza che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone? Che rappresenta per loro una prospettiva di benessere per i figli e per il futuro della famiglia? Cain ha calcolato che in caso di fallimento della Samsung il tasso di disoccupazione della Corea del Sud salirebbe dal 3,5% al 7,1%. Ma al di là delle vicende familiari e dei fatti di cronaca giudiziaria il primo saggio inchiesta su uno dei gruppi più importanti del mondo globalizzato fa emergere con chiarezza i fattori chiave dell’affermazione della Samsung grazie anche alle sue specificità culturali, così lontane dalle nostre, che hanno saputo sfruttare per conquistare i mercati di tutto il mondo.
La pesantezza di un’industria manifatturiera produttrice di componenti di fronte alla leggerezza della narrazione dei produttori di pc portatili e dei cellulari. Come vincere questa battaglia? Con la qualità e l’innovazione continua, con la personalizzazione massima del prodotto per il consumatore (tanti modelli e tanti prodotti sul mercato) dopo aver previsto quali saranno i settori di crescita in questi primi decenni del secolo xxi. (…)
Sul piano industriale resta incontrovertibile che sotto la guida della famiglia Lee Samsung è riuscita a imporsi come major player dell’economia globalizzata e tutto lascia prevedere che continuerà a esserlo a dispetto delle vicende giudiziarie. «Samsung diventerà la prima azienda nei non memory chips così come nel settore memory chips» ha detto Jay Y. Lee al presidente Moon, la ragione del suo ritorno a un completo status di libero cittadino. Un investimento promesso di 115 miliardi di dollari nei chip non-memoria che alimentano tecnologie emergenti come veicoli autonomi, robot medici e dispositivi che dipendono dall’intelligenza artificiale e il cui mercato rappresenta il 70% dell’intero mercato dei seminconduttori. Samsung Electronics competerà testa a testa con TSMC di Taiwan e con l’americana Intel.
Gli eventi accaduti nell’estate del 2021, pochi mesi dopo la pubblicazione del libro di Cain, paiono prefigurare un futuro di Samsung ancora sotto la guida della famiglia Lee.