Porcellum natalizio

Caos nel Pd, sfiduciato il segretario Roberto Ferrari. Ecco come e perché è caduta la maschera delle primarie

Al Pd reggiano il porcellum fa orrore. Ma basta chiamarlo primarie e anche il porco profuma di mughetto. Se per consultazione primaria si intende dirigismo dei vertici e logica spartitoria, le primarie del 30 dicembre saranno l’esaltazione dello spirito del porcellum. L’unica speranza è che questa volta gli elettori se ne stiano a casa: solo così questa messinscena avrà un termine. Leggere su facebook i vecchi arnesi del fu Pci che consigliano di votare i nuovi arnesi del nuovo Pci, rovina la sobria atmosfera invernale e costringe a trovare uno sfogo agli istinti suscitati da questo teatrino.

Ah ma c’è stato un democratico processo di scelta delle candidature. No, è stata una guerra fra bande, di quelle in cui i reggiani primeggiavano, specie in montagna, nei secoli scorsi. Ogni territorio, ogni potentato locale, ogni sgabuzzino di consenso ha cercato il suo angolino di gloria. Volevano candidarsi praticamente tutti gli iscritti con qualche bacino di voti consolidato, il che significa qualunque iscritto con più di cinque parenti vivi ababstanza da poter raggiungere il seggio.

Ci vuole senso dell’umorismo nel sostenere che le primarie siano uno strumento di apertura alla società civile: 7 candidati al parlamento, tutti carrieristi di partito, non se ne salva uno. Fesso chi scrive a stupirsi: Reggio è la città in cui in cui il partito è la società civile, ne occupa tutti gli spazi, ne indirizza tutti i processi, dall’economia alla produzione “spirituale”.

Ma le ultime vicende del Pd locale ci danno altre interessanti lezioni.

Come sempre accade, è nel momento della corsa alla poltrona che si capisce la vera essenza della politica: ovvero tradimenti&pugnali. E questa è stata una settimana di politica vera, autentica fino al midollo. Hanno cominciato i boy scout di Pagani domenica scorsa: alla votazione dei candidati Renziani, nel segreto del voto hanno azionato la ghigliottina che ha estromesso dai giochi l’assessore Natalia Maramotti, una che in mezzo ai ragazzi coi calzoni corti di C’è Beppe pareva un ufo fin dall’inizio. E infatti non ce l’ha fatta nemmeno a farsi candidare dalla correntina catto-innovatrice, lei che di cattolico e innovatore non si sa bene cosa avesse. Sfiduciata, impacchettata e rispedita alle riunioni di Giunta Delrio: vedremo quale sarà il prossimo treno a imbarcare l’assessora. A vincere la sfida per la candidatura femminile è stata Lucia Spreafico, un nome così solido che non è riuscito nemmeno a raccogliere le firme degli iscritti per correre: a maggior ragione la Maramotti dovrebbe fare, come si dice in questi casi, serie riflessioni sul suo caso.

Era solo l’inizio. Perchè poi sono entrati in campo i bersaniani, ed è stato come passare dalla lega dilettanti alla serie A. C’era un solo nome sicuro da mesi sui possibili candidati d’area: il sindaco di Casalgrande Andrea Rossi. Indovinate per chi sono scattate le Idi di Marzo?

Alla riunione decisiva è piombato in testa a Rossi un siluro chiamato Gianmaria Manghi: il sindaco di Poviglio contro quello di Casalgrande. E il giovane Rossi ha capito: per stavolta, non c’è trippa, visti i troppi gatti.

(Detto per inciso –  questa è stata solo una parte della grande ammucchiata dei sindaci: erano pronti a scendere in campo Daoli di Novellara, Gazza di Boretto, Marconi di Castelnovo Monti… alla fine, con un bello spintone del Partito, l’ha spuntata solo Antonella Incerti, una figura che non si è mai fatta particolarmente notare se non per i toni barocchi dei comunicati stampa che il suo municipio invia alle redazioni dei giornali).

Dietro all’affondamento di Rossi ognuno vede la mano che vuole: Marchi, Castagnetti, Pagani, la CIA, wikileaks, i talebani… Resta il risultato finale dell’operazione: il giovane rampante soffocato nella culla. Rossi era stato investito dai bersaniani a livello regionale e nazionale di un ruolo di primo piano in terra reggiana, una testa di ponte. Alla fine dei giochi nessuno, tranne i colleghi della zona ceramiche, l’ha sostenuto. Ognun per sé e Maino per tutti, dicono. Ma non solo.

L’affondamento dell’allegra macchina da Rossi è stato un elemento di chiarezza anche sulla corsa di un altro candidato. Gli àuguri di via Ghandi hanno capito una cosa dal volo dell’uccello Padulo in area Rossi: ovvero che l’apparato avrebbe sostenuto solo un nome per dare una vaga idea di rinnovamento, ovvero l’assessore Paolo Gandolfi, recentemente benedetto dall’asse Delrio – Luca Vecchi – Roberto Ferrari. L’accordo era chiaro ai più già durante Festareggio: Gandolfi in Parlamento, Vecchi sindaco. Se fossimo in quest’ultimo, ci compreremmo un paio di spalle d’acciaio, non si sa mai, meglio non fidarsi troppo.

Man mano che la fine della settimana si avvicinava, i presunti candidati cadevano come foglie d’autunno. Simona Caselli (Legacoop) out; Gianluca Chierici, out; Franco Corradini, out.

Poi, quando pensi di aver visto tutto, il colpo di coda: va tutto così a puttane che viene travolto dall’onda anche il segretario provinciale. Succede che tra i candidati ammessi a raccogliere le firme spunta una cattolica di sinistra, Vanna Iori, professoressa alla Cattolica di Milano. Un nome non si sa incoraggiato da chi, ma con un curriculum di tutto rispetto. Tra l’altro, unica rappresentante della società civile in mezzo ai soliti noti. Il meccanismo delle primarie penalizza la Iori: pochi giorni per raccogliere firme di iscritti ad un partito in cui pochissimi la conoscono. Ma c’è un piano B: alla direzione provinciale resta la facoltà di selezionare, a suo insindacabile giudizio, dei nomi per completare la lista dei candidati. Siccome i candidati sono quattro uomini e tre donne, tutti si aspettano un ripescaggio della Iori: per la parità di genere. Il segretario del Pd fa capire venerdì che la possibilità è concreta. Sabato mattina si riunisce il direttivo e Ferrari è esplicito: la Iori va candidata e se il direttivo votasse di no, beh, lui si sentirebbe di fatto sfiduciato. A favore della Iori si schierano Delrio e Castagnetti. Detto fatto: l’esecutivo boccia il ripescaggio 17 a 13. Vota contro una sfilza di donne che fa impressione. Pure Roberta Mori, presidente della commissione pari opportunità della Regione Emilia Romagna, dice no al ripescaggio.

Resta solo una domanda alla fine di questa bella settimana. Poteva andare diversamente? No. In queste circostanze cade la maschera e il Pd reggiano appare come una confederazione di cordate. Se la guida non è forte, tradimento&fratricidio sono dietro l’angolo.

Epaminonda De Ossorio

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