L’Avvocato di Strada difende chi è condannato alla povertà

Antonio Mumolo: la società ha smarrito il senso dell’equità

Nato nel 1962 a Brindisi, il presidente dell’associazione Avvocato di Strada (di cui è anche socio fondatore) Antonio Mumolo, risiede a Bologna dal 1984, e qui esercita sia l’attività professionale di giuslavorista che l’attività politica e di volontariato. Segretario per 3 anni della storica sezione “Bolognina”, consigliere comunale del PD a Bologna, dal 2008 al 2010  coordinatore del Forum PD Consumo e Risparmio. Membro della segreteria regionale del PD Emilia Romagna, ha ricoperto la carica di consigliere regionale presso l’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna nel corso della IX legislatura (2010-2014) e della X legislatura (2014- 2019). È stato eletto vicepresidente dell’assemblea regionale del Partito Democratico. E’ tuttora consigliere regionale nelle file del Pd.

In prima battuta, può spiegare esattamente di cosa si occupa un avvocato di strada?

Gli avvocati sono quelli che ce l’hanno fatta. Una professione, buona situazione economica, bella casa. In strada ci sono quelli che invece sono diventati poveri ed hanno perso tutto. Avvocati e strada, sembra un ossimoro, sembrano situazioni distanti ma non è così. In strada c’è anche fame di diritti e ci sono torti da riparare. A volte è proprio necessario l’aiuto di un avvocato per uscire dalla strada, anche solo per ottenere la residenza, madre di tutti i diritti. E occuparsi degli altri, anche gratuitamente, può dare un senso alla professione di avvocato. Così è nata l’associazione Avvocato di strada www.avvocatodistrada.it. Un’associazione che nasce per dare una risposta concreta ad una esigenza concreta. Siamo partiti in pochi, 20 anni fa, con l’idea di dedicare qualche ora del nostro tempo libero per offrire assistenza giuridica gratuita alle persone senza dimora.

Oggi siamo presenti in 59 città italiane e siamo diventati oltre mille volontari. Siamo diventati lo studio legale più grande d’Italia e quello che fattura di meno, praticamente niente. Difendiamo migliaia di persone ogni anno, circa 4000 solo lo scorso anno. Continueremo a farlo perché consideriamo valore che la giustizia sia uguale per tutti e che ogni cittadino sia davvero uguale davanti alla legge. Lo facciamo perché pensiamo che difendere i diritti dei deboli significhi alla fine difendere i diritti di tutti quanti noi. Avvocato e strada non sono poi così distanti, come non sono distanti le parole avvocato e volontario.  Fare volontariato significa infatti andare in soccorso di chi ha bisogno e la parola avvocato deriva dal latino, da ad voco, che significa andare in soccorso di chi ha bisogno.

Quali sono i casi-tipo in cui vi imbattete?

Affrontiamo questioni di ogni genere, dai casi di diritto del lavoro, diritto previdenziale, diritto di famiglia a quelli di diritto penale e diritto amministrativo. Ogni anno pubblichiamo, sul nostro sito, un bilancio sociale  nel quale sono descritte le cause affrontate. La problematica più diffusa è quella relativa alla residenza. Quando una persona non riesce più a pagare un affitto o un mutuo viene sfrattata e finisce in strada. Una volta in strada quella persona perde anche la residenza ovvero viene cancellata la sua iscrizione all’anagrafe di quel comune.  Così, da persona, diventa un fantasma. Questo accade perché la legge italiana collega una serie di diritti fondamentali -come il diritto al lavoro, il diritto al welfare, il diritto al voto e il diritto alla salute – al possesso di una residenza. In particolare la legge 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, stabilisce che “Gli  utenti  del  servizio  sanitario  nazionale  sono  iscritti in appositi elenchi periodicamente aggiornati presso l’unita’ sanitaria locale nel cui territorio hanno la residenza.” E così chi prima aveva una casa ed anche un medico, una volta in strada ha diritto solo a prestazioni di pronto soccorso, nonostante l’art. 32 della nostra costituzione reciti: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Il diritto alla salute si perde, si perde per strada. Da anni, insieme ad associazioni di volontariato laiche e cattoliche tra cui Piazza grande, Avvocato di strada, Sokos, Caritas, Sant’Egidio e tante altre, portiamo avanti una battaglia per garantire a queste persone la possibilità di curarsi.  E’ stata più volte presentata una proposta di legge nazionale, tramite alcuni parlamentari, per garantire un medico di base alle persone senza dimora, senza però alcun esito. Si è tentato di ovviare al problema supportando le tante associazioni di volontariato di medici che, nei vari territori, curano le persone senza dimora.

Poi è arrivato il Covid ed abbiamo visto tutti i limiti del sistema. Associazioni chiuse, nessuna cura disponibile, pronto soccorso preso d’assalto, focolai d’infezione nei dormitori e tra le persone senza tetto. Nell’emergenza pandemica le persone senza dimora, a causa del divieto di rivolgersi direttamente agli ospedali ed al pronto soccorso, se non per situazioni gravi, sono di fatto rimaste quasi totalmente prive di assistenza sanitaria.  Come se tutto ciò non bastasse le persone senza dimora non possono eseguire tamponi molecolari, per mancanza di prescrizione del Medico di Medicina Generale.  Ed è estremamente difficile per loro riuscire a vaccinarsi. Forse però la pandemia ci sta insegnando qualcosa, forse sta sgretolando piccoli egoismi, forse ci sta rammentando il valore dell’essere umano. Certamente il Covid ci ha ricordato che il diritto salute è un diritto collettivo ed è interesse della collettività che tutti possano curarsi. Si è finalmente compreso che è necessario curare anche le persone senza dimora per garantire la salute di tutti. Tra l’altro oggi il problema si chiama Covid 19, ma ieri si chiamava tubercolosi, epatite e mille altre malattie infettive che non venivano e non vengono curate.

Come è cambiata, se è cambiata, la situazione dopo la pandemia?

La povertà in questi due anni non è diminuita, anzi andiamo verso una crisi forse peggiore di quella che abbiamo alle spalle. Il Covid 19 sta producendo povertà, paura, lacerazioni sociali e distanziamento di coscienze.  E poi c’è la guerra alle porte dell’Europa e vengono in mente le parole di Bertold Brecht, ne “La guerra che verrà”, quando ricorda che “Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente”.

Dicono che il virus è democratico, perché colpisce poveri e ricchi.

In realtà non è così. In una società che ha smarrito il senso dell’equità, ogni crisi, soprattutto quando è grave come questa, colpisce la povertà due volte. Lo dimostrano le aberrazioni che abbiamo vissuto, quando si è giunti a sanzionare e multare persone senza tetto, come novelli untori, perché “non obbedivano all’ordine di rimanere in casa”. Senza nemmeno chiedersi come fa a restare in casa chi una casa non ce l’ha. Come se la povertà fosse una colpa ancor più grave in questa situazione, come se le centomila persone senza dimora nel nostro paese avessero scelto la loro condizione. Come se il fatto di non avere un medico di base e di non potersi curare, se non ricorrendo al pronto soccorso, dipendesse dalla volontà di chi vive in strada e non da una legge, sbagliata, del nostro Stato. Secondo gli ultimi dati Istat solo il covid ha prodotto un milione di poveri in più. Si teme che la guerra in ucraina farà altrettanto e dovremo attrezzarci nel nostro piccolo per affrontare quello che verrà.

Lei ha citato anche ultimamente la battuta di John Grisham “L’avvocato di strada “Prima di tutto sono un essere umano. Poi un avvocato. È possibile essere entrambe le cose”. Parafrasando, le chiedo, al di là della retorica: è secondo lei possibile essere considerati “essere umani” nella nostra società se al contempo si è poveri?

E’ possibile ma è difficile senza una battaglia culturale prima che giuridica. Perché la sfida maggiore è a monte, viene prima del momento in cui le persone si rivolgono ai nostri sportelli e noi forniamo loro assistenza giuridica, come facciamo con i clienti che vengono nei nostri studi. Diciamo che possiamo dividere gli utenti di Ads in due grosse categorie. Quelli che vengono per rivendicare un diritto qualunque come una separazione, il risarcimento di danni da incidente stradale, una retribuzione non pagata, il diritto ad una prestazione previdenziale, esattamente come fanno i clienti di qualsiasi studio legale. Quelli che vengono perché colpiti a causa della loro povertà, sanzionati semplicemente perché poveri.

Perché sappiamo che esiste uno stereotipo culturale che vede la povertà come una colpa e non come uno status-condizione che potrebbe capitare a chiunque. Il povero viene visto come colui che si trova volutamente in quella condizione, che se l’è cercata, che non ha fatto abbastanza per non finire in povertà. Il povero è colpevole di esserlo. E la colpa merita una punizione. Ci sono almeno tre tipi di punizioni inflitte normalmente ai poveri. La prima è una punizione di tipo sociale ovvero l’allontanamento, il girarsi dall’altra parte, il non voler avere alcun tipo di rapporto, la condanna del povero all’isolamento sociale e all’emarginazione.

La seconda e una punizione di tipo corporale ovvero insulti, spintoni, botte fino gesti estremi come dare alle fiamme chi dorme di notte su una panchina, così, per divertimento, e peggio per lui che è un barbone. La terza è una punizione di tipo giuridico, ed è qui che il sonno della ragione genera i mostri peggiori. E’ il legislatore stesso che emana leggi contro i poveri, come il divieto di dare la residenza e fornire acqua alle famiglie di occupanti immobili abbandonati, la norma finalizzata a negare la residenza ai richiedenti asilo, la scelta di togliere il reddito di cittadinanza agli “occupabili” anche in aree del paese nelle quali il posto di lavoro è semplicemente un miraggio. E poi ci sono i provvedimenti amministrativi dei sindaci, quelli che preferiscono fare la guerra ai poveri anziché battersi contro la povertà, come i fogli di via nei confronti dei poveri, le ordinanze per vietare di chiedere l’elemosina, quelle per costruire panchine che impediscono alle persone di dormirci etc.. C’è un baluardo a questa barbarie ed è il diritto; tante volte l’esercizio dei  diritti ha cambiato le menti delle persone. Un filosofo del secolo scorso ha scritto che un libro è un’arma ed anche il codice lo è. Quello che serve però, la sfida maggiore che ci attende è combattere questo stereotipo povertà = colpa e lo si può fare solo favorendo una crescita culturale che cambi le menti ed i pregiudizi delle persone

Le misure meloniane del taglio e poi azzeramento del reddito di cittadinanza, il cancellamento dei fondi per i contributi affitto e per la morosità incolpevole, alla luce delle vostre attività, che impatto potrebbero avere sulle povertà e i diritti? 

L’impatto sarà drammatico e sembra assurdo che il Governo, nonostante tutti i dati a disposizione non se ne accorga, Il risultato sarà che avremo altre migliaia di persone in strada, senza speranza e senza via d’uscita. La povertà allora diventerà un tema di ordine pubblico ed è proprio ciò che nessun governo dovrebbe volere. Quando la gente chiede pane non si può rispondere “dategli brioches”. La storia dovrebbe insegnarci almeno questo.

A Firenze, proprio circa i diritti assoluti di cui sono titolari i cittadini, avete vinto una simbolica battaglia sul diritto alla residenza. A seguire, mentre a Firenze l’amministrazione non ha dato segnali, a Roma il sindaco Gualtieri ha anche ammesso l’allacciamento delle utenze nelle occupazioni. Non vi preoccupa il grado di discrepanza territoriale nell’applicazione delle leggi,  e di conseguenza, cosa pensa dell’autonomia differenziata? Ritiene che possa incidere ancora e in modo peggiorativo, sulla pienezza dei diritti dei più fragili socialmente? 

Ci preoccupa moltissimo che la legge sulla residenza non venga applicata in maniera uniforme nel territorio dello stato, nonostante le tante sentenze ottenute. Pur esistendo un diritto soggettivo alla residenza infatti, moltissimi comuni la negano alle persone senza dimora, con le più disparate motivazioni (per un approfondimento https://www.avvocatodistrada.it/senza-tetto-non-senza-diritti-il-nostro-rapporto-di-ricerca-su-residenza-anagrafica-e-persone-senza-dimora/). Sarebbe necessaria almeno una circolare interpretativa del Ministero dell’Interno su come la legge esistente debba essere applicata dai Comuni. Sull’autonomi differenziata, che è cosa diversa dall’interpretazione fantasiosa della medesima legge da parte di diversi comuni, ci sono diverse proposte i cui contorni però non sono ancora chiari. Se però il risultato di tali proposte comportasse, anche solo in ipotesi, un aumento dei divari che già ci sono tra le regioni, togliendo risorse a territori già in difficoltà, il giudizio non potrebbe essere che negativo.

Foto: Antonio Mumolo

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