Alcune drammatiche vicende negli ultimi ottant’anni hanno dimostrato che è possibile, con interventi esterni, militari ed economici, diretti o indiretti, mettere in crisi la democrazia di un Paese.
Qualche esempio: Intervento sovietico in Ungheria (1956) e in Cecoslovacchia (1968), intervento degli Stati Uniti in Guatemala (1954) e in Cile (1973).
Al contrario, gli interventi per esportare la democrazia non hanno successo e provocano danni incalcolabili. L’esempio più drammatico è stato l’intervento degli Stati uniti in Iraq (2003).
Ogggi abbiamo sotto gli occhi il caso dell’ Afghanistan. Attaccato perché forniva supporto alla guerra santa di Obama Bin Laden, ma di fatto per l’eliminazione del regjme talebano al potere dal 1996 (dall’ultimo articolo di Gino Strada).
Il passato non ha insegnato nulla.
Le tre guerre Anglo-Afghane (1839-1842, 1878-1881, 1919) si conclusero con un sostanziale insuccesso degli inglesi che dovettero rinunciare al controllo del Paese.
La guerra Sovietico-Afghana (1978-1989) ebbe inizio con l’intervento delle forze armate sovietiche, richiesto dal presidente Amin per sconfiggere un’insurrezione. Queste furono efficacemente contrastate dai guerriglieri afghani, i mujaheddin, sostenuti dagli armamenti e dall’appoggio logistico fornito da Stati Uniti, Regno Unito, Pakistan, Iran, Arabia Saudita, e Cina. Si stima che l’America abbia fornito alle forze della guerriglia 65000 tonnellate di armi, fra cui i micidiali missili Stinger, e aiuti economici per quasi 500 milioni di dollari.
Ricordo una riunione, a Mosca (credo nel 1983), del nostro gruppo USPID (Unione Scienziati Per Il Disarmo) con gli omologhi sovietici; uno di noi chiese ai colleghi sovietici due cose, il rilascio di Andrei Sacharov, a quel tempo esiliato a Gor’kij, e la fine dell’intervento in Afghanistan. Ma solo l’avvento di Gorbachev portò alla conclusione del conflitto, con la ritirata delle truppe conclusa il 15 febbraio 1989.
Le stime delle perdite afghane vanno da 670.000 a 2 milioni di civili morti, 1.200.000 disabili e circa 3 milioni di feriti.
In seguito scoppiò una guerra civile, conclusasi nel 1966 con l’avvento al potere dei talebani, guidati dal mullah Mohammed Omar, che imposero regole sociali repressive, derivate dalla rigida interpretazione dei testi islamici.
Queste guerre sono state il brodo di cultura del fanatismo islamico (di impronta saudita); con il commercio degli oppiacei (^) e con i soldi sauditi e pakistani 35000 musulmani provenienti da tutto il mondo hanno infoltito le fila dei combattenti afghani.
(^) Secondo gli Usa rappresenterebbe il 60% delle entrate dei talebani. La coltivazione di papaveri ha portato l’Afghanistan a raggiungere una situazione di quasi monopolio mondiale nella produzione di oppiacei (eroina e morfina in particolare). Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), l’Afghanistan produrrebbe l’81% dell’oppio secco, seguito dal Messico (6%) e dal Myanmar (5%). Nel 2019 il 58% delle tasse imposte ai coltivatori andavano ai talebani, il 15% ai potentati locali, il 10% a gruppi antigovernativi, il 9% a polizia e pubblici ufficiali, l’8% ad altri.
Oggi assistiamo alla disfatta della coalizione a guida Usa, con il coinvolgimento dei Paesi Nato (51 contingenti). La guerra è durata vent’anni, dall’ottobre 2001, ma la dacisione di attaccare l’Afghanistan era stata presa già da un anno, perché i talebani appoggiavano la “guerra santa” di Osama Bin Laden (ucciso in seguito, la notte fra l’1 e il 2 maggio 2011 ). (*).
L’invasione del 2001 ha provocato la fuga di 7,5 milioni di persone, due terzi delle quali verso il Pakistan e un terzo verso l’Iran; in seguito più di 5 milioni hanno fatto rientro nel Paese.
(*) La rete terroristica di al-Qaida, responsabile degli attentati, aveva il suo quartier generale in Afghanistan e godeva dell’appoggio dei talebani. Ricordiamo che l’attentato alle torri gemelle non era stato condotto da afghani, ma da terroristi provenienti dall’Arabia Saudita, così come saudita era Bin Laden; ma l’Arabia Saudita era, e rimase, una solida alleata degli USA.
Nel dicembre 2010 le truppe contavano più di 130.000 soldati, circa 90.000 dei quali americani. E’ costata circa 240000 vittime dirette e altre centinaia di migliaia per la fame e le malattie; i Paesi coinvolti hanno sostenuto una spesa complessiva di più di 900 miliardi; secondo altre fonti agli Usa è costata 2000 miliardi di dollari: circa 55 miliardi in progetti per la ricostruzione, di cui 36 miliardi al governo afghano e a progetti di sviluppo, mentre altri fondi sono andati alle campagne anti-droga e di aiuto umanitario; all’Italia è costata quasi 9 miliardi di euro, dei quali 840 milioni alle Forze Armate afghane. ( e 54 vite e circa 700 feriti). E il tutto in un Paese il cui grado di corruzione tanto nel governo centrale quanto ai livelli amministrativi più bassi è fra i più alti al mondo (l’Afghanistan è al 174° posto su 176 Paesi).
Il governo di Karzai prima e di Ghani, insediati sotto la protezione delle forze Usa e Nato, corrotti e screditati, tuttavia hanno garantito quel minimo di libertà, soprattutto alle donne, che ora rischia di sparire sotto l’egida dell’Emirato islamico.
La più lunga campagna mjlitare di tutti i tempi per gli Usa.
Oggi I talebani, tornati nella stanza dei bottoni, hanno mostrato un nuovo volto: sorridono alle telecamere, rispondono alle domande delle giornaliste donne, promettono stabilità e respingono la vendetta, assicurano la tutela dei diritti, sebbene sotto la sharia (£).
(£) La Sharia è il codice, basato sul Corano, che regola la vita dei musulmani praticanti, con indicazioni sul modo di pregare, di fare il digiuno e di donare ai meno abbienti, in accordo con il volere di Allah. In base all’interpretazione territoriale, la legge islamica può essere più o meno proibitiva nei confronti dello stile di vita occidentale e dei diritti delle donne.
I talebani dal 1996 al 2001 hanno bandito la televisione e gli strumenti musicali, hanno imposto restrizioni sul comportamento, l’abbigliamento e gli spostamenti; per reati banali sono state previste condanne esemplari, come il taglio delle dita per chi osava indossare lo smalto. Per l’adulterio era prevista la condanna a morte per lapidazione.
Inoltre hanno promesso di fermare il narcotraffico (“).
(“) Non sarebbe semplice: ci lavorano centinaia di migliaia di persone le cui famiglie spendono per cibo e altri beni di prima necessità. Per estirpare la produzione di oppio sarebbe necessario trovare valide alternative di lavoro.
A Doha il portavoce Suhail Shaheen ha detto che vogliono un trasferimento pacifico del potere, che centinaia di scuole femminili continuano a funzionare e che le donne possono avere accesso all’educazione e al lavoro (purché osservino la sharia!).
Ma queste dichiarazioni sono contraddette dalle drammatiche notizie che giungono da varie fonti, e i nuovi padroni vanno valutati dalle loro azioni, non dalle loro parole (%).
(%) Non che la vita di una donna fosse agevole anche negli ultimi anni senza talebani; ActionAid riporta le storie di spose bambine e matrimoni forzati che ancora coinvolgono tra il 60 e l’80% delle Afghane nonostante l’impegno di decine di Ong impegnate sul campo nella tutela dei diritti umani.
Le preoccupazioni sono su vari fronti:
che il nuovo potere imponga alla società una stretta interpretazione della legge islamica, che ignora i principi dei diritti umani, soprattutto verso le donne;
che si scateni la vendetta sulle persone che hanno collaborato con le forze occupanti;
che l’accresciuta presenza di estremisti dello Stato Islamico (°) rilanci la violenza e gli attentati e costituisca una base per minare la stabilità nell’Asia Centrale;
che si crei un flusso massiccio di profughi verso i Paesi confinanti;
che aumenti la produzione e la diffusione di narcotici, anche se i talebani si dichiarano contrari alle droghe.
(°) dopo essere stata sconfitta in Iraq e in Siria, l’organizzazione terroristica è rinata con gruppi sparsi nel Sahel, Mozambico, Mali, Nigeria (Boko Haram), Burkhina-Faso, Yemen.