Toscana e mafia, i beni confiscati sono 687, pesano i tempi lunghi delle assegnazioni

Firenze – Degli oltre 40mila beni sottratti su tutto il territorio nazionale alla criminalità organizzata, la Toscana ne contempla 687 sul suo territorio. Si tratta di beni molto diversi fra loro, che vanno da alloggi a terreni, ai capannoni artiginali o industriali, a vere e proprie aziende. Un numero che pone la Toscana al nono posto in Italia  per i beni sottratti alla mafia.

Il punto sullo stato delle cose e su come si sviluppa l’impegno degli enti istituzionali, dallo Stato alla Regione fino alle Province e ai Comuni, è stato fatto stamattina lunedì 28 novembre in un convegno organizzato dalla Regione in collaborazione con il suo Centro di documentazione cultura legalità democratica, titolato “I beni confiscati alla mafia in Toscana. L’impegno dello Stato, della Regione e degli Enti locali per restituirli all’uso pubblico”. 

All’incontro, oltre al presidente Eugenio Giani, all’assessore regionale Stefano Ciuoffo, al prefetto di Firenze Valerio Valenti e al Direttore dell’ùagenzia Nazionale dei Beni confiscati Bruno Corda, ai rappresentanti dell’associazionimso (don Andrea Bigalli per Libera e Salvatore Calleri con Maurizio Pascucci per la Fondazione Caponnetto) erano presenti molti dei sindaci dei Comuni piccoli e grandi che in Toscana si sono trovati ad affrontare il problema, dal sindaco Gabriele Berni di Monteroni d’Arbia, sul cui territorio insiste il più grande sequestro alle cosche avvenuto in terra toscana, ovvero l’azienda agricola di Suvignano, ma anche il sindaco Giovanni Capecchi di  Montopoli Val d’Arno, la sindaca di Altopascio Sara D’Ambrosio, la sindaca di Castagneto Carducci Sandra Scarpellini. Presente anche, in rappresentanza del Comune di Firenze, l’assessora al welfare Sara Funaro.  Una testimonianza importantissima, al di là dei numeri, quella dei sindaci, in particolare quelli dei piccoli comuni, che danno la vera fotografia della realtà. Ovvero quanto la presenza delle cosche si inserisce su territori che si pensano al di là di ogni possibile contaminazione, ne diventano parte, se ne impadroniscono facendo saltare equilibri secolari e , quando vengono riconosciuti, sono già molto spesso dentro al tessuto sano in cui si sono inoculati in sordina. Anche se, come fa notare a Stamptoscana l‘esperto di beni confiscati della Fondazione Caponnetto, presente con il presidente Salvatore Calleri (presente all’inizio del convegno), Maurizio Pascucci, sarebbe importante alzare il livello sociale di consapevolezza sulle presenze mafiose nei territori, in particolare da parte degli enti locali ma anche del tessuto economico sano.

Riferendosi al tavolo regionale su beni confiscati istituito a suo tempo, don Andrea Bigalli di Libera chiede se l’icontro odierno può considerarsi una nuova tappa in continuità con quell’appuntamento “un tavolo in cui emersero due punti significativi, ovvero i percorsi formativi per gli amministratori giudiziari, che esistono già ma sarebbe importante che la Regione assumesse un ruolo di coordinamento per pianificare questo tipo di formazione; l’altro, la visibilità che è legata alla formazione culturale che respinge la mafia. Abbiamo bisogno di accendere le luci su questo evento (ad esempio la riconsegna alla comunità di un bene confiscato, ndr), senza scordare la necessità i fare interventi molto rapidi, creando magari anche un data base di realtà sociali disponibili alla gestione del bene. Bisogna cominciare, da parte nostra a investire su imprenditoria di altro tipo, giovanile, femminile, migratoria”.

“In Toscana ci sono due beni particolarmente significativi tra quelli sequestrati alla mafia: oltre Suvignano, non dobbiamo dimenticarci di un bene, recentemente acquisito, di grandissima estensione, il possedimento di Chiusdino – dice, a margine del convegno, il presidente della Fondazine Caponnetto Salvatore Calleri – la Toscana è con ogni evidenza vista come un territorio dove investire i proventi delle organizzazioni criminali. Con un profilo in più: si tratta di investimenti produttivi, in quanto i beni confiscati molto spesso, sono vuoti e privi d valore. Quelli invece che sono stati confiscati in Toscana son pieni di valore. E’ una riflessione da fare”.

“A conferma di ciò – incalza Pascucci – dei 15mila beni confiscati che sono in Italia, oltre il 60% è inutilizzato, in quanto si tratta di beni disastrati, dal punto di vista giudiziario e strutturale. I beni in Toscana sono nvece di buna qualità. Quindi i 365 beni confiscati in Toscana in gran parte sono utilizzabili. Per questo, in Toscana c’è necessità di unpattenzione maggiore sull’affidamento, in quanto se in Toscana secondo la regola generale un bene non viene affidato, viene messo all’asta e chi compererà all’asta ottime proprietà, chi ha soldi liquidi da impegare? In generale, chi li ricicla. Dunque, il mondo dell’associaizoonismo, delle cooperative, i privati, si devono attivare per prendere in affidamento i beni confiscati. La Toscana, più di altri, ha questa caratteristica anomala: si tratta quasi sempre di beni di ottima qualità”.  Il convegno, dopo l’apertura del presidente Eugenio Giani, è stato condotto dall’assessore  regionale alla Cultura della Legalità, Stefano Ciuoffo. 

Cuore dell’incontro sono, oltre alle testimonianze dei sindaci, i numeri, tracciati in una sintesi significativa dal funzionario regionale Andrea Biondi, facente parte del settore regionale Affari istituzionali e delle autonomie locali e cultura della legalità, che spiega, oltre a riportare i numeri, anche come leggerli. Dunque, i beni confiscati in Toscana sono 687, sia destinati che in gestione, distribuiti su 68 Comuni, ovvero un Comune toscano su 5 ha dei beni confiscati sul suo territorio. I beni in gestione presso l’Agenzia nazionale sono 508, mentre quelli già destinati sono 179. 

“I beni in gestione – dice il dottor Biondi – dovrebbero vedere assegnazioni veloci, ma non è così”. Di quelli confiscati, infatti, solo 284 lo sono in via defintiva. Di questi, molti hanno problematiche importanti che li stoppano: molti sono occupati, hanno pesi giudiziari come ad esmepio ipoteche, spesso sono confiscati solo in parte. Nellutlima conferezan servizi sul tema, spiega Biondi, dei 4 comuni presenti, i beni in gestione con confisca defintiva erano 68; solo 9 di qeusti erano concretamente sottoponibili a progetti, in altre parole “agibili”. “Inoltre – dice ancora Biondi – dobbiamo fare i conti col fatto che i numeri sono senz’altro sovradimensionati, in quanto “l’unità di misura è quella catastale”. Così, se si confisca una villetta, risultano almeno tre beni: abitazine, garage, giardino. Ma in realtà si tratta di uno solo. Pensiamo a quando si passa alla confisca di aziende agricole o terreni con coloniche, con tutti gli annessi e le unità di servizio che contengono. Stessa cosa per aziende industriali e via di questo passo. Per questo, è necessario, continua il funzionario regionale, considerare gli edifici principali, oppure produrre le localizzazioni.

In ogni caso, una volta assegnati, ecco cosa succede ai beni, facendo qualche esempio: in 11 casi (sono per lo più gli appartamenti) sono andati all’emergenza abitativa; sempre con finalità sociali, 3 sono andati a coprire la necessità di case famiglia; 2 sono diventati centro sociali polifunzionali e altri progetti a finalità sempre sociale. Oltre al caso storico dell’azineda agricola di Suvignano, bellissima anche l’esperienza in corso di Castagneto Carducci, la cui sindaca ha illustrato il recupero a fini sociali collettivi di un panificio industriale con tanto di macchiinari costosissimi all’interno, o quello di Altopascio, oppure di Montopoli. Segnaliamo che a Firenze, città ad alta tensione abitativa, esiste un bene confiscato che consta di un appartamento di oltre 200 metri quadri limitrofo al centro. E che 13 sono stati posti in vendita.

Ed ecco i dati dei beni per provincia, sottolineando che si tratta di beni sottratti definitivamente alle mafie: in testa è Grosseto con 80, seguita da Pistoia con 62 e da Prato con 47. In fondo Firenze, con 13 beni. Il totale ammonta a 284 in tutta la Toscana. Inoltre, sui 68 (su 273) Comuni toscani che hanno sul proprio territorio beni sottratti alla criminalità, il maggior numero di Comuni per provincia si trova a Pistoia con 14 Comuni, seguita da Siena con 11 e da Livorno con 9. In pratica i beni sequestrati alle mafie sono presenti in un comune toscano su quattro.

Volendo fare una prima sintesi, non si può scordare l’elemento tempo, una delle criticità al momento con ogni probabilità più gravi. Vale a dire, il tempo che trascorre fra la confisca e l’assegnazione definitiva. Nel frattempo il bene può deteriorarsi perdendo valore, essere deteriorato appositamente dagli stessi titolari, ecc. Dunque, può arrivare alla consegna in conizioni pessime, che ne giustificano il rifiuto da parte dell’ente locale di occuparsene.  Ed è proprio su questo trma che scatta forte la chance in più, in verità già attivata in Toscana, dell’aiuto ai comuni da parte della Regione Toscana. L’assessore Stefano Ciuoffo, dopo aver osservato che la mattinata odierna è stata “un’importante occasione di confronto con l’Agenzia nazionale dei beni confiscati, con le Prefetture, con le Amministrazioni comunali e provinciali e con l’associazionismo”, ha messo le carte sul tavolo per quanto riguarda i tempi e l’aiuto.

“Puntiamo – ha precisato – a ridurre tempi necessari all’assegnazione: nove anni di media sono davvero troppi, anche se da questo punto di vista sono stati fatti molti passi avanti nel processo di velocizzazione delle procedure. Sono ormai maturi i tempi per una legge capace di snellire le troppo spesso defatiganti procedure che devono essere seguite e mi auguro si riesca ad approvarla presto. Il confronto su questi temi con il direttore nazionale dell’agenzia dei beni confiscati, prefetto Bruno Corda, e con il prefetto di Firenze, Valenti, non è mai mancato e colgo l’occasione per ringraziarli per il loro impegno. La Regione crede molto nella necessità di recuperare immobili e terreni al fine di restituirli alle proprie comunità locali, dando così una risposta alle diverse esigenze di carattere sociale. Per tali ragioni la Giunta regionale ha stanziato per il triennio circa 5,5 milioni di euro. Vi sono ancora risorse disponibili rivolte agli enti locali ed occasioni come quella di oggi possono rappresentare uno stimolo oltre che un momento di approfondimento”.

Anche il presidente Eugenio Giani aveva messo l’accento sulla velocizzazione dei procedimenti e la necessità che la Regione sorregga i Comuni, in particolare quelli piccoli:  “Non possiamo sequestrare i beni e poi essere costretti a tenerli inutilizzati per anni. Per accorciare i tempi serve un gioco di squadra tra Stato, Prefetture, Regione e Enti locali e soprattutto la concretezza degli amministratori”, aggiungendo:  “Dobbiamo essere in grado di trovare per loro una finalità sociale. La Regione Toscana sta facendo e continuerà a fare la propria parte per finanziare i progetti di recupero che ci verranno sottoposti e non abbiamo nessuna intenzione di tagliare i 5,5 milioni di euro che abbiamo destinato a questo scopo da qui al 2024, nonostante quest’anno dovremmo far fronte ad un aumento delle sole bollette energetiche per la sanità di 190 milioni di euro. Quella per il recupero a fini sociali dei beni sottratti alle mafie è e resta una delle nostre priorità”.

Da parte sua anche il prefetto di Firenze, Valerio Valenti, si è soffermato sui tempi lunghi necessari per poter utilizzare i beni sottratti alle mafie: “Il nostro compito – ha precisato – è quello di stare a fianco degli enti locali perché si riesca ad accorciare i tempi attraverso un gioco di squadra tra Regione, Enti locali, e Stato, che dia al cittadino il segno della volontà comune di contrastare le mafie. In Toscana ci sono molti immobili sequestrati, ma meno che in altre regioni del nord Italia. Il che significa che le infiltrazioni criminali qui da noi sono meno invasive e che il nostro tessuto sociale è sano e non permette il radicamento delle organizzazioni mafiose, anche se siamo di fronte ad un pericolo crescente”.

Infine il direttore dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, Bruno Corda, ha ricordato che la situazione in Toscana “è molto positiva per ciò che riguarda il contributo fornito dalla Regione per affrontare questo tema. In Toscana ne abbiamo già destinati in via definitiva circa 270 la grandissima parte dei quali agli enti locali. E altri contiamo di consegnarne in futuro”.

“Credo poi che sia importante il contributo, sia economico che di supporto che sta dando la Regione – ha precisato Corda – nei confronti degli Enti locali e soprattutto dei più piccoli. C’è non soltanto un problema di finanziamenti, ma di progettualità. Dobbiamo quindi essere capaci di dare una mano a chi ne ha bisogno per progettare una nuova vita sociale per i beni sequestrati e assegnati. Per arrivare alla confisca definitiva e alla destinabilità dei beni occorre attendere i tre gradi di giudizio. Noi siamo riusciti a velocizzare molto, anche con il contributo delle Prefetture, l’iter necessario all’assegnazione dei beni”.

Per quanto riguarda i due rappresentati dell’associazionismo presenti, don Bigalli di Libera mette l’accento sul tavolo regionale sui beni confiscati istituito a suo tempo,  chiedendo se l’incontro odierno può considerarsi una nuova tappa in continuità con quell’appuntamento “un tavolo in cui emersero due punti significativi, ovvero i percorsi formativi per gli amministratori giudiziari, che esistono già ma sarebbe importante che la Regione assumesse un ruolo di coordinamento per pianificare questo tipo di formazione; l’altro, la visibilità che è legata alla formazione culturale che respinge la mafia. Abbiamo bisogno di accendere le luci su questo evento (ad esempio la riconsegna alla comunità di un bene confiscato, ndr), senza scordare la necessità di fare interventi molto rapidi, creando magari anche un data base di realtà sociali disponibili alla gestione del bene. Bisogna cominciare, da parte nostra a investire su imprenditoria di altro tipo, giovanile, femminile, migratoria”; Maurizio Pascucci, Fondazione Caponnetto,  sottolinea “la Toscana è terra di mafia, i mafiosi non venivano a passeggiare in regione. I beni confiscati, che risalgono a 30-40 anni fa, lo stanno a dimostrare. Dimostrano anche che esiste, o perlomeno è esistita, una sottovalutazione del fenomeno da parte della politica della nostra regione”.

 

 

 

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