Fake news: onorate il filosofo “russo-tedesco” Immanuel Kant

Parigi – Si sa che una narrazione unica del nostro passato non esiste, che ogni paese tende a riscrivere la storia tenendo conto anche dei miti e leggende indispensabili a una forte immagine della propria nazione. Carlo V, ad esempio, era diventato per le mie figlie che andavano a scuola a Bruxelles «l’imperatore belga» : la sua nascita a Gand prevaleva su tutto..

Me ne sono ricordata ieri, sfogliando su Instagram tutti quegli inviti a percorrere il mondo che ti arrivano, quasi per magia, sul piccolo schermo del tuo cellulare. Una serie di post mi aveva incuriosito: erano foto di Koenigsberg, ora Kaliningrad, la città che meglio sembrava incarnare lo spitito prussiano, dalla fine della seconda guerra mondiale ora diventato l’ importante porto della Russia sul Baltico chiuso nell’enclave tra Polonia e Lituania.

Koenigsberg, a noi che studiavamo filosofia, ci rimandava col pensiero immediatamente al grande filosofo Immanuel Kant che aveva trascorso tutta la sua vita nella capitale della Prussia orientale. Lì era nato nel 1724, lì aveva insegnato e scritto le sue opere che dovevano tanto influenzare la filosofia occidentale, lì era morto nel 1804 lasciando il ricordo di un uomo così preciso e meticoloso che gli abitanti della città regolavano i loro orologi sui suoi spostamenti.

Ritenuto una gloria della città , Kant era stato sepolto nella cattedrale, laddove ancora gli si può rendere omaggio nonostante i combattimenti prima tra alleati e russi e poi la determinazione dell’esercito sovietico a cancellare ogni traccia dell’odiato mondo prussiano avessero praticamente raso al suolo la città. A Koenigsberg/Kaliningrad, ero andata negli anni ’90 via mare dalla Polonia e avevo trovato una città che poco o nulla conservava del suo passato ma non aveva perso il «portamento» di chi un tempo era stata bella. Il porto era un ammasso di imbarcazioni arrugignite, la cattedrale era semidistrutta, il grande mercato all’aperto suggeriva vite di grande miseria, i soldati russi circolavano con uniformi piene di patacche, le caserme erano chiuse non da cancellate ma da fili di spago. Orgoglio della città era rimasta la grandiosa stazione ferroviaria che i bombardamenti non avevano danneggiato.

E’ leggendo le didascalie che accompagnavano i post che mi sono ricordata come non vi sia limite alle sorprese della riletture del passato: come non sobbalzare alla lettura di un Kant diventato un filosofo «russo-tedesco» ?  Secondo l’estensore del post, la cittadinanza russa a Kant era giustificata dall’ukase con cui durante la guerra dei sette anni la zarina Elisabetta I aveva incorporato Koenigsberg nel suo impero dal 1758 al 1762 con il beneplacito degli abitanti mai perdonati da Federico II che li avrebbe considerati dei traditori.

Evidentemente questi 4 anni in pieno conflitto paneuropeo per alcuni sarebbero sufficienti a fare attribuire al grande Kant anche connotati slavi. Un’attribuzione che, secondo il post, avrebbe avuto un importante ruolo, quello far rinunciare alle autorità sovietiche, che dal 1945 avevano incamerato la città, di radere al suolo la cattedrale che in un raid aereo britannico nell’agosto del 1944 aveva perso il tetto e reso le mura pericolanti. A impedire che la chiesa facesse la fine del vicino castello dell’Ordine teutonico ci fu una vasta mobilitazione che vinse la battaglia proprio grazie alla presenza della tomba di Kant, presentato come il grande filosofo «russo-tedesco». L’argomento funzionò e quindi si può attribuire al padre dell’imperativo categorico anche il merito di avere salvato la cattedrale.

Foto: la tomba di Kant a Koenigsberg

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