Doris Lessing apre una collana di narratori di lingua inglese

Pisa –  “Papyngo”, il leggendario pappagallo dei poeti Lindsay e Skelton, è il titolo della collana appena nata da ETS editore di Pisa: rifarà il verso in italiano, beccando in lungo e in largo nelle letterature di lingua inglese (britannica,  americana e postcoloniale),  a quanto c’è di fresco, aereo, capriccioso, eccentrico, naïf, “leggero” (secondo le indicazioni di Calvino), ma anche a volte pensante se non pesante in termini di contenuto.  Si occuperà di testualità brevi, dando la precedenza alla narrativa ma pronto a sconfinare negli altri generi, poesia, teatro e saggistica creativa non servile. Senza limiti di tempo, e senza testo a fronte, ogni traduzione sarà nuova, affidata a curatori di vaglia che ne firmeranno anche l’introduzione e la cura degli apparati. Naturalmente chi promette degli inediti non sa quello che dice, e non ci sono più capolavori nascosti da dissotterrare: Papyngo cercherà magari testi rari, bisognosi di ritraduzione e di reinquadramento, o davvero sfrutterà l’eccentricità anglosassone e le sconosciute, impensabili escursioni nel letterario di qualche “esterno” famoso in altri campi del sapere.

Intanto, volendo dare un segnale e al tempo stesso cogliere l’occasione di un doveroso omaggio, è uscito Il giorno che morì Stalin (a cura di Cristina Gamberi, traduzione di Bianca Tarozzi), come molti convengono il più riuscito dei numerosissimi e variegati racconti di Doris Lessing, la scrittrice “inglese” (in realtà ci sarebbe da fare un lungo discorso sulla sua nazionalità) recentemente scomparsa, Premio Nobel 2007 per la letteratura. Questo racconto è proprio leggero come nei programmi della collana: un miracolo narrativo anzitutto perché, al di là dell’obiettivo (di bollare da una posizione salomonica e stemperata il fanatismo acritico dei circoli comunisti e il qualunquismo reazionario dell’uomo comune), è opera di un novelliere puro, e con le sue pochissime e frizzanti pagine, e i suoi quadri fenomenologici sbrigati con bozzettismo consumato e perciò imprevisto, è immune dal difetto più irrisolto e cronico della narrativa lessinghiana, la prolissità delle trame, impostate di solito in laboriosi archi temporali.

Qui si racconta invece, senza indugi, di una tarda mattinata e di un primo pomeriggio di un giorno qualsiasi – ma un solo giorno –  quando Stalin è prima annunciato in fin di vita dalle locandine dei giornali, e la sua morte è più tardi confermata dai media. Il racconto studia sì, o accenna alla cauta disillusione della voce narrante, attribuita a una sosia lessinghiana che è una scrittrice dell’intellighenzia rossa londinese; ma Lessing è soprattutto brava ad oggettivarla in scenette ravvicinate e successive, nelle quali si dimostra in atto, anziché essere teoricamente discussa, una rosa di perplesse, idiosincratiche e anche felicemente umoristiche, per non dire decisamente comiche reazioni alla notizia che è nell’aria. Si tratta di una delle pochissime volte in cui un singolo brano di prosa lessinghiana si arricchisce di tante sottili sfumature e implicazioni.

È imminente intanto l’uscita del secondo numero della collana, che sarà I gemelli di Vanna (a cura di Luca Manini), squisito racconto di Christina Rossetti, la poetessa vittoriana quartogenita del patriota emigrato Gabriele Rossetti di Vasto, e sorella dell’altrettanto celebre Dante Gabriel Rossetti. Denso di grazia e di nostalgia italiana racconta esso pure di una sosia dell’autrice che visita la casa ospitale e profumata di aromi meridionali di una coppia di emigrati. Ed è in preparazione un terzo, una raccolta dei principali racconti del tempo della guerra civile americana dello spiritato Ambrose Bierce.

 

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