Amintore Fanfani, il dramma della povertà e il diritto alla casa

Firenze – “Riassumere in una sintesi accettabile l’esperienza culturale e politica di un personaggio articolato e complesso come Amintore Fanfani – scrive Gianfranco Peroncini nelle prime pagine del suo recente saggio “Il pane quotidiano, Fanfani e il sovranismo cattolico” (edizioni La Vela) – è tutt’altro che impresa facile”.

Pertanto, l‘autore di questo libro si affida a una metafora affermando che “come premessa e punto di aggancio per scalare una parete estremamente impegnativa, è parso interessante coniugare il percorso spirituale, culturale e politico di questo “cavallo di razza” democristiano con il focus della Guerra fredda, chiave di volta della prima Repubblica nella quale la trama e l’ordito della sua personale traccia esistenziale e storica si sono intrecciati strettamente, disegnando lucide previsioni talvolta anche in aspra controtendenza rispetto ai suoi colleghi di partito”.

Attraverso alcuni punti chiave del suo pensiero della sua esperienza politica, il saggio esamina i caratteri salienti e lo spessore di uno dei massimi protagonisti della storia dell’Italia repubblicana.

La prima parte del libro è un’ampia disamina del pensiero economico di Fanfani  (fin da quando  negli anni ’30 era un giovanissimo professore della Cattolica di Milano) premessa essenziale per comprendere il suo impegno politico.

Un pensiero economico che prendendo spunto dall’Enciclica Quadragesimo anno di Pio XI, delineò una sorta di corporativismo cattolico. Nel 1934 pubblicò “Cattolicesimo e Protestantesimo” un saggio che con una stringente critica alle tesi di Max Weber delineava una terza via tra capitalismo e comunismo. e che ebbe notorietà internazionale.

Siamo a ridosso della crisi del 1929 che apparve emblematica della crisi  complessiva del capitalismo. Per quanto riguarda il giudizio definitivo sul comunismo, Gianfranco Peroncini fa invece riferimento alla relazione che Fanfani tenne nel 1957 in occasione del Congresso delle Nouvelles equipes internationales che riuniva personalità, movimenti e partiti di ispirazione democratico cristiana.

Nel rapporto di Krusciov al XX Congresso del PCUS, che aveva sollevato scalpore in tutto il mondo, lo statista aretino vide non solo la denuncia del crimini di Stalin, ma la prova del fallimento del comunismo sovietico. “In tale relazione – sottolinea Peronici – si chiese se il movimento comunista “ stesse vivendo un periodo transitorio di aggiustamento oppure una crisi profonda e inesorabile. Fu la seconda opzione ad essere riconosciuta come corretta” (p.20).

Sottolineò anche che il sistema capitalista si fondava sull’istinto della ricerca del benessere trascurando la questione della giustizia, quello comunista si concentrava sulla giustizia senza curarsi del benessere. Ne concludeva che esso era avviato al fallimento.

Da qui la ricerca di un’ originale terza via fondata sull’etica dell’economia. Comprende quel concetto nuovo del PIL da considerare non come mera crescita economica ma anche come qualità della vita, che poi sarà reso celebre da Robert Kennedy nel discorso all’università del Kansas. Temi di scottante attualità evocati  da un secondo sottotitolo di  questo saggio: La sfida del terzo millennio.

E, a proposito di capitalismo, merita citare un capitolo di questo libro intitolato L’erosione capitalista dello Stato che pone in evidenza significative convergenze con il pensiero di Hannah Arendt.  Proseguendo nella lettura del saggio di Peronici troviamo anche un lungo giudizio  formulato all’epoca da Andreotti colpito dalla concretezza di Fanfani che portava una ventata di novità nella vita politica, ma il cui linguaggio schietto e diretto era poco apprezzato in un modo di frasi ampollose e abituato alla retorica.

Esponente di spicco dei c.d  “dossettiani” Fanfani divenne uno dei protagonisti della Costituente.  La  sua  intensa attività portò a  quella incisiva  formulazione  dell’art. 1 della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” che è un po’ l’emblema dell’intera Carta costituzionale e che prevalse di misura su differenti formulazioni.  Ma anche l’art.41 dedicato al lavoro porta la sua impronta.

Ministro del lavoro con De Gasperi varò il Piano Ina Casa meglio conosciuto come  Piano Fanfani che, univa l’intervento pubblico alla compartecipazione dei datori di lavoro e dei lavoratori. Un piano spesso evocato come esempio virtuoso nei decenni successivi quando la grande inflazione degli anni ’70-’80 e la contrazione del mercato degli affitti portò all’esplosione del problema casa…un problema  anche oggi di drammatica attualità.

Poi, alla fine degli anni ’50 i primi, due governi Fanfani e, dopo la crisi del 1960, il governo delle convergenze parallele seguito dal Fanfani IV che, nel 1962, si caratterizzò per l’apertura al PSI.

Fra i provvedimenti del primo governo di centro.sinistra ci fu la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Un evento considerato il simbolo della svolta politica ma il saggio di Peronici non si ferma qui e con un’ampia trattazione esamina i risvolti concreti sia per quanto riguardava il controllo della principale fonte energetica sia per la questione dei risarcimenti. Una vicenda di grande rilievo e assai complessa  a cominciare dal  serrato confronto politico.

Sono solo due esempi tra quelli citati da questo libro: altrettanto significativa la politica estera di Fanfani nei vari ruoli di Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e poi  Presidente dell’Assemblea generale dell’Onu. Significativi i rapporti con gli Stati Uniti e in particolare con l’amministrazione Kennedy all’epoca dell’apertura a sinistra, e, inoltre,  la innovativa politica mediorientale.

Peronici parla anche della lunga  esperienza politica di Fanfani come Presidente del Senato dove esplicò il suo proverbiale attivismo. Si riporta un commento di Enzo Bettiza in cui si sottolinea l’implacabile attivismo del personaggio che ricompariva sempre all’improvviso dalla parte da cui meno lo si aspettava spiazzando i suoi collaboratori  e che con la sua grande esperienza di norme e regolamenti, guidò i lavori del Senato con piglio sicuro.

Ma la cifra della vasta e complessa vita politica del leader aretino è, probabilmente, proprio nel titolo di questo libro: il Pane quotidiano che sottolinea la sua attenzione per il dramma della povertà. E quindi per la disoccupazione il diritto alla casa.

Problematiche che condivideva con l’amico Giorgio La Pira che, alla metà degli anni ’50, scrisse il celebre saggio L’attesa della povera gente e improntò a questi stessi temi la sua azione di Sindaco. Con un linguaggio incisivo l’autore di questo libro osserva che il profilo di Amintore Fanfani “è il riassunto di una complessità forse troppo ostica”, per i contemporanei  abituati a cullarsi in  “confortevoli” meccanismi manichei.

In effetti, ci sono più piani di lettura e differenti angolazioni da cui si possono esaminare il pensiero e la prassi politica di un personaggio politicamente così complesso ma con un’ intrinseca coerenza tra pensiero e azione.

E questo mi da modo di concludere con alcune osservazioni personali uscendo dalla lettura del libro di Peronici e facendo appello ai ricordi personali degli anni del  primo centro sinistra.

Sia Fanfani che Moro i due “cavalli di razza” considerati in perpetua competizione (secondo il  noto e spesso fallace  schema dualistico in politica come nello sport)  in molti casi furono alleati come si legge anche nei diari di uno dei più stretti collaboratori di Fanfani, Ettore Bernabei (Si veda,in merito, il recente libro di Piero Meucci Ettore Bernabei il primato della politica. La storia segreta della DC nei diari di un protagonista). 

D’altronde, se  nell’apertura a sinistra  dell’inizio degli anni ’60  Fanfani apparve l’elemento propulsivo e Moro come colui che la edulcorava uniformandosi alle posizioni del moderatismo doroteo, quindici anni dopo quando si prospettò l’apertura al PCI con i governi di solidarietà nazionale la parti  apparivano invertite.  In realtà, Fanfani ha sempre guardato a un’apertura a sinistra che al contempo isolasse i comunisti. Moro, invece, già el 1969 parlò di strategia dell’attenzione e, dopo il successo del PCI nelle amministrative del 1975, ritenne che l’elettorato avesse sancito la caduta della pregiudiziale anticomunista  e che si stesse aprendo una terza, difficile, fase della politica italiana. Insomma, due percorsi diversi ma entrambi intimamente coerenti.

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