Altra finanzaAltro che default americano, a rischiare siamo noi

Ecco perché il nostro Paese è esposto al rischio fallimento nei prossimi anni: gli scenari possibili

Alessandro Pala

Nonostante qualche proclama apocalittico, l’intesa fra repubblicani e democratici è fatta.

Il default americano si conferma più che altro una trovata politica a cui il mercato però non ha abboccato. Qualche minaccia delle agenzie di rating di far perdere agli Usa la tanto agognata tripla A, e poco altro, che non hanno sortito effetti marcati sul mercato statunitense. Nonostante il dollaro abbia perso qualche colpo nei confronti dello yuan cinese e soprattutto del sempre solidissimo franco svizzero, i bond americani hanno mantenuto rendimenti piuttosto stabili nelle ultime settimane; questo in soldoni significa che il risparmiatore medio mondiale continua a considerare (a torto o a ragione) le obbligazioni americane come un bene ancora estremamente sicuro, nonostante la passata minaccia di un default volontario.  Ricordiamo infatti che gli Stati Uniti, nonostante alcune voci non proprio precise che circolano ultimamente, non possono essere costretti a dichiarare default (per l’appunto, possono optare per un default volontario), grazie agli accordi (che potrebbero essere rivisti in futuro) stipulati sul finire della Seconda Guerra Mondiale (19449 a Bretton Woods.

In realtà, non intendo approfondire al momento il perché l’America non può essere obbligata al default o il perché il dollaro sia da più di mezzo secolo la riserva valutaria mondiale, ma vorrei ritornare su ciò che probabilmente sta a cuore alla maggior parte dei cittadini reggiani e italiani in generale.

Come avevo preventivato la settimana scorsa, il rally delle borse europee era solamente un fuoco di paglia ed infatti questa settimana si è conclusa in linea con le precedenti : segno rosso su tutte le borse europee in particolare Piazza Affari.

Basta riprendere qualsiasi articolo a carattere politico-economico di due anni fa (2009), in cui si etichettava la crisi greca come qualcosa di si presente, ma in ogni caso arginabile, e in ogni caso la possibilità di default era considerata “remota ed improbabile” (non da tutti in realtà, vedasi il politico britannico Nigel Farage); oggi invece il default greco è ormai considerata realtà e perfino fra i piani alti dell’Unione Europea, ossia coloro che hanno cercato di minimizzare i problemi greci prima, poi quelli irlandesi e portoghesi, ed oggi quelli italiani e spagnoli, si parla di “default selettivo”.

Il default in Italia può sembrare “remoto ed improbabile” oggi, ma potrebbe non esserlo fra 1-2 anni.

Come si potrebbe arrivare però ad un default di un sistema così grande come quello italiano? Potrebbe essere un beneficio per il sistema Italia, così come lo è stato per la Russia (1998: default sovrano della Federazione russa)? E’ opportuno tornare alla lira?

Queste domande  non hanno in realtà una risposta univoca, per cui mi limiterò ad esprimere uno scenario verosimile, lasciando la risposta al lettore.

Il primo passo verso il default sarebbe per l’appunto il ritorno alla lira. Il mantenimento dell’euro infatti potrebbe essere insostenibile per il sistema Italia, la cui esigenza di svalutare è diventata troppo forte. Pronti via, il nostro debito (120% del Pil) viene convertito in lire (cosi come i nostri risparmi), con una svalutazione che potrebbe anche raggiungere il 50%. L’inflazione si impennerebbe, fino a raggiungere livelli vicini al 100%. Evitando di scendere in tecnicismi, avere una iper-inflazione  (diciamo del 100%) significa che il valore della propria moneta viene “erosa” in un anno del 100% del suo valore; se al 1° gennaio 2012 abbiamo 1 milione di lire, quel milione di lire al 1° gennaio 2013 vale zero. Questo significa che il risparmio è un concetto che perde di significato (a che pro in fondo risparmiare, se domani il tuo risparmio non vale nulla?).

Ovviamente, in seguito alla svalutazione della propria moneta (e della seguente iper inflazione), vi è il problema dell’approvvigionamento delle materie prime: petrolio,gas,carbone etc. Non essendo l’Italia un Paese produttore, dovrà continuare ad importare queste materie e dovrà farlo comprando in dollari. Ma essendo la propria moneta ormai svalutata, i prezzi delle materie prime aumenterebbero di giorno in giorno, vanificando in maniera piuttosto rapida i benefici della svalutazione monetaria (aumento delle esportazioni) , innalzando tra l’altro il debito sovrano.

Il punto finale è appunto il default, ossia il mancato pagamento (parziale o totale) delle proprie obbligazioni di stato (Btp,Cct etc.).  Si può obiettare che in questo caso, se non altro il debito pubblico cesserebbe di essere un problema (almeno momentaneo), ma bisogna ricordare che grande parte del debito pubblico italiano è mantenuto da investitori italiani (circa il 50-60%), mentre per la restante parte del debito, questo significherebbe perdita di credibilità da parte degli investitori esteri e conseguente mancanza di finanziamenti. Una mancanza di finanziamenti ed una contrazione degli investimenti (esteri o nazionali) significa una crisi a catena in tutti i settori produttivi dello Stivale, con fallimenti a raffica di molte piccole e medie imprese (considerate il nostro fiore all’occhiello) ed un aumento abnorme della disoccupazione.

Quindi, un ritorno alla lira e un possibile default italiano colpirebbe in maniera pesantissima il risparmio privato e la produzione delle piccole-medie imprese. In pratica le due caratteristiche che hanno permesso all’Italia di essere uno dei paesi piu industrializzati del mondo, nonostante l’endemica corruzione, la scarsa produttività del settore pubblico e l’eterno gattopardismo della classe politica.

Vogliamo davvero tutto ciò?

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