A furia di nascondere la polvere sotto il tappeto, il mobilio non sta più in piedi. La città delle persone, diventa la città delle persone che iniziano a claudicare per le sconnessioni delle strade, specie quelle del centro, come quelle attorno all’Isolato San Rocco, da cui tanti/e reggiani non passano più per evitare il rischio di imbattersi in figuri non propriamente raccomandabili. Spiace, anche perché il Comune, dopo il vuoto di San Silvestro dell’anno passato, era corso ai ripari anche in modo artisticamente lodevole.
Fatto sta che mentre importanti pezzi della giunta celebravano l’Ariosto in piazza Prampolini, poche decine di metri più in là, 200 “furiosi” (per restare in tema orlandiano) quasi tutti di origine maghrebina e africana, davano vita alla devastazione dell’Isolato San Rocco. Certificando la progressiva banlieuizzazione del centro storico: da via Adua e via Veneri fino alla zona del Valli (via Roma, via Secchi), e, dal 3 dicembre al 31 con “salto di qualità” si fa per dire, espandendosi in piazza Fontanesi ed Isolato San Rocco.
All’origine di tutti i fraintendimenti, l’antesignano delle sottovalutazioni delle complessità urbane multietniche, fu il famoso “tutte balle” del primo Graziano Delrio a proposito della sicurezza. Sarebbe stato solo un fenomeno di percezione. Ma anche 20 anni dopo o giù di lì, gli attuali epigoni non hanno scherzato nel far finta di niente. Due anni fa l’attuale sindaco Luca vecchi disse che “a Reggio le baby gang non esistono”. Il noto influencer Stefano Salsi, appena poco prima della mezzanotte postava inni all’accoglienza (subito accontentato dal Governo Meloni con altri migranti sbarcati a Ravenna). L’assessore Daniele Marchi, commentando la guerriglia urbana di piazza Fontanesi dei fatti del 3 dicembre menava ai quattro venti che “la componente etnica non c’entra”, componente a tutti evidentissima tranne che a lui. Poi il patatrac del Veglione.
Patratac anche simbolico perché la notte più aruspicina ed apotropaica dell’anno, si è trasformata in un boomerang sia per i danni d’immagine che materiali ad una città intera. Danni mezzi sottaciuti, con la lodevole eccezione del “candidato naturale” Lanfranco de Franco ed il suo “Houston abbiamo un problema”, fino almeno al 2 gennaio. Quando il primo cittadino reggiano ha lamentato generici “problemi culturali” e di “maleducazione”. In mezzo il segretario provinciale Pd Massimo Gazza se ne era intanto uscito sollevando sui fattacci di Capodanno cortine fumogene di ordine sociologico additando come “solo” problema, quello della scuola. Quindi che facciamo? Creiamo 20 mila asili di Reggio Children in Tunisia, Marocco e Ghana per evitare le prossime ordalie e vandalismi? Non sarebbe stato più semplice dislocare colà diversi agenti delle forze dell’ordine?
Perché quando si hanno di fronte serie problematiche di degrado, ad un amministratore non è chiesto di fornire le sue interpretazioni socio-pedagogiche un tanto al chilo. Bensì di dare risposte, siano esse di destra o di sinistra a seconda del colore, ma risposte politiche ai problemi. Far finta che non esistano o che le cause siano le più improbabili, è semplicemente masochistico. Giustamente si dice che anche gli interventi urbanistici e di riqualificazione dovrebbero contrastare questi gravi fenomeni. In virtù di questo, è lecito affermare che il rifacimento di Piazza Martiri del 7 luglio, realizzato 15 anni or sono da Mimmo Spadoni, non sia servito a nulla. La piazza ha proseguito nel suo declino che pare inarrestabile.
Non è infatti da escludere che genitori e zii dei 200 teppisti di Capodanno e pure del 3 dicembre siano gli stessi che poche settimane prima sfilavano per le piazza reggiane gridando “Allah u Akbar” pro Gaza ed Hamas. Non sarebbe male chiedere in questo senso un parere sui vandalismi di Capodanno al “candidato ufficioso” Marco Massari, vicino alla sinistra radicale. Ma pare che quegli ambienti abbiano altri priorità: le Donne in Nero ad esempio hanno già attaccato il Presidente Sergio Mattarella per il suo discorso dell’Ultimo. Poco pacifista perché non ha condannato Israele. Ma siamo alle solite. L’eterno ritorno di quel cortocircuito storico-culturale che appesta una parte della sinistra reggiana ormai da troppo tempo.