Firenze – L’inchiesta è in corso, ma Cia non perde tempo e si costituisce parte civile. Lo annuncia in una nota diffusa ieri, domenica 18 settembre, l’associazione agricola Cia di Pisa. Una presa di posizione chiara, che riguarda la vicenda delle indagini in corso relative agli smaltimenti irregolari di fanghi in terreni agricoli delle province di Pisa e di Firenze.
Le notizie dell’inchiesta “stanno generando sconcerto e allarme tra i nostri agricoltori”, scrive la Cia. “Se i fatti che leggiamo sulla stampa venissero confermati dalle indagini in corso, oltre ad aver creato danni all’ambiente e alla salute dei cittadini, correrebbero il rischio di creare danni gravissimi all’immagine di territori dove invece, da sempre, si pratica un’agricoltura di alta qualità, con parametri di tutela ambientale e paesaggistica molto elevati e unanimemente riconosciuti”.
Un validissimo motivo, dichiara ancora la Cia pisana, non solo per dare subito e senza nessun dubbio “il nostro pieno sostegno all’azione della Direzione Distrettuale Antimafia della Toscana e alla Guardia di Finanza, in modo che siano individuate e accertate velocemente eventuali responsabilità penali, o di altro ordine, e punite severamente”, ma anche di prendere una posizione chiara in una fase in cui è “molto importante scongiurare il rischio di pericolose generalizzazioni o strumentalizzazioni che favorirebbero soltanto chi non rispetta le regole o le leggi”.
A tal riguardo, precisa l’associazione, “è importante informare correttamente sull’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura quale pratica legale, molto ben regolamentata a livello europeo, nazionale e regionale, sulla quale è in atto ormai da anni una legittima discussione, rispetto alla quale pensiamo sarebbe opportuno fare un salto di qualità. Sarebbe bene, difatti, liberarla da pregiudizi e strumentalizzazioni che purtroppo non mancano, sia tra i favorevoli che tra i contrari. Vorremmo poter ripartire da una rigorosa ed oggettiva campagna di informazione. Per quanto ci riguarda, il semplice principio di precauzione insieme al rischio di danneggiare l’immagine dei nostri territori, ci fanno essere ad oggi contrari a queste pratiche. Tuttavia non ci sentiamo di criminalizzare quegli agricoltori che, in maniera del tutto legale e trasparente, le attuano, magari spinti da un reale stato di necessità, spesso edulcorato o ignorato dai media, dovuto al crollo dei redditi nelle campagne”.