Scoperti gli arcani reggiani

Una giovane artista ritrova e ridipinge misteriosi tarocchi

Gianfranco Parmiggiani

Li puoi gettare sul tavolo, con cura o nonchalance è indifferente, e i misteri della vita rischiano di diventarti più chiari. “Rischiano” perché un po’ di ignoranza (dicono) aiuta a vivere meglio. E’ il caso (sarebbe meglio dire la “sorte”) dei tarocchi di mademoiselle Dolores, viaggiatrice, esploratrice, antropologa e medium vissuta alla fine del XIX° secolo quando le scienze occulte, a secolo dei Lumi leggermente in declino, ritrovavano una seconda giovinezza.

Figura leggendaria, a metà tra la storia e la fantasia (un po’ come il prete Gianni o la papessa Giovanna), che avrebbe disegnato, su introvabili pergamene, il frutto delle sue interminabili e avventurose ricerche. Tracciandolo a simboli per non darlo subito in pasto agli sprovveduti; e creando una sorta di mappa dell’esistenza afferrabile a gradi e progressivamente. Almeno da parte di chi possa meritarselo.

Un po’ come tutti i grandi o piccoli “iniziati” anche Dolores aveva i propri punti deboli e non sapeva nascondere le proprie opere né tantomeno tenere i segreti; ora il compendio di tanto sapere, e di questo popò di vita, è tornato alla luce. Grazie a una non meno avventurosa scoperta (anche un po’ casuale) che l’artista reggiana Elisa Pellacani (disegnatrice, fotografa, cesellatrice di libri d’arte da sogno) ha fatto durante un viaggio nei Pirenei, montagne a cavallo tra Francia e Spagna, custodi di segreti e folklore come poche.

La nostra giovane compaesana non ama riferire i particolari del ritrovamento (che abbia dovuto scendere ad indicibili patti con qualche gran visir d’Oriente o mascherarsi da eunuco al mercato delle spezie in quel di Samarcanda?) e si è limitata a trasportare su carta, anzi su carte, le 54 “visioni” di mlle Dolores, una sorta di mazzo dei tarocchi su cui già più d’un esoterista si sta scervellando. Finora senza esaustivi risultati.

Gli arcani di Dolores-Pellacani (per quella sorta di immedesimazione cui sempre un “traduttore” soggiace interpretando l’originale) sono esposti alla galleria “Metamorfosi” di piazza Fontanesi a Reggio. Proviamo allora a fare un gioco (speriamo non rischioso) divinatorio e interpretativo e scegliamo dal mazzo la carta della “grande beffa”: ci dice del doppio, che tutto ha una sua faccia e il suo contrario, che ciò che appare nero è anche bianco e viceversa e ciò che oggi sembra negativo, magari domani sarà il suo opposto.

Così questa compiacente-compiaciuta regina dalla corona nera cui dall’alto stilla una goccia di pioggia oscura sulla mano destra e al contempo abbraccia la pentola dello gnomo, col braccio sinistro, da cui scaturisce l’arcobaleno. Si appoggia e appoggia l’otre su un comodino in parte chiuso ma con un’anta da cui si affaccia un sole sorridente su campo aperto. Più avanti un meccanismo (del tempo?) su cui poggia un teschio. Inizia il conto alla rovescia.

Insomma da ciò che è apparentemente chiuso, o asfittico, promana la libertà e la vita. E, al contrario, gli elementi che stanno all’esterno paiono, sempre paiono, i più pericolosi. L’ambigua regina porta vita o porta morte? Poco importa, se non che, saperlo, non evita la grande beffa dei significati di rimando

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