Residenze, 1188 cancellati nel 2017, nei primi sei mesi del 2018 sono 756

Firenze –  Residenze, in un incontro con la stampa tenutosi stamani, il gruppo consiliare comunale di Firenze riparte a Sinistra, Tommaso Grassi, Donella Verdi e Giacomo Trombi, con il rappresentante dei Cobas Giuseppe Cazzato e la rappresentante del Movimento di Lotta per la Casa Marzia Mecocci, pone il problema delle cancellazioni.  O meglio, chiede chiarezza all’amministrazione circa l’applicazione delle norme nazionali in materia di anagrafe, residenze, e , appunto, cancellazioni. “Figli a cui non viene concesso di accedere alle agevolazioni tariffarie per la mensa scolastica o che, avendo diritto all’abbonamento gratuito o scontato per il trasporto pubblico, non possono acquistarlo – dicono i consiglieri, esemplificando alcuni dei disagi che i cittadini subiscono una volta caduti sotto “cancellazione” – un altro caso in cui per due anni la famiglia non ha potuto riscuotere il contributo per l’accompagnamento del figlio disabile, e l’elenco potrebbe proseguire con i servizi inaccessibili o il diniego all’accesso ai sussidi per colpa di una applicazione, da parte del Comune, delle norme sulla residenza anagrafica”. Eppure, “esistono una circolare dell’ISTAT e una circolare del Ministero dell’Interno e una sentenza del Tribunale di Palermo che, se applicate insieme ai principi contenuti nella legge nazionale, permetterebbero di gestire la situazione, senza che il Comune ogni mese cancelli dall’anagrafe decine e decine di nuclei familiari per irreperibilità, o perché non hanno una casa in cui avere la residenza”. 

Ed ecco il problema in   numeri:  a fronte di 1188 cancellazioni nel 2017 (dati forniti dagli uffici), nei primi 6 mesi del 2018 siamo già a 786.  Un caso nel caso è quello dei senza fissa dimora, ovvero delle residenze fittizie predisposte dal Comune in via del Leone. Cancellazioni che ricevono l’input  dalla segnalazione fatta dalla Direzione Servizi Sociali. Le motivazioni possono essere varie, ma nel nostro caso la più “interessante” è quella legata all’irreperibilità. Tanto più che si tratta della fattispecie nettamente maggioritaria: su 50 cancellazioni da via del Leone, due sono dovute a motivi legati alla giustizia, le altre 48 all’irreperibilità. Il meccanismo, per quanto riguarda la residenza “fittizia” di via del Leone, è noto: le persone residenti in via del Leone devono presentarsi mensilmente presso lo sportello residenze per una firma che attesti la loro presenza nel territorio comunale di Firenze. Dopo 4 mesi di assenza non giustificata (la “giustificazione” deve essere dimostrata con una “documentazione formale”, vale a dire, ad esempio, un ricovero ospedaliero, attestazione di carcerazione, programma terapeutico residenziale). Se per 4 mesi continuativi non c’è né la presenza né la giustificazione, inizia la procedura di cancellazione della residenza. Un meccanismo semplice, ma per niente banale.

La legislazione nazionale. 
Sono i consiglieri e i rappresentanti di sindacato e movimento a spiegare alcuni punti, partendo dai quali giungono alla richiesta di chiarezza nell’applicazione, da parte dell’amministrazione, della legislazione nazionale. Il principio giuridico base è che la cancellazione per irreperibilità tout court deve avvenire se, in seguito a “ripetuti accertamenti, opportunamente intervallati, la persona sia risultata irreperibile”, come recita la legge. L’Istat, con Circolare del 5 aprile 1990, n. 21 ha soggiunto che “Le cancellazioni per irreperibilità dei cittadini italiani o stranieri devono essere effettuate quando sia stata accertata la irreperibilità al loro indirizzo da almeno un anno e non si conosca l’attuale loro dimora abituale”.

La sentenza del Tribunale di Palermo.
Se è questa la visione generale, dal Tribunale di Palermo arriva qualcosa di più. Il punto, spiega la sentenza della Prima sezione civile del Tribunale di Palermo emessa in data 8/8/2012, è che si sta parlando di diritti soggettivi “perfetti”. Insomma, il diritto all’iscrizione anagrafica è diritto soggettivo, tanto che l’art. 2 comma 3 della legge 1228/54 prevede che, come scrive il giudice,   “… la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel Comune ove ha il domicilio, e in mancanza di questo, nel Comune di nascita”. Dunque, da ciò ne deriva, che, nei casi almeno in cui non è posto in dubbio il luogo di nascita, la mancanza di domicilio, secondo la sentenza prodotta, “non osta alla iscrizione nell’anagrafe del comune di nascita”.

Non solo. Se il diritto di iscrizione all’anagrafe non può essere subordinato alla possibilità o meno di produrre un domicilio, tanto meno, continua la sentenza, può essere subordinata all’attivazione di percorsi sociali. Ma neanche, estendendo il discorso a tutti i cittadini, ad adempimenti richiesti dalle amministrazioni comunali.

La Circolare Brancaccio.
Sulla questione, ricordano i consiglieri, è illuminante una circolare del 1995 dell’allora ministro Brancaccio, in cui si dice che l’amministrazione comunale è tenuta, nel servizio dell’anagrafe, a tenere conto della legislazione nazionale, il che significa che non può aggiungere altri, eventuali “oneri” per il cittadino. Ancora, “la richiesta di iscrizione anagrafica, che costituisce un diritto soggettivo del cittadino, non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario (…)”.

Ma andiamo al nocciolo: qual è il concetto di residenza? “E’ fondato – dice la circolare – sulla dimora abituale del soggetto nel territorio comunale”. Vale a dire che per definirla, valgono un elemento “oggettivo”, la permanenza in tale luogo, e uno soggettivo, ovvero l’intenzione di avervi stabile dimora, rilevata “dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali”.

Un concetto che porta dritti dritti a un altro assunto, fondamentale: “ (…) non può essere di ostacolo alla iscrizione anagrafica la natura dell’alloggio, quale ad esempio un fabbricato privo di licenza di abitabilità ovvero non conforme a prescrizioni urbanistiche, grotte, alloggi in roulottes”. Ne consegue anche la chiarezza sulla “funzione” dell’anagrafe, che “è essenzialmente di rilevare la presenza stabile, comunque situata, di soggetti sul territorio comunale”.  Tale funzione va assolta anche per quanto riguarda i nuclei familiari che abitano negli stabili occupati.

Immobili occupati.
La “legge Lupi”, riguardante gli occupanti abusivi di immobili, esclude la possibilità che gli occupanti possano essere inseriti nell’anagrafe come residenti in tali edifici, tuttavia la legge ne limita l’impossibilità solo agli immobili occupati, non estendendola a tutto il territorio comunale. Non solo, a rigor di logica, dal momento che l’iscrizione anagrafica è un diritto-dovere del cittadino, una volta che l’ufficiale di anagrafe accerta la presenza stabile sul territorio comunale di questi cittadini è obbligato a procedere all’iscrizione anagrafica, magari attivando la stessa procedura prevista per i senza fissa individuando come indirizzo di residenza quello della stessa via fittizia  istituita per i senza fissa dimora.

“A fronte di tutto questo – conclude Giuseppe Cazzato (Cobas) – chiediamo all’amministrazione comunale chiarezza: nonostante le citazioni della legislazione vigente, perché di fatto si subordina la concessione di tale diritto a una serie di adempimenti a carico del cittadino?….”.

La vigente normativa non prevede nessun adempimento a carico del cittadino, il cittadino ha solo obblighi dichiarativi, solo successivamente scatta l’obbligo dei controlli da svolgersi a carico dell’amministrazione, che non devono limitarsi solo alla verifica della presenza del cittadino  all’ultimo domicilio conosciuto, ma anche “incrociare” dati  in possesso di altre amministrazioni pubbliche e fare tutto ciò che è in suo potere per accertare “l’effettiva presenza del cittadino sul territorio comunale”. Anche in una grotta o in una roulottes.

 

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