Una campagna elettorale “caotica”, “brutta”, “priva di contenuti” ma piena zeppa di promesse “prive delle adeguate coperture”: un leitmotiv ricorrente, in queste settimane, tra gli opinionisti politici. E non solo. Neppure Emma Bonino, parlando davanti al consiglio di Confcommercio, è andata per il sottile: “Non ho mai visto una campagna elettorale più sgangherata, più piena di bugie, di promesse, piena di cose impossibili che il buon senso vostro ma anche di chi le dice sa che non sono realizzabili”. A pochi giorni dal 4 marzo, noi di 7per24.it abbiamo(r)interpellato Cristopher Cepernich, sociologo dei media e dei fenomeni politici, docente all’Università di Torino. Con lui abbiamo passato ai raggi x la competizione elettorale giunta alle battute finali.
Professor Cepernich, tre aggettivi per definire questa campagna?
Innanzitutto è una campagna poco costosa. Fatta fondamentalmente con pochi soldi. Non ci sono i manifesti. Vediamo tanti leader in televisione, tanti social network: tutto ciò che non costa. E’ anche una campagna poco professionalizzata. Nel senso che non ci stanno lavorando tanti professionisti. Le macchine elettorali interne alle forze politiche sono sostanzialmente quelle che stanno autoproducendo gran parte della campagna elettorale. E lo si vede, in qualche modo, dalla qualità della competizione in corso.
Il terzo aggettivo?
Violenta. Non lo è la campagna in sé ma il contesto all’interno del quale s’inserisce. Mi pare che abbia condizionato e che stia condizionando l’evoluzione della campagna. Soprattutto per quel che riguarda i temi in agenda. Migranti e sicurezza alla fine sono stati gli argomenti della campagna. Sono rimasti marginali altri temi. Penso alla questione del lavoro che non ha trovato lo spazio che s’immaginava.
Per che cosa si ricorderà questa campagna elettorale?
Forse per un’aspettativa frustrata. Doveva essere una campagna in qualche modo innovativa. Invece sarà ricordata come una campagna tutto sommato come le altre. Dove hanno fatto la parte da gigante la televisione e internet. Era già così nel 2013. Non vedo molte differenze. Sarà ricordata come una campagna elettorale molto corta. L’elemento temporale credo sia significativo: un mese e una settimana di campagna vera è un lasso di tempo molto breve per fare qualsiasi cosa.
I politologi sembrano concordare sull’esito delle elezioni: cioè che non ci saranno vincitori né vinti. S’interrogano invece sulle dimensioni dell’astensionismo. Lei che idea si è fatto?
Sulle previsioni fatte con i sondaggi vado sempre molto cauto. Perché hanno una buona capacità di cogliere le situazioni quando non sono in trasformazione, evoluzione e mutamento. I sondaggi fotografano bene situazioni consolidate. Nel quadro in cui ci troviamo – vale a dire nuova legge elettorale, Movimento 5 Stelle affermato come partito in qualche modo più istituzionalizzato, il Pd che viene da un’esperienza di governo un po’ atipica, nel senso che segue un periodo di governo tecnico -, con tutti questi elementi di discontinuità la capacità dei sondaggi di fotografare come potranno andare le cose secondo me è abbastanza discutibile.
Gli elettori sono sommersi da tante promesse. I partiti si contendono fino all’ultimo voto ma l’impressione è che l’elettore venga concepito come un soggetto dalla memoria corta. E’ così?
La storia italiana sembra dimostrare che è proprio così. In qualche modo si tende a prendere un periodo di riferimento abbastanza limitato per fare le proprie considerazioni. Tendenzialmente si punisce il governo uscente e non magari chi ha governato un po’ prima. Mi vien da pensare a Berlusconi: si tende a eliminare parti significative della sua storia di uomo politico italiano. Sembra che conti di più il passato da poco che non il passato remoto. Quello che, dal punto di vista elettorale, va sottolineato è che ci sono differenze nel modo in cui i partiti hanno affrontato la questione delle aspettative.
Vale a dire?
Ci sono partiti che hanno urlato di più, che hanno fatto promesse “sparandola” più grossa. Altri, invece, oggettivamente hanno avuto un atteggiamento più attinente alla realtà.
Ad esempio?
Quella del Partito democratico credo sia una campagna molto misurata, legata alla realtà. Non mi sembra che ci siano grandi “sparate”.
Quanto peserà sul risultato dei dem l’ambiguità iniziale sul candidato premier? Ora, forse non a caso, sono arrivati a Gentiloni gli endorsement di Prodi e Napolitano…
Non più di tanto, a mio parere. Prendiamo Forza Italia che sembra essere uno dei partiti meglio posizionati, a quanto si dice. Mette in campo un leader ma non un possibile premier. Mi spiego: Berlusconi, se Forza Italia diventerà il primo partito, non potrà fare il premier. Il Movimento 5 Stelle esprime una leadership vera e autentica che è quella di Beppe Grillo e una un po’ più debole, oggettivamente da tutti i punti di vista, che è quella di Luigi Di Maio. Alla fine se il Pd non ha giocato un’ indicazione di leadership come possibile evoluzione di un governo, non è che gli altri siano messi bene. Vorrei dire anche un’altra cosa…
Prego…
Questa non è una campagna fortemente guidata da leadership. Se ci pensiamo il leader è stato importante dal punto di vista comunicativo ma poi nel centrodestra non è eleggibile, il centrosinistra ha un leader ma lo tiene nascosto perché altrimenti la gente si arrabbia e manda avanti Gentiloni, il Movimento 5 Stelle ce l’ha davvero il leader, che è Grillo, ma è costretto a mettere in campo un altro…
Quanto pagheranno i 5 Stelle, sul piano elettorale, il caso rimborsopoli?
Molto poco, se non niente. Credo che questo sia il classico fattore di mobilitazione che fa sì che chi la pensi in un modo continui a schierarsi in quel modo e chi la pensi in un altro continui in quella direzione. In un contesto come questo, di campagna di mobilitazione, una cosa del genere rafforza gli elettori 5 Stelle a tenere botta e gli altri a gridare allo scandalo.
All’inizio della campagna elettorale, proprio nel corso di un’intervista con 7per24.it, lei aveva dato ai partiti un 6 politico in fatto di comunicazione. Ci ha ripensato?
No, è proprio così. Tutti hanno fatto quello che dovevano fare. Nulla di più o di meno. Dovessi vedere una campagna più in difficoltà di altre indicherei quella di Liberi e Uguali. Si è cercato di trovare una leadership credibile, quella di Grasso, poi Grasso sparisce quasi completamente dall’agenda di queste settimane che sono quelle decisive. Gli altri, invece, fanno ciò che devono fare. Sono campagne corrette ma che non hanno vertici, punte, slancio.