Pubblichiamo i testi dell’evento “Lux – Firenze nel mondo” realizzato dall’Associazione Suoni Riflessi in collaborazione con l’Associazione Arcton. I testi sono stati curati da Piero Meucci, e sono stati letti da Monica Guerritore. Ilaria Baldaccini ha eseguito i brani musicali.
Prologo
Giorgio La Pira, discorso a Ginevra alla Assemblea della Croce Rossa Internazionale, 12 aprile 1954
(…) La mia dolce e armoniosa Firenze creata, in un certo senso, sia per l’uomo come per Dio, per essere come la città sulla montagna, luce e conforto sul cammino degli uomini, non vuole essere distrutta! Questa stessa volontà di vita viene affermata, insieme con Firenze -grazie a una missione tacitamente affidata al sindaco del capoluogo toscano- da tutte le città della terra: città, ripeto, capitali e non capitali; grandi o piccole, storiche o di recente tradizione, artistiche e no: tutte indistintamente. Esse rivendicano unanimemente il loro inviolabile diritto all’esistenza: nessuno ha il diritto, per qualsiasi motivo, di distruggerle.
(…)Le generazioni attuali non hanno il diritto di distruggere una ricchezza che è stata loro affidata in vista delle generazioni future! Si tratta di beni che derivano dalle generazioni passate e di fronte ai quali le presenti rivestono la figura giuridica degli eredi fiduciari: i destinatari ultimi di questa eredità sono le generazioni successive.
Schoenberg “Sei Piccoli pezzi per pianoforte”op 19
Introduzione
A Firenze fra il 1946 e il 1960 vennero a determinarsi circostanze particolari che si possono riassumere in una straordinaria omogeneità fra chi deteneva il potere, cioè il controllo, per quanto possibile, della gerarchia, e chi metteva in discussione questo potere non per contestarlo o rovesciarlo, ma per indirizzarlo verso un progetto nuovo.
Così don Lorenzo Milani descriveva in una lettera al magistrato Gian Paolo Meucci il clima dei cattolici della Firenze del Dopoguerra frutto di queste circostanze:
“Di comune hanno poco (neanche l’amicizia fra tutti) fuorché un bel progresso che han fatto nel cercare di rispettare la persona dell’avversario, di capire che il male e il bene non son tutti da una parte, che non bisogna mai credere né ai comunisti né ai preti, che bisogna nuotare sempre controcorrente e leticare con tutti e poi il culto dell’onestà, della lealtà, della serenità, della generosità politica e del disinteresse politico. Insomma bravi figlioli”.
La svolta fu l’elezione a Firenze di Giorgio La Pira, personaggio che si era distinto per il suo antifascismo rigorosamente ancorato ai valori cristiani della pace, della fratellanza e della solidarietà umana, certamente la figura più singolare e importante del secondo dopoguerra fiorentino.
Giorgio La Pira (l’incipit dell’Attesa della Povera gente, 1941)
Il Vangelo non è solo un libro di pietà (anche!): esso è anzitutto un manuale di ingegneria (parabola del costruttore: Matteo 7, 24-29: cioè un rilevatore delle leggi costituzionali, ontologiche dell’uomo. Le sole che permettono una solida costruzione della vita personale, sociale e storica dell’uomo.. cioè…”il compito fondamentale dello Stato moderno che solo con lo sradicamento della disoccupazione e della miseria costruirà il suo edificio sopra la roccia (Matteo,loc.cit.).
Così Firenze diventò la città più in consonanza con quanto di più avanzato si studiava e si attuava in Europa anche in termini di politiche per la protezione delle classi meno abbienti.
E un siciliano professore di Diritto Romano poteva mettere tutti allo stesso tavolo cattolici, socialisti, comunisti, le tre famiglie politiche nate dalla Resistenza al fascismo: La Pira nominò Firenze “la città sul monte, la città della pace e della conciliazione” e fu l’elemento catalizzatore del meglio che ciascuna componente culturale della città poteva offrire.
Lupi – Cinque piccoli canti per una piccola amica
Firenze del dopoguerra
Di là, dall’altra parte di via Calzaioli, in piazza del Duomo, risiedeva un’altra personalità, il cardinale Elia Dalla Costa, che è il secondo pilastro sul quale si innestò il movimento rinnovatore. La chiesa di Dalla Costa era espressione di una fede rigorosa, ma orientata alle esigenze dell’uomo piuttosto che a quelle degli equilibri del potere. Pontefice dell’Antico Testamento, come è stato definito, le finestre della sua sede episcopale rimasero chiuse quando la Firenze fascista festeggiò Adolf Hitler nel 1939 e le sue porte rimasero aperte per tutti i perseguitati.
Quella che La Pira e Dalla Costa ispiravano era una comunità di intenti e di fede, laici e preti, intelligenze e profonde aspirazioni, vocazioni diverse, spiriti alla ricerca di contenuti concreti da dare ai valori cristiani. Non si trattava solo di praticare le virtù cristiane, ma anche di disegnare il volto della democrazia repubblicana, configurando prima di tutto una società più giusta e solidale.
Una generazione di giovani di grande valore, stupefacente per numero e per qualità con scelte diverse sempre sofferte e sempre vissute nel nome dell’onestà e dell’autenticità che hanno influenzato e favorito la nascita di quell’originale laboratorio politico ed ecclesiale che fu la Toscana degli anni 50 e 60.
Qualcuno veniva da esperienze di Azione cattolica, altri avevano fatto le loro scelte negli anni della Resistenza: docenti, intellettuali, medici, imprenditori, giovani universitari che sentivano il fascino di una generazione che aveva concepito un grande progetto. Fra i laici Mario Gozzini, Ettore Bernabei, Gian Paolo Meucci, Paolo Barile, Nicola Pistelli, Fioretta Mazzei, Luciano Alberti, Pino Arpioni, Raffaello Torricelli, Valerio e Vittorio Zani. Fra gli artisti, Pietro Parigi, Renzo Crivelli, Nicola Lisi, Mario Luzi, Luigi Dallapiccola, Giovanni Michelucci, Roberto Lupi. Fra i preti: Giulio Facibeni, Ernesto Balducci, Enrico Bartoletti, Davide Turoldo, Renzo Rossi, e lo stesso Lorenzo Milani, quest’ultimo figura decisamente anomala, ma in grado di condizionare e stimolare gli altri con la sua forte personalità, venata di profezia.
Messiaen dai Vingt Regards: n° IX Regard du temps
Sui giovani e sulle loro prospettive
Piero Calamandrei, prefazione a Terza Liceo 1939, 1955
Sotto quella disciplina rivestita di orbace non c’era più anima: sotto quel conformismo non c’era più fede: i ragazzi che naturalmente si volgono, come germogli in direzione del sole, verso il calore umano della sincerità e della schiettezza, sentivano, quasi per istinto, la spregevole falsità di quella retorica comandata; avvertivano che quei poveri diavoli vestiti da fascisti non credevano più in nulla, neanche nel fascismo di cui continuavano a ostentare in iscuola i fieri gesti e i duri cipigli; e li ripagavano col disprezzo e colle risate.
Questo è il pericolo che ancor oggi, nonostante il variar delle tessere, minaccia la scuola italiana: che essa cada (o rimanga) sotto il dominio di un conformismo senz’anima, che cerca di mascherare sotto una ostentazione di stretta osservanza il gelo della propria sfiduciata indifferenza. Il pericolo non è, come qualcuno dice, che la scuola italiana diventi la scuola dei preti; il pericolo è che sulle cattedre salgano i burocrati apatici, travestiti da preti (come ieri da fascisti) per fare con più comodo i loro affari; e continuino a seminare nella scuola quel costume di accomodante ipocrisia, che è stata sempre, in tutti i gradi, la peste della vita italiana.
Paolo Barile:
La Costituzione ha inteso conservare il patrimonio prezioso della Resistenza contro ogni dittatura. L’antifascismo è visto non come un’opinione, ma come valore costante di difesa contro la violenza sull’uomo, contro la guerra, contro la sopraffazione sulla volontà dei popoli. Antifascismo vuol dire pace, libertà garantite dall’involucro di una democrazia sia diretta che rappresentativa (referendum e parlamento) poggiante sull’indispensabile indipendenza della magistratura.
Vuol dire anche come diceva Calamandrei, tendenza a limitare la sovranità nazionale in favore di quelli che egli vedeva come sfondo, gli Stati Uniti di Europa, e che forse nasceranno dall’Unione Europea.
Alcuni vogliono cambiare la Costituzione. E’ lecito. La Costituzione stessa prevede i meccanismi per futuri emendamenti, ed è stata in questi anni più volte emendata. Restano intoccabili quelli che la Corte Costituzionale (nella crassa ignoranza di taluni) ha chiamato principi supremi della Costituzione.
La verità è poi che qualunque costituzione si rinnova continuamente nel corso degli anni, nella cornice dei suoi principi fondamentali. Occorre progredire nel rafforzamento delle libertà individuali e di gruppo e soprattutto nel campo della giustizia sociale: esse non attendono altro che una puntuale e coraggiosa attuazione della Costituzione , che nell’articolo 3 pone alla Repubblica il compito fondamentale dell’eguaglianza dei punti di partenza, il che presuppone il pieno impiego e la cancellazione della disoccupazione giovanile.
La Costituzione è anche un programma, una rivoluzione promessa, come diceva ancora Calamandrei. Ma occorre mantenere saldamente e senza compromessi il garantismo costituzionale. Una bandiera del liberalismo che era caduta nella polvere sotto il fascismo e che è stata raccolta dalle forze democratiche.
Le vicende attuali non debbono turbare l’ottimismo di nessuno. Finché c’è democrazia, la storia va avanti ed è storia di libertà.
(Quattro inediti, pubblicati a cura di Laura Barile sul Ponte)
Don Lorenzo Milani – Il Giornale del Mattino 20 maggio 1956
Caro Direttore,
il tuo giornale si prende a cuore la sofferenza dei disoccupati e dei senza tetto e te ne siamo tutti grati. Tetto e pane sono tra i massimi beni. Mancarne dunque è una delle massime miserie.
Eppure l’uomo non vive di solo pane. C’è dei beni che sono maggiori del pane e della case e il mancare di questi beni è miseria più profonda che il mancare di pane e casa. Questo tipo di beni chiamerò ora, per comodità di discorso, “istruzione”, ma vorrei che tu prendessi questa parola in un senso più largo, comprensivo di tutto ciò che è elevazione interiore. (…) C’è dunque qualcos’altro. Questo qualcosa è ciò che ho detto di voler chiamare istruzione e comprende tutte le infinite piccole e grandi cose che pongono un montanaro in condizioni di inferiorità e di umiliazione di fronte al cittadino. (…)
Ciò che dico dei montanari rispetto a quelli del piano vale con l’identico peso, anche a livelli diversi, per i contadini rispetto ai pigionali, per i campagnoli rispetto ai cittadini, per gli operai rispetto ai diplomati. Le conseguenze di questi quattro dislivelli culturali sono gravissime e si estendono ai campi più vari e imprevisti. Mi basti qui accennarti che su chi sa meno gioca bene il propagandista politico, il commerciante, l’imprenditore, il distruttore di religione, il corruttore, lo stregone (…)
Io son sicuro dunque che la differenza tra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia tra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola. I tesori dei vostri figlioli si espandono liberamente da quella finestra spalancata. I tesori dei miei sono murati dentro per sempre e isteriliti. Ciò che manca ai miei è dunque solo questo: il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per affermarne l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradire, le infinite ricchezze che la mente racchiude.
(..) Ecco questo è appunto il mio ideale sociale. Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata. (….)
Gian Paolo Meucci – I Figli non sono nostri, 1974
Non è più possibile procrastinare un impegno di revisione dell’ordinamento per quanto riguarda la condizione giovanile e i bisogni che essa denunzia (…)
Un rinnovamento che, qualunque possano essere le resistenze, dovrà imporsi nel momento, tutt’altro che lontano, in cui il sistema sarà travolto dalla esigenza di un impegno quasi di ascetismo nei confronti del consumo e della natura, se si vuole evitare la distruzione del genere umano, nel rogo di una conflittualità crescente e dello sperpero dei mezzi per sopravvivere.
Lasciamo ai giovani questa speranza e l’impegno di meditare e realizzare modelli nuovi di società che ancora non sono neppure, in embrione, esistenti. A noi il compito di richiamare i responsabili della vita associata ad un impegno che consenta almeno di evitare il più dannoso e immorale degli sperperi: quello della giovinezza e, quindi, quello di un numero sempre più alto di uomini che non sono in grado di essere tali per non avere avuto un’adeguata educazione.
Ciò importa un impegno legislativo nuovo a livello della famiglia, delle strutture assistenziali educative di servizio di base, con la conseguente creazione di normative e di organi operativi che siano finalmente in grado di essere presenti ai bisogni dei giovani.
Dallapiccola – Quaderno Musicale di Annalibera (dedicato alla figlia)
L’appello di tre scrittori Mario Gozzini, Carlo Betocchi, David Maria Turoldo – Giornale del Mattino (12 giugno 1955)
Nessuna città più di Firenze dove la grazia di Dio e il merito dell’uomo, l’una e l’altro, chiare e indubitabili manifestazioni di sé, potrebbe apparire meglio qualificata a veder trattare il tema della speranza sui due plettri, l’umano e il divino riuniti da un corpo solo dal suo poeta.
Ma la storia del tempo nostro è stata prodiga di “eroi senza speranza”: non privi, gli uni, di ideali umani, di un’immagine, per quanto deformata, di fede e di carità, ma irrimediabilmente schiavi del limite che il tempo e la terra sembrano assegnare all’uomo e che ha per una chiara espressione la morte; non privi, gli altri, di fede nella misericordia soprannaturale e sopra terrestre, ma tale da rendere vani e impotenti tutti gli sforzi compiuti dagli uomini, qui, nel tempo e sulla terra, per sfuggire alla tentazione della disperazione. Siamo di fronte, dunque, a un dualismo che sembra escludere la possibilità stessa di una speranza integrale, umana e divina insieme. O si spera umanamente, si lotta per la trasformazione delle strutture terrestri, per la redenzione dell’uomo dai terrori e dagli incubi storici, e allora sembra necessario disinteressarsi o addirittura negare la vittoria reale sulla morte, la speranza teologale; o si spera secondo Dio, si vuole richiamare l’uomo a quella vittoria, ossia alla sua salvezza eterna, e allora le speranze umane perdono valore, l’ordine terrestre non è più che una delle incarnazioni del male.
Invece speranza teologale e speranze umane non sono più due ordini spirituali irrimediabilmente scissi, sotto il segno della serrata unità il primo, sotto il segno del molteplice disperso il secondo, ma un unico ordine di Vita che, se in terra è indispensabile forma di rifornimento di energie per la trasformazione della terra stessa, più oltre si proietta appunto come vittoria sulla morte.
La Speranza è il capitale più prezioso, la miniera cui attinge le risorse che una Provvidenza universale cela nello stesso sangue dell’uomo. La speranza è la linfa del sangue; offendere la speranza è lo stesso che colpire l’uomo come avvenimento biologico, poiché senza speranza non ci può essere neppure concepimento e non avrebbero un senso le cose. La speranza è un fatto cosmico, misterioso. (…..)
Giani Luporini – Nove Mantram
(Domanda, Anelito, Gravitazione celeste, Volere e libertà, Canto angelico, Vita nei cristalli, Memorie egiziane, Respiri intervallari, Verso la luce)
Zangelmi – Saluti agli amici n° 5
Conclusione
David Maria Turoldo, Meditazione breve
“Potessimo cantando passare
il vigoroso e soave
martirio, e nessuna
di queste paci
lasciare intatta,
cantare alla beata speranza:
oltre ogni possesso
liberi e leggeri
come gazzelle nel deserto!
Andare di paese in paese
saziati dal becchime
di uccelli alle finestre
e cantare salmi.
E danzare
finché la gente ritorni
a sorridere!
E non chiedere nulla
nemmeno la fede:
cantare all’amore
e spandere gioia,
con gli occhi colmi
di bellezza”.
Dallapiccola Lux frammento di 18 battute per voce e pf ritrovate sul leggio del pianoforte alla sua morte (2′)
Foto: Giorgio La Pira