Arriva in Aula al Senato la riforma sul premierato, mentre l’autonomia differenziata procede nell’aula della Camera. Una manovra a tenaglia stringe la Costituzione nei due rami del Parlamento e accende il clima elettorale. Mentre la campagna per le europee dell’8 e 9 giugno è alle battute finali, quella per il referendum costituzionale è ai nastri di partenza. Sì, perché ormai nessuno pensa più di licenziare la riforma del premierato dal Parlamento con un testo condiviso, quindi il ricorso ai cittadini è messo nel conto sia dall’opposizione, sulle barricate fin dalle prime battute, che dalla maggioranza, a partire dalla presidente Giorgia Meloni, che si è detta pronta ad affrontare il verdetto dell’amato popolo.
L’8 maggio il disegno di legge sul premierato è sbarcato in Aula al Senato, poche ore dopo la leader del Pd Elly Schlein riunisce i suoi senatori e li invita alla guerra: “Vi chiedo di usare i vostri corpi e le vostre voci per fare muro contro la riforma”. I corpi mobilitino le piazze e convergano il 2 giugno a Roma per una grande manifestazione. Le voci si alzino in Senato con tutti gli strumenti ostruzionistici a disposizione per rallentare la corsa della riforma. Si parte dalla liturgia istituzionale quindi, con una valanga di emendamenti dalle opposizioni, tremila, quasi tutti a firma Pd e Alleanza Verdi e Sinistra, 200 dal M5s. Le pregiudiziali di costituzionalità, come previsto, sono bocciate, non resta che alzare la voce con interventi accorati, che incendiano l’aula di palazzo Madama durante la discussione generale.
“L’elezione del premier determinerà una concentrazione di poteri su quest’ultimo che non ha eguali nelle altre forme di governo. Il presidente del Consiglio disporrà inoltre di una maggioranza parlamentare in grado di eleggere anche il Capo dello Stato. La più grande conquista del dopoguerra, ossia la democrazia pluralista, viene di fatto superata”. Questo è il capogruppo Pd in commissione Affari costituzionali del Senato, Andrea Giorgis. Gli fa eco il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto di Palazzo Madama: “La destra sta smantellando quel mirabile equilibrio disegnato dai padri costituenti fatto di pesi e contrappesi. Abbiamo presentato 1.400 emendamenti al Premierato per difendere la Costituzione repubblicana nata dalla lotta di liberazione contro il nazifascismo. Faremo un’opposizione durissima ad un testo inaccettabile e inemendabile”.
Ma l’evento clou del giorno si svolge nel pomeriggio alla Camera, con una kermesse che apre il fronte nazionalpopolare della riforma, arruolando cantanti, attori, sportivi, imprenditori e mischiandoli con costituzionalisti, parlamentari, ministri, in un frullatore pop che dà l’avvio alla campagna referendaria. Già il titolo dell’evento, ‘La Costituzione di tutti. Dialogo sul premierato’ sposta il focus dalle diatribe giuridiche all’abbraccio di popolo. La Costituzione è di tutti quindi, anche di Pupo che, assediato dai giornalisti a caccia di vip più che di ministri o costituzionalisti, diventa cantore del “premier forte, molto forte”. Altro che il ‘Gelato al cioccolato’ della canzone che l’ha reso popolare. C’è anche Iva Zanicchi, un po’ sorpresa dell’invito a dire il vero, ma non manca di tessere le lodi della premier. E l’attrice Claudia Gerini, che si lancia a decantare l’importanza delle riforme e della stabilità dei governi. Così la solenne Sala della Regina si veste per l’occasione da Teatro Ariston di Sanremo. Sfilano anche gli sportivi, con l’ex campione di nuoto Filippo Magnini che sfodera modestia più che altro, e non vuole “azzardare” giudizi su materie così complicate.
Dagli scranni della maggioranza voci più basse e molti meno interventi, tutti allineati e inneggianti alla stabilità dei governi che solo la riforma Casellati, la ministra che ha messo firma e faccia sull’ambizioso progetto, può garantire e, soprattutto, riecheggia insistente, nella destra dell’emiciclo, il mantra dei cittadini che finalmente possono scegliere chi li deve governare, senza gli odiati ribaltoni e le maggioranze arcobaleno che annullano il valore del loro voto.
Fra gli altri vip il più soddisfatto dell’invito sembra il presidente della Siae Salvo Nastasi che, nel nome dei 100.000 autori ed editori italiani che rappresenta, ritiene “importante e giusto avere il diritto e la necessità di essere il più possibile informato su un tema cruciale per il futuro del paese”.
Il convegno era promosso dalle Fondazioni Alcide De Gasperi e Bettino Craxi presiedute da Angelino Alfano e Margherita Boniver, vecchie glorie della politica italiana. I lavori aperti dal presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, e dal ministro per le Riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Maria Latella modera, introducendo gli interventi di quattro studiosi di diversa formazione: Giovanni Orsina, ordinario di Storia contemporanea alla LUISS Guido Carli, Francesco Clementi, ordinario di Diritto Pubblico a ‘La Sapienza’, Anna Maria Poggi, ordinario di Diritto Pubblico comparato all’Università degli Studi di Torino e Luciano Violante, presidente Onorario della Fondazione Italia Decide.
Questa la presentazione ufficiale dell’evento, ma come paragonare l’accorato “non possiamo rassegnarci al carattere permanente della Costituzione” della Casellati o la fascinazione di Violante per la “democrazia decidente” con la passerella di vip arruolati come testimonial della ‘madre di tutte le riforme’?.
Alla fine l’ultima parola spetta a Giorgia, come confidenzialmente la nostra premier gradisce essere chiamata e comparire perfino sulla scheda elettorale. E regala il primo comizio della campagna referendaria: “Sono sicura della bontà della riforma, dal mio punto di vista la sto facendo per chiunque arrivi domani. Io non ho questi problemi oggi, questo è un Governo stabile. E’ un rischio per me fare questa riforma. Ma avendo la possibilità di cambiare le cose, se io non lo facessi non sarei in pace con la mia coscienza. Penso che questa riforma potrà essere usata da chiunque in positivo”. Il tono è ecumenico, gli argomenti di merito i soliti, il bene primario della stabilità e il rispetto della volontà dei cittadini, ma poi arriva la notizia, detta esplicitamente, anche se nell’aria fin dall’inizio di quest’avventura: “È sempre meglio non arrivare a un referendum divisivo”sulla Costituzione, “ma mi corre l’obbligo di ricordare che la Repubblica è nata su un referendum divisivo ed è stato un bene, è la democrazia ed è stato previsto dai padri costituenti”.
Quindi che referendum sia e prepariamo i palcoscenici per i cantori della ‘madre di tutte le riforme’.