Sconfitte e vittorie, umiliazioni e riscatti. “Per giusta causa”, il romanzo appena uscito che Danilo Conte scrive per la casa editrice Milieu, è una storia di vite e della vita, una vita troppo spesso segnata dal marchio dell’ingiustizia sociale come della prevaricazione cieca e stupida, eppure riscattata dalla ribellione o anche solo da una promessa “che può essere un buon rifugio”. Soprattutto se detta promessa te la fa il tuo avvocato di fronte a un’ amichevole tazza di tè caldo, come accade a Gaia al Caffè della Pace in una fredda giornata autunnale . La pianista, che ha lavorato per 20 anni con 108 contratti uno dopo l’altro, nel Teatro dove voleva entrare da dipendente “ a testa alta per meriti e non per via giudiziaria”, ma che si decide a fare causa dopo che Chiton, l’avvocato che è la faccia romanzesca dell’autore stesso, le spiega che “rivendicare i propri diritti non è meno dignitoso di un concorso”. Gaia muore poco prima che il tribunale le dia ragione e Chiton va a prendere l’amara vittoria da solo, “pensando che in certi giorni dovrebbe esserci un sistema per spegnere tutto”.
I casi raccontati sono esclusivamente quelli che Conte ha incontrato come avvocato del lavoro e rivissuti attraverso il suo alter ego Chiton con una passione che li solleva dall’essere solo elenchi legali per venire resi nella loro interezza di storie di persone considerate nella loro complessa umanità. Chiton è un personaggio umano anche lui, con un amore perduto e presente, la figlia che più sedicenne di così non si può, l’entusiasmo partecipe per il suo lavoro e a volte anche una comprensibile stanchezza di fronte all’impossibilità, qualche volta, di ribaltare l’ingiustizia: tanto da sognare di perdersi nei vicoli di Genova fino a dietro un semplice bancone di pescheria. Una storia di casi giudiziari che Conte, avvocato del lavoro di Gallipoli trasferitosi a Firenze, impegnato sui diritti sociali e cofondatore del Centro studi e diritti del lavoro, ha seguito in varie città d’Italia, nessuno deformato ma solo trasformato a ritmo di romanzo. Storie private dal valore collettivo.
Il primo romanzo di Danilo Conte segna anche la nascita di un nuovo genere letterario: il social legal thriller. Non più il già arato legal thriller ma la novità aggiunta dal termine social. Nel social thriller non c’è il morto, ma muoiono, uccisi dall’ingiustizia, i diritti, le aspirazioni, le speranze, e scovare il colpevole è ancora più complesso. Ci si arriva solo attraverso percorsi di riscatto e ribellione tramite cui Chiton cerca con tutte le sue forze di ricostruire la dignità umana e, con questa, la vita stessa dei suoi assistiti. A volte va bene e a volte va male, ma la vicenda è sempre tesa come un thriller. In verità, c’è in una delle storie anche il morto. Ma non è morto per un intrigo e per una sola mano. Non in modo misterioso e fantasioso ma realmente, lavoratore in carne e ossa di cui si ricordano le cronache del tempo, seduto sul selciato bagnato dall’ umido di una ancora torrida estate a Piacenza, il 14 settembre 2016, seduto davanti al capannone del suo lavoro di trasportatore per fermare un camion che voleva uscire a tutti i costi con le merci e lo travolge mentre ha sulla bocca l’ultima parola: “sciopero”. Per difendere diritti neanche suoi ma dei precari che l’azienda voleva licenziare: “And El Salam era venuto dall’Egitto nel 2001 per morire di sciopero in Italia nel paradiso della logistica”. Ora Conte è anche cofondatore del Centro di iniziativa giuridica Abd El Salam.
Dall’altra estremità del gomitolo delle vite dipanate da Chiton c’è anche Susanna che vince a piene mani dopo l’ingiustizia, racconta l’avvocato, subita in una giornata che le aveva cambiato la vita, con i doposci ai piedi per correre, durante una nevicata che aveva fermato qualsiasi mezzo, al grande teatro dove era stata direttrice dell’ufficio stampa per tanti anni in cui il contratto si chiudeva e rinnovava ogni 31 dicembre, e tanto impegno da farla considerare il simbolo del teatro stesso. Quel giorno, Susanna viene licenziata in tronco e senza spiegazioni, a raso del panettone e gli auguri di Natale. I particolari della giornata li confessa a Chiton davanti a un caffè, solo pochi minuti prima dell’ultima udienza raccontata a ritmo di suspence. L l’avvocato parla a braccio 50 minuti, la sentenza dà ragione a Susanna , lei e Chiton si abbracciano senza riuscire neanche a parlare, Poi, al posto del caffè, si beve prosecco. E avanti con Josè e i camalli di Genova che cercano di fermare la nave con le armi in partenza per uno dei fronti di guerra, Eleonora, la modellista di successo fregata dal capo in cui aveva creduto, due ricercatrici nella lotta contro il cancro, Cinzia e Valeria, che finiscono, una a lavorare in nero in un’agenzia immobiliare, e l’altra che apre una lavanderia a gettoni.
Poi, ballerine, infermiere, postini, commesse, riders e via con le professioni di una umanità variegata ma con il denominatore comune di vite offese e spezzate che Chiton cerca a tutti i costi di ricostruire e che racconta con il ritmo serrato del thriller, il tono leggero e dolente al tempo stesso. Con un indomabile desiderio di giustizia che gli impedisce la pur umana tentazione di fuga.