Migrazioni e denatalità: i pregiudizi e le esclusioni frenano l’Italia

Riflettendo sul “mondo in movimento” di Parag Khanna

“L’Italia sta scomparendo”: ha scritto Elon Musk rispondendo su Twitter a un messaggio di un utente che aveva ricordato il calo di nascite in Italia evidenziato dai dati Istat. Secondo l’istituto di statistica, la popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2023 è di 58 milioni e 851 mila unità, 179 mila in meno sull’anno precedente, per una riduzione pari al 3‰, i figli per donna sono 1,24, le nascite sono state 393 mila, le morti 713 mila. La tendenza al calo delle culle prosegue dal 2009. La speranza di vita è di 82,6 anni mentre gli ultracentenari sono oltre 22 mila con un numero che negli ultimi 20 anni è più che triplicato.

Non è la prima volta che Musk si esprime sul pericolo che il collasso della natalità nel cosiddetto “mondo civilizzato” mette in discussione la sopravvivenza dell’umanità stessa. Cosa succederà in questo secolo? Quali scenari si possono prefigurare? Quale nuova civiltà nascerà? Sono soltanto alcuni interrogativi che mi sono posto leggendo la dichiarazione di Musk. In realtà è da tempo che rifletto sui grandi movimenti che hanno interessato il genere umano, che negli ultimi vent’anni si sono accentuati in modo importante. Diciamo che la scintilla è scattata nel 2020. Un anno che rimarrà non solo nella storia, ma nelle menti di ogni abitante del pianeta terra.

Mesi di lockdown concatenati in ogni angolo del mondo, hanno avuto l’effetto di “spegnere” il mondo globalizzato. Proprio così. Le persone hanno smesso di muoversi così come le merci. Solo le informazioni e i capitali hanno continuato circolare come se nulla fosse successo. È stata proprio l’esternazione di Musk, unitamente alla riflessione che ogni tanto faccio sul lockdown che mi ha fatto decidere di riprendere in mano il libro di Parag Khanna: “Il mondo in movimento”. Un saggio che avevo cominciato a leggere nel 2021, anno in cui ho fatto il mio ultimo viaggio, quello che, per intenderci, mi ha fatto riassaporare l’abitudine a girare il mondo senza nessun ostacolo. Ho collegato questo pensiero sia al concetto di denatalità che investe il nostro paese, sia ai migranti che ogni giorno sbarcano, quasi senza soluzione di continuità, sulle nostre coste, animando l’annoso dibattito politico che si trascina ormai da decenni soprattutto in Italia.

“Migrare è il nostro destino” afferma Khanna e al centro ci mette la carta geografica del mondo, intesa come la commistione tra ambiente, politica, tecnologia e demografia che è in perenne evoluzione. È proprio questa commistione che costituisce il focus del saggio di Khanna, che lui chiama: “Geografia umana”. La intende come la distribuzione della nostra specie sui 150 milioni di chilometri quadrati di terra, ma  anche come l’insieme delle nostre relazioni reciproche e del rapporto che abbiamo con il nostro pianeta, spingendosi fino a trattare i temi della demografia e delle migrazioni. Senza, altresì tralasciare il nostro adattamento genetico a un ambiente che è oggettivamente cambiato.

Perché la geografia umana è così importante oggi?

Perchè è venuta a mancare la stabilità nelle relazioni tra: natura(risorse idriche, energetiche, alimentari, minerali) politica (confini territoriali) e economia(industrie, infrastrutture e tecnologie). Ci sono tra Nordamerica e Europa 300 milioni circa di anziani e infrastrutture decadenti, a fronte di oltre due miliardi di giovani che non hanno un lavoro in America Latina, Medio Oriente e Asia, potenzialmente preziosi per occuparsi degli anziani e mantenere efficienti i servizi pubblici. Ci sono un’infinità di ettari di terreno arabile nelle spopolate pianure del Canada e della Russia, con milioni di agricoltori impoveriti in Africa costretti a lasciare le loro terre a causa della siccità. Ci sono paesi con sistemi politici eccellenti e pochi cittadini, come la Finlandia e la Nuova Zelanda, ma anche centinaia di milioni di persone che soffrono sotto regimi dispotici o vivono in squallidi campi profughi. E ci stupiamo, allora, dinanzi a milioni di persone che hanno deciso di mettersi in movimento?

Le migrazioni di massa sono inevitabili. Da quando l’uomo è apparso sul nostro pianeta, ha fatto del movimento la ragione della sua sopravvivenza. A volte non ci è riuscito e abbiamo assistito all’estinzione di alcune importanti civiltà. Ma oggi più che mai, le migrazioni sono necessarie. Nei prossimi decenni intere regioni del pianeta attualmente sovrappopolate, a causa dell’aumento della temperatura potrebbero finire del tutto abbandonate, mentre territori oggi spopolati potrebbero attirare le masse e diventare nuovi centri di civilizzazione. In buona sostanza l’uomo non ha mai smesso di mettere al centro il “movimento” per garantirsi la sopravvivenza. Khanna nel suo saggio afferma: “Se hai la fortuna di vivere in paesi come il Canada e la Russia, allora stai sicuro che i migranti arriveranno presto da te. In altre parole: anche se non ti interessi di migrazioni sono le migrazioni a interessarsi a te”.

“Migrare è umano”

I primi uomini apparsi sulla terra all’incirca due milioni di anni fa, hanno cominciato a muoversi e anche a incrociarsi per emergere come Homo Sapiens. I paleontologi affermano che tra i 135000 e 90000 anni fa, a causa di una siccità in Africa i primi uomini si spostarono in quella che oggi è conosciuta come Europa, all’epoca abitata dall’uomo di Neanderthal. Gli uomini si sono mossi anche a causa della glaciazione di 25000 anni fa spostandosi, dopo aver attraversato la Siberia, nel Nord-America. Migrazioni ci sono state anche a causa delle grandi epidemie come la peste nera del XIV secolo che si stima abbia fatto 100 milioni di vittime. Le migrazioni dell’età coloniale del XVI secolo. Fino a arrivare al XIX secolo. Quest’ultimo è stato quello della vera migrazione di massa dovuta alla rivoluzione industriale. Nel XX secolo il nazionalismo ha conseguito molti successi grazie ai movimenti di decolonizzazione. Molte persone che sono emigrate da paesi dilaniati dalle guerre civili o dalle carestie e inondazioni indotte dal cambiamento climatico sono approdate in altri paesi, quali ad esempio gli Emirati Arabi Uniti, contribuendo con il loro lavoro a farlo diventare uno degli stati più moderni al mondo.

“Ma allora, le migrazioni fanno girare il mondo?”

Qualunque  sia il loro numero i migranti rappresentano il 10% del PIL mondiale, afferma Khanna. Una cifra considerevole se pensiamo che in questo 10% sono compresi i 550 miliardi di dollari che ogni anno (dati 2019), vengono trasferiti da un paese all’altro. A suffragare quanto Khanna dice, c’e anche il DEF, documento di economia e finanza approvato di recente dal governo italiano, nel quale a differenza delle dichiarazioni di facciata di alcuni esponenti della maggioranza, spiega molto chiaramente l’impatto positivo dell’immigrazione sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. “Eppur si muove” potremmo dire leggendone i dettagli…..

In realtà sul tema delle migrazioni manca un quadro normativo globale che, probabilmente, non avremo mai. Esistono tendenze regionali radicate nel tempo, fatte di storie familiari, necessità economiche e preferenze culturali, che incidono in profondità sui movimenti delle persone. Tuttavia è un fenomeno che, secondo Khanna, vedrà, nei prossimi anni una forte accelerazione, man mano che la “geografia umana” prende corpo sulla spinta dei seguenti fattori:

la demografia, ossia gli squilibri asimmetrici fra un Nord che invecchia e un Sud giovane, capace di offrire la forza lavoro di cui il primo ha bisogno;

la politica, ossia rifugiati e profughi provenienti da guerre civili e Stati in fallimento, come pure i tanti che fuggono dalla persecuzione etnica, dalla tirannia o dal populismo;

l’economia: migranti in cerca di opportunità, lavoratori lasciati a casa dall’outsourcing, impiegati costretti al pensionamento anticipato a causa delle crisi finanziarie;

la tecnologia, con l’automazione industriale che ridurrà sempre più i posti di lavoro nelle fabbriche e nella logistica, mentre algoritmi e intelligenza artificiale renderanno sempre più superflui i lavoratori specializzati;

il clima, infine, che si tratti di fenomeni di lunga durata come l’aumento delle temperature e del livello dei mari e l’impoverimento delle falde acquifere o di disastri stagionali come inondazioni e uragani. Senza dimenticare le pandemie che il cambiamento climatico renderà più facili.

I giovani.

Da qualsiasi parte provengano, i giovani di oggi sono di gran lunga la generazione fisicamente e digitalmente più in movimento di tutta la storia umana. Dove stanno andando, come vivono e cosa stanno facendo oggi rivela quali modelli sociali, politici ed economici si affermeranno domani – e quali, invece, falliranno. I paesi che perdono cittadini oggi sono probabilmente destinati a declinare domani, e viceversa quelli che attraggono giovani sono quelli che domani saranno più fiorenti. Cosa riserveranno i prossimi trent’anni – da oggi al 2050 – per quanti adesso hanno meno di trent’anni? Con quali condizioni geopolitiche, economiche, tecnologiche, sociali e ambientali avranno a che fare? In quale direzione andranno? E quali società risulteranno vincenti e perdenti nel XXI secolo?

La risposta a questi e ad altri interrogativi si trova nei giovani. Per conoscere il futuro, dunque, dobbiamo inoltrarci in esso seguendo i passi della prossima generazione. Oggi assistiamo al più grande paradosso delle migrazioni globali: I paesi con le maggiori carenze di forza lavoro sono anche quelli che adottano politiche migratorie più rigide. Questa deriva populista non è che un semplice dettaglio a fronte del colossale squilibrio tra giovani e anziani in quegli stessi paesi e della carenza di lavoratori che deve essere soddisfatta perché la vita sociale ed economica sia in grado di funzionare. È questo, secondo me, il tema. Per affrontarlo occorre innanzitutto consapevolezza e in seconda battuta lungimiranza e capacità progettuale. Invece è molto più facile usarlo come argomento divisivo, buono per raccogliere un bel pacchetto di voti. La tipica strategia di breve periodo dei governi che hanno come orizzonte temporale le prossime elezioni. 

Migrazione vs Emigrazione

Ha ragione Musk: un paese che non fa figli è destinato a scomparire. Per contro l’immigrazione è stata ed è la carta da giocare delle crisi politiche in tanti paesi europei, ma qualcuno si è dimenticato di dire ai populisti del continente che la minaccia esistenziale di gran lunga più sinistra è quella dell’emigrazione. È facile istituire il ministero della famiglia e, ancora di più lo è sbandierare ai quattro venti che il governo si pone l’obiettivo di incentivare la natalità. Ma sono etichette propagandistiche. La realtà è che il numero di uomini e donne che hanno lasciato e continuano a lasciare il paese aumenta sempre di più.

Forse dovremmo riflettere su quale significato dare al concetto di stato, paese o, se vogliamo usare un termine oggi molto in voga, nazione. Per lungo tempo si è potuto affermare che sia stato la fonte dell’identità e della stabilità. “Ma quando si cresce in società in cui scarseggiano i posti di lavoro e abbondano invece l’incompetenza e la corruzione, allora bisogna prendere il destino nelle proprie mani. Le inchieste ci dicono che per i giovani di molti paesi il privilegio della mobilità è considerato più importante del diritto di voto. “Muoversi” ha un valore maggiore di “appartenere” soprattutto se il tuo paese è governato da leader che hanno una visione arcaica della società. È così che in Stati che non hanno fatto nulla per l’aggiornamento della propria economia e il risanamento delle infrastrutture è sempre più facile sentir dare la colpa delle difficoltà agli immigrati.

Il Canada e il Giappone

Nel saggio di Khanna, Canada e Giappone sono i due paesi per i quali la politica migratoria è, a tutti gli effetti, politica economica. Il Canada è ormai entrato nel club delle grandi destinazioni dei migranti, al ritmo di 350.000 ingressi all’anno che rimpolpano senza sosta i 30 milioni di residenti (una percentuale annua di gran lunga superiore a quella degli Stati Uniti). La Century Initiative inaugurata dal governo aspira apertamente a raggiungere i 100 milioni di abitanti, un numero che candiderà il Canada a superare la Russia in termini demografici. Il Canada non è soltanto un caso studio di migrazione e integrazione sistematiche di massa, ma anche un laboratorio politico di esperimenti di riduzione delle diseguaglianze. Il paese si colloca parecchio al di sopra degli States nelle classifiche della mobilità sociale: se quasi il 20 per cento degli americani è nato in famiglie sotto la soglia di povertà, la percentuale si riduce all’8 per i canadesi, grazie, fra l’altro, a programmi di alloggio per i senzatetto e a posti di lavoro sovvenzionati dallo Stato. Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno subendo la seconda grande ondata di sfratti nel giro di dieci anni, con un significativo peggioramento della povertà e della malnutrizione.

Un caso diverso dal Canada è il Giappone. La carenza di forza lavoro nell’agricoltura, nella sanità, nell’educazione e in altri servizi essenziali, ha trasformato Il Giappone. Da essere un paese che non è mai stato disponibile ad accogliere forza lavoro da tutto il mondo, oggi, e i risultati si vedono nei numeri, con i suoi 400.000 ingressi all’anno, si colloca ai primi posti della classifica dei paesi che accolgono migranti. Però, per i lavoratori stranieri a bassa qualificazione i modi improntati alla rigidità persistono: i migranti sono classificati in base al livello d’istruzione e ai settori in cui possono essere impiegati, ad esempio le costruzioni e la cantieristica, ed è loro normalmente vietato il ricongiungimento familiare. È un’evidente spia del fatto che il Giappone è prima di tutto interessato a riempire i buchi della forza lavoro anziché a diventare qualcosa di simile agli Stati Uniti, al Canada e all’Australia. Il Giappone non perderà mai la propria identità etnica per evolversi in un melting pot, ma le sue porte, almeno, sono più aperte che mai alla possibilità di includere “nuovi giapponesi”.

Sovranità vs Amministrazione

Il cambiamento climatico, ci pone numerose questioni. La prima è relativa agli obblighi che competono agli Stati in materia di conservazione degli habitat naturali, di riduzione dei gas serra e di accoglienza dei migranti. Al nocciolo di queste considerazioni si colloca una dura scelta: cosa importa di più, la nazionalità o la sostenibilità? È lecito consentire che uno Stato sia guidato da un leader che mette a repentaglio un patrimonio che appartiene a noi tutti, la Terra? Nei prossimi anni afferma Khanna, dovremo essere capaci di fare un importante salto culturale: Il concetto che ci ha guidato fino a oggi basato sull’assunto che sono le risorse che vanno verso l’uomo, saremo capaci di credere che è giunto il tempo di capire che, per sopravvivere è vero il contrario? E che quindi l’amministrazione delle risorse diventerà cruciale, molto più della loro sovranità, per la nostra esistenza? Devo dire che su questo punto nutro un certo scetticismo. Non foss’altro per le solite due ragioni: la prima attiene alla naturale tendenza dell’uomo a resistere ai cambiamenti; mentre la seconda riguarda la sua atavica riluttanza alla perdita del potere.

Ripopolare il mondo

Il mondo sta esaurendo i luoghi in cui vivere. il che vuole semplicemente dire che la geografia è mutata. Dobbiamo capire che è necessario spostare gli uomini verso i luoghi in cui ci sono le risorse e, nel contempo, dobbiamo assumere le decisioni giuste per preservarle. I grandi Stati del Nord del mondo – USA e Canada, Gran Bretagna e Germania, Russia e Giappone –hanno assoluto bisogno di piani espansivi di immigrazione come pure di nuovi, concreti investimenti nell’agricoltura e nelle infrastrutture al fine di trovarsi pronti a quello che succederà. Questi paesi hanno già oggi bisogno di un’immigrazione di massa per conservare il proprio standard di vita, eppure nessuno di loro sta accogliendo un numero di migranti che lontanamente si avvicini a quello di cui ha necessità.

Il declino demografico dei paesi ricchi diminuisce gli standard di vita, incrementa le disuguaglianze e accende tensioni socioeconomiche, mentre l’esplosione demografica dei paesi poveri ritarda qualsiasi forma di sviluppo equo. Che fare? L’incremento delle migrazioni sanerebbe questi estremi e preverrebbe foschi scenari globali di guerre, povertà e diseguaglianza. Un riequilibrio demografico su larga scala sarebbe pertanto nell’interesse di tutti. La scelta che ci troviamo di fronte è fra la redistribuzione progressiva delle popolazioni, specialmente delle loro sezioni più giovani, in regioni nelle quali esse possono trovare una vantaggiosa sistemazione, e una rivolta globale delle classi disagiate. Gli ultimi anni ci hanno dato una certa idea di quello che quest’ultima scelta potrebbe determinare. Siamo abbastanza coraggiosi da prendere l’altra strada? E soprattutto abbiamo la classe dirigente giusta per valutare e gestire il cambiamento?

Il movimento del mondo di Parag Khanna può essere, mio avviso, considerato una sorta di manifesto dedicato al pianeta e al genere umano. Tanti sono gli spunti di riflessione che si possono trarre dalla profonda analisi effettuata dall’autore. Primo fra tutti l’importanza del ruolo che riveste la geografia del nostro pianeta in questo particolare momento storico della sua esistenza. Per questo consiglio di leggerlo. Non c’è niente di meglio che accrescere la nostra consapevolezza su temi che riguardano il futuro della nostra specie.

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