Anna Vittoria Zuliani
1955: “Un Paese”, 1976: “Un Paese Vent’Anni Dopo”. È la storia questa, di due pubblicazioni accomunate dallo spazio, separate dal tempo. E’ la storia di due fotografi, Paul Strand e Gianni Berengo Gardin, e di quell’instancabile individuo poliedrico che li unì: Cesare Zavattini. L’ha raccontata questo ‘Venerdì del Planisfero’ in Biblioteca Panizzi lo stesso Berengo Gardin. Persona di poche parole (e piena di immagini), co-autore del racconto in bianco e nero di quella Luzzara che due decenni prima fu soggetto per Strand. Si autodefinisce un sessantottino, perciò un fotografo documentarista, la sua è una concreta visione delle cose, è stata una ostinata ricerca del ‘banale quotidiano’. “Un Paese Vent’Anni Dopo” fu ed è un prezioso documento dei cambiamenti dagli anni ‘50 ai ’70, in generale nei paesi italiani, in particolare in quelli della bassa reggiana.
Quello di oggi è stato il racconto schivo di come tutto questo è stato possibile dal principio: la curiosità inarrestabile di Zavattini, fermamente convinto che qualsiasi strumento fosse idoneo a raccontare la realtà, qualsiasi mezzo utile a scoprirla. La fotografia fu uno dei tanti. “Mi ricordo che intorno a quegli anni del cinquantacinque io mi battevo affinché la macchina fotografica fosse introdotta nelle scuole, affidata nelle mani dei fanciulli. Ho scritto e riscritto e trasferito perfino sullo schermo la convinzione che anche con tali strumenti è possibile il ritrovamento” (C.Zavattini). Fu questa la premessa all’unione con Strand nel ’55, per il quale caratteristiche della fotografia erano l’onestà, il rispetto del soggetto, una fotografia pura, dunque realista. Più precisamente in questo caso neorealista, perché siamo in Italia. Quest’onestà è rafforzata nel libro dalla intromissione di Zavattini a seguire le fotografie con la didascalia. Il racconto in poche righe approfondisce il soggetto che ne è in parte l’autore, sono pensieri di gente pratica, su cosa mangia, sul lavoro, i soldi messi da parte, la guerra appena passata, il mercato, i balli, i campi, il Po. Sveglia alle 5, a letto alle 7. Berengo Gardin sostiene che la restituzione di Strand fosse lirica, poetica rispetto al suo approccio. Forse il tempo che invecchia le cose le carica a volte di una patina suggestiva, perché si volle in quell’anno raccontare un paese italiano tra i tanti, alle prese con la ricostruzione della propria vita. Fu scelta quella Luzzara di cui Zavattini fu il più grande innamorato e se ne fece memoria collettiva.
Negli anni ’70 la proposta di raccontare lo stesso spazio attraverso un altro occhio, un’altra mente, una diversa sensibilità, produsse gli scatti di Berengo Gardin, che scelse di contrapporre ai vecchi soggetti, gli stessi invecchiati di vent’anni. Furono, come nel primo progetto, anonima rappresentazione delle condizioni di molti altri italiani. Furono documentazione come ne fece Strand, ma forse apparentemente inasprita dal corso della storia e dalla stessa consapevolezza di farla nel contesto delle denuncie, delle rivendicazioni. In vent’anni ai contadini si sono affiancati gli operai, ai campi gli interni delle case, la vita ha acquistato un ritmo diverso, sono mutate le aspirazioni ma la dimensione è rimasta la stessa: era sempre gente di paese.