L’Europa e gli Stati: necessaria la riforma dei processi decisionali

Un Quaderno della Fondazione Circolo Rosselli sul futuro dell’Unione

La presentazione del Quaderno della Fondazione Circolo Rosselli n. 4.2022 “Il futuro dell’Europa” a cura di Andrea Mulas (Pacini ed. Pisa), che si è tenuta martedì 31 gennaio a Firenze, è stata anche l’occasione per un ampio dibattito sull’Europa del futuro, in particolare alla luce del mutamento di panorama che in Italia vede un governo costituito da compagini politiche tradizionalmente tiepide, quando non del tutto contrarie, rispetto all’unità europea. Un Quaderno che si configura anche come pubblicazione degli Atti del convegno sull’Europa organizzato da Aici, e tenutosi a Roma nell’autunno scorso (https://www.thedotcultura.it/europa-alla-prova-fra-nuove-sfide-e-i-nuovi-e-vecchi-nazionalismi/).

“In particolare, e credo che nel Quaderno sia messo bene in evidenza, siamo di fronte a un’Europa che ha dovuto porsi dei problemi fondamentali di crescita, messi in evidenza anche dalla pandemia, in parte anche risolti se pensiamo alla lotta contro il Covid e alla costruzione del Next Generation EU”, dice il presidente della Fondazione Valdo Spini, che introduce l’argomento.

Ma il punto su cui conviene riflettere, è anche un altro. L’Europa mette in campo Trattati che spesso, messi alla prova dei referendum nei vari Paesi, vengono bocciati. Il motivo? “In buona sostanza perché spesso l’uso dei referendum è stato strumentale a problemi di politica interna – commenta Valdo Spini, introducendo l’incontro – tuttavia sottolineiamo che è stata l’emergenza dei problemi a costringere all’unità decisionale l’Europa, come abbiamo ricordato nel caso del Covid. Poi l’energia e la decisione sul price cap del gas, nonostante ci sia voluto molto tempo per venirne a capo, a partire dalla proposta di Draghi.

La settimana prossima ci sarà un consiglio straordinario che dovrebbe prendere in esame altri due problemi di grandissimo rilievo: la politica sull’immigrazione, in cui l’Italia ha sempre lamentato una mancanza di solidarietà e le contromisure nei confronti dell’Inflation Reduction Act. Com’è noto, il presidente degli USA Joe Biden ha stanziato una considerevole mole di risorse per sostenere  l’industria americana diminuendone i costi. L’Atto titola così perché l’America sta sostenendo una forte ondata inflazionistica e queste misure dovrebbero ridurne le conseguenze. Nel contempo, però, le stesse misure rendono l’industria americana più concorrenziale, anche verso quella europea, il che solleva il problema di come reagire. La sola enucleazione di questi due termini mi sembra faccia capire molto bene come non ci sia soluzione ai problemi italiani se non all’interno dell’Europa: sia sulle politiche della migrazione sia sulle contromisure alla politica americana, l’Italia non potrebbe mai cavarsela da sola”.

“Alla luce di questi punti fondamentali – prosegue Spini – vogliamo dire ai neofiti della politica europea che è giustissimo perseguire gli interessi nazionali, ma guai se si considera questo interesse nazionale ristretto al quadro della politica interna. Come si svolgerà la dialettica fra centrodestra e centrosinistra su questo punto? Non è facile dirlo. Credo tuttavia che non si debba diminuire l’attenzione sul tema. In particolare se è vero quel che abbiamo detto che qualche volta paghiamo in Europa la lunghezza delle decisioni, questo non dovrebbe distogliere l’attenzione dal tema delle riforme dei trattati e delle riforme istituzionali. Si può anche dire: E’ finita l’era della riforma dei Trattati! Come qualche sovranista o populista sta facendo negli ultimi tempi. In realtà poi, quando la richiesta all’Europa è quella di produrre decisioni veloci su temi importantissimi, forse il nostro sovranista o populista non se ne rende conto, ma chiede la riforma dei trattati, la riforma dei processi decisionali. Credo che su questo non si debba assolutamente mollare l’attenzione”.

Ad allargare il dibattito, la presenza di 4 docenti della Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri, fra cui il presidente Carlo Sorrentino, oltre all’eurodeputata Beatrice Covassi.

Circa la percezione dell’Europa nell’opinione pubblica italiana, si dipana l’intervento del professore di Storia moderna Fulvio Conti, che mette in luce il passaggio, a livello di collettivo, dell’approccio con l’Europa che da matrigna diventa “mamma”. Tutto ciò a valle, dice il docente, di una serie di risposte immediate ed efficaci che l’Europa è stata in grado di fornire ai cittadini a fronte di crisi importanti, dalla Brexit ( “Sono trascorsi tre anni dalla Brexit – dice – ovvero da quella che poteva essere il primo passo, partito col referendum del 2016, che poteva mettere in crisi il sistema europeo) alle chiusure da pandemia, rispetto alle quali “l’Europa, d fronte a quello scenario così oscuro, già nel giro di pochi mesi poneva in atto un piano di aiuti enorme, il piano Sure (strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza), sovrastato poi da quello successivo. Un primo piano fino a 100 miliardi di euro, sotto forma di prestiti. Inoltre si era già arrivati alla decisione di acquisti centralizzati di mascherine e polivaccini su di un settore, quello sanitario, dove l’unione europea non aveva diretta competenza, addirittura un settore come sappiamo concorrenziale fra Stato e Regioni; nel marzo 2021 il piano Next Generation, tradotto nel Pnrr, 750 miliardi”.

Improvvisamente il cittadino si trova di fronte all’ermafrodito, come lo chiama Giuliano Amato nel suo intervento, che diventa “mamma”, ovvero una figura vicina, che lo sostiene nel momento del panico. Tutto ciò, all’interno di una considerazione più generale, che è quella di un ritorno forte dello Stato. Su questo è necessaria una riflessione: nel momento della crisi vera, che non si sa come arginare, quelle ideologie dell’individualismo, del neoliberismo, dominanti da almeno una quarantina d’anni, mostrano il passo, tant’è vero che nel 2021 il Festival dell’Economia di Trento titola Il Ritorno dello Stato”. Dopodiché, il capitolo della guerra, che ha visto il ruolo dell’Europa acquistare, dai primi imbarazzi, un nuovo spessore.

Dunque, ci vogliono le crisi per fare l’Europa? “Forse sì – conclude il professor Conti – e questo è uno dei problemi su cui interrogarsi”. In ogni caso, è comunque da una situazione di emergenza, storicamente parlando, che prende il via il disegno dell’unità europea, che si concretizza all’indomani della grande cesura dovuta alla tragedia della seconda guerra mondiale. I passi successivi, il Mercato economico del carbone dell’acciaio nel 1950, poi la CECA nel 951. Nel 1952, si pone la questione dell’Esercito comune europeo, che viene bloccata soprattutto dalla Francia. “Forse da lì si deve ripartire – dice Conti – la questione è nettamente sul tappeto”. Infine Conti ricorda quella che chiama “la sfida della comunicazione”, ovvero l’emozionalità, la ricerca per costruire un’identità che assume i connotati della stessa costruzione d’identità della nazione italiana nel corso dell’800. Quindi, intitolazioni di strade, targhe, monumenti ai grandi europei e all’Europa, come l’istituzione di feste europee, che chiamino gli strati della popolazione all’avvicinamento e alla compartecipazione dell’identità europea.

Un’ulteriore iniezione di ottimismo circa il sentimento europeo che alberga nella popolazione italiana, proviene da Rossella Bardazzi, docente dell’economia dell’integrazione europea, che mette in evidenza, dati alla mano, che su molti temi i cittadini dell’eurozona favorevoli a una politica comune europea arrivano a percentuali fino al 75%, ad esempio sulle politiche energetiche, e arrivano quasi all’80 % sulle politiche per una difesa comune. Giudizio positivo anche per l’introduzione dell’euro, visto come vantaggio anche per il proprio Paese e non solo per l’eurozona. “Sembra quasi – dice la docente – che non siano i cittadini lontani dall’Europa, bensì le classi dirigenti nazionali”.

“Molte delle aree tematiche citate – continua – sono ad ora di competenza nazionale. Da qui nasce l’esigenza di dedicare spazi e risorse aggiuntive del bilancio europeo per finanziare politiche di interesse transnazionale. Il caso della Brexit è un caso esemplare. Dal referendum del 2016 in GB si è passati dalla Brexit al Breregret, ovvero un neologismo per significare che esiste un pentimento di aver votato la Brexit, sentimento che si allarga, dal momento che si è scoperto che molti dei problemi fatti passare come inefficienze dell’Unione europea erano in realtà inefficienze del governo nazionale”.

 “Circa la tempestività e l’efficacia delle azioni delle istituzioni del governo europeo, “penso si possa dire che la lezione che si è imparata dopo la crisi economico-finanziaria del 2008-2011, è stata utile: in quel caso le istituzioni europee sono intervenute troppo poco, troppo tardi, con scarsa solidarietà fra gli Stati e anche con poca lungimiranza, come ad esempio l’austerity imposta ad alcuni stati che ha avuto effetti perversi anche sugli altri”. L’atteggiamento era quello di pensare che alcuni Stati fossero stati indisciplinati dal punto di vista finanziario e fossero in qualche modo responsabili della crisi in cui versavano; la risposta fu piuttosto severa.

Giunta la pandemia, la narrazione cambia. In questo caso, i motivi del danno morale sono completamente esterni, lo shock da endogeno diventa con ogni evidenza esogeno. La minaccia comune, di cui nessuno ha responsabilità, richiede una risposta comune. Sulla scorta degli errori commessi precedentemente, “la tempistica non è così lenta. Lockdown a marzo, interventi come Sure fine marzo. Gli interventi della Banca Centrale Europea sono di marzo; la sospensione del patto stabilità e crescita, immediata. Se passiamo alla crisi energetica, i primi interventi della commissione europea sono stati antecedenti alla guerra russo-ucraina. Ottobre 2021, primo intervento, la volatilità anomala dei prezzi era già stata rilevata. Nel maggio 2022, c’è il Repowering”. Dal piano di investimenti sulle rinnovabili, e , ultimo atto in ordine di tempo, al price cap, i provvedimenti sono stati, secondo la professoressa, tutto sommato rapidi. Fra i problemi che pure nel sistema ci sono, quello del criterio dell’unanimità e quello della regolamentazione fiscale, che vede la necessità di un cambiamento molto profondo nelle regole, riconsegnando agli Stati la responsabilità della sostenibilità del loro debito pubblico. Tutto sarà legato, secondo la professoressa, al successo o meno del Next Generation EU, che potrà mettere, in caso di insuccesso, la parola fine a questa porta di opportunità che si è aperta con i fondi messi a disposizione degli Stati.

Di politiche del futuro parla nel suo intervento il professor Enrico Borghetto, scienziato della politica. “Sembra che ci sia una divisione del lavoro non scritta fra dimensione nazionale e dimensione europea per cui, a livello nazionale, si tende a non pensare più in termini di lungo periodo. Per cui, tutte quelle politiche che riguardano l’impatto generazionale vengono di fatto delegate ad altri ambiti, fra cui quello sovranazionale. Qualche esempio? L’invasione russa in Ucraina. Il dibattito nazionale si concentra sul punto se inviare armi o meno, qui di se e come concludere questo conflitto. Non c’è una riflessione invece su come vincere la pace. Cosa significa? Significa pensare a quelli che saranno gli equilibri futuri. A come ricostruire l’Ucraina. Per trovare questo tipo di riflessioni dobbiamo andare a Bruxelles, dove si sta parlando di un investimento di 350 miliardi. Si riflette sulla possibilità da offrire all’Ucraina di entrare nell’UE. Politiche di lungo periodo. Altro esempio, cambiamenti climatici. L’obiettivo di ridurre le emissioni del 50% entro il 2030 e di raggiungere un impatto climatico quasi neutro entro il 2050 è un classico esempio di decisioni politiche di lungo periodo. In Italia un piano di adattamento alla crisi climatica è stato appena pubblicato dal ministero dell’ambiente;  è u piano che è rimasto congelato dal 2018. E siamo al 2023”.

La tendenza è dunque quella di delegare ad altre sedi. “Altro punto, la trasformazione tecnologica. Riflettiamo su questa società della sorveglianza, di come l’Intelligenza artificiale possa avere benefici chiari e evidenti per la nostra qualità della vita, quanto dei risvolti molto preoccupanti. Su questo tipo di questioni non c’è un dibattito a livello nazionale. Fortunatamente, il dibattito sulle politiche a lungo termine e sulle decisioni, è stato svolto a livello europeo, in cui si sta discutendo una direttiva quadro sulle intelligenze artificiali. Riassumendo, che si parli di scenari geopolitici futuri, politica ambientale, controllo della tecnologia, il silenzio nazionale è assordante. Perché non c’è questo dibattito? In parte è legato al fatto che per risolvere questi problemi dobbiamo coordinarci, non si possono risolvere a livello nazionale. Ma ci può essere anche una sorta di opportunismo, nel senso della natura delle questioni, molto complessa e imprevedibile come ricadute. Quindi può essere anche strategico non occuparsene e passare la palla”. In altre parole: “Se le decisioni sono accolte in maniera positiva a livello collettivo perché hanno effetti benefici, tutti se ne prendono il merito. Viceversa, se l’Europa prende decisioni i cui effetti si rivelano sconvenienti e scomodi, verrà additata a capro espiatorio prendendone le distanze”.

Infine, un punto specifico sulla Germania, che Borghetto chiama il gigante addormentato, ma soprattutto uno dei punti chiave del futuro dell’Europa. Improvvisamente per i tedeschi con la pandemia e la guerra russo-ucraina, alcune colonne basilari sono cadute. Il primo pilastro, la sicurezza nazionale affidata all’ombrello della Nato. Secondo pilastro, energia e quindi importazioni a basso costo dalla Russia. Terzo, l’export rivolto alla Cina.

Il primo, rimane un punto cardine anche se esiste l’interrogativo delle prossime elezioni statunitensi. Il secondo pilasrto,  con lo Stream 2, è caduto con la guerra. Il terzo pilastro, i rapporti con la Cina: “Non si può più essere così sprovveduti da mettere le nostre sorti in mano a un paese autoritario. Cosa succederebbe se ci si svegliasse con l’invasione della Cina su Taiwan?”. La grande questione, generale, è: quale sarà la collocazione nello scacchiere europeo e mondiale  della Germania? “Parlare di Germania è parlare di Europa”. Senza aprire il capitolo sulla Francia, dopo la Brexit, l’Europa futura si gioca su questo tandem. “Se la Germania non prende una sua collocazione, finirà per contare sempre meno”. La speranza è che si risvegli e diventi uno dei garanti della sicurezza europea.

Infine, l’eurodeputata Beatrice Covassi, mette l’accento su alcune criticità europee, che non “mi rendono molto ottimista, come ho scritto nel contributo al Quaderno”. Una tinta negativa che emerge da un semplice confronto: l’Italia è una dei beneficiari maggiori dei finanziamenti legati al Pnrr, eppure è il Paese che ha posto con percentuali indiscutibili al governo la forza politica che si è opposta a tutto ciò. Ci troviamo davanti a un paradosso politico: perché se l’Europa è apprezzata, gli elettori, in particolare italiani, non votano in quella direzione, ma in direzione opposta?”. Allora, bisogna chiedersi: qual è l’Europa che manca?

Fra i punti, la consapevolezza, che purtroppo non esiste, che il legame fra chi elegge e il rappresentante eletto incide sulle politiche concrete europee. Inoltre, si registra una mancanza di sensibilità e provvedimenti per le politiche sociali. “Da vent’anni l’Europa è a governo conservatore. Non solo. Sembra che ci siano manovre di avvicinamento fra Popolari e partiti conservatori come Vox, che parlano di Europa delle Nazioni”. Covassi chiude con tre domande aperte: “Come contrapporre un fronte progressista a quello conservatore? Se non c’è legame di responsabilità fra elettore ed eletto, come si fa a crearlo?  Come fare uno sforzo insieme per comunicare meglio l’Europa?”.

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