Leggi fascistissime, quando il regime svuotò il Parlamento

Dal libro di Valdo Spini una riflessione sulla contemporaneità

Lo spunto, il libro di Valdo Spini, presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, presentato a Roma la settimana scorsa e diffuso insieme al Corriere della Sera e alla Gazzetta dello Sport, intitolato “Le Leggi fascistissime”. Occasione, le nuove leggi in discussione al Parlamento italiano, premierato, disegno di legge 1660 su nuovi reati e nuove pene, autonomia differenziata.

Leggi fascistissime, quelle del 1925. Ma, dice il costituzionalista e direttore di Mondo Operaio Cesare Pinelli. presente al dibattito del Circolo Rosselli di Roma che non si possono fare paragoni fra quell’ infausto periodo e il nostro, odierno. “La differenza maggiore – dice Pinelli – è che il rischio che corriamo adesso è un regime che non può cancellare le libertà democratiche, in particolare il momento elettorale”. Insomma, il rischio sarebbe quello di non un regime come quello storico fascista, bensì una sorta di democrazia illiberale,o autocrazia elettorale. Alla Orbàn.

Eppure, qualche riflesso storico c’è. Ad esempio, lo stesso Pinelli mette in luce che oltre all’eliminazione per legge delle libertà democratiche (a cominciare da quella di espressione del pensiero) , la trasformazione del Paese avviene anche attraverso aggiustamenti e trasformazioni organizzative, che dice Pinelli, ne rivelano la complessità rispetto ad esempio, al nazismo. Interessante paragone, come si evince dal passaggio sul tema del libro di Valdo Spini, in cui si mette l’accento sul fatto che mentre il regime italiano doveva tenere conto comunque di una monarchia, il regime nazista non ha lo stesso problema e finisce per fare piazza pulita di ogni istituzione democratica della vecchia Repubblica di Weimar. “Il fascismo fa il contrario -ricorda Pinelli – non soltanto tiene la monarchia, ma salvaguarda tutta quella burocrazia che si era strutturata alle dipendenze in parte della corona, in parte del governo; allarga gradualmente il consenso attraverso una serie di istituzioni anche nuove, come ,l’ordinamento corporativo, completamente estraneo rispetto all’organizzazione liberale, stipula il concordato con la Chiesa Cattolica e per quanto riguarda la stessa monarchia, pur relegandola in una posizione subordinata, la tiene in vita”. Dunque, fa il contrario: mantiene le istituzioni dello stato liberale e ne istituisce altre. Non a caso, ricorda Pinelli, la Camera viene tenuta in piedi, pur essendo ridotta a un simulacro, fino al 1939, con l’istituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Il Senato , dii nomina regia, mantiene le sue pur simboliche prerogative previste dallo Statuto Albertino.

La trasformazione dell’Italia da liberale monarchica a monarchico fascista, fu un processo preparatorio che vide in primis la trasformazione delle leggi ordinarie, in particolare di ordine pubblico, oltre al mutamento dell’apparato amministrativo burocratico. Insomma, parafrasando il direttore dell’Istituto toscano della storia della Resistenza, Matteo Mazzoni, il fascismo si inserì in un’Italia già fascistizzata. Prova ne sia che, seppure fatto avvertito come di inaudita gravità, la società civile assorbì senza troppi scossoni l’omicidio di Giacomo Matteotti. Una tendenza verso l’autoritarismo che non si esplicò solo durante i prodromi dell’avvento di Mussolini, ma che era già cominciato subito dopo la prima guerra mondiale, in particolare con la scusa di frenare l’affermarsi, grazie anche alla diffusione dovuta alla grande guerra, delle idee del socialismo che cominciavano a dare speranza alle masse oppresse. La Rivoluzione russa del 1917, prima di trasformarsi nella dittatura staliniana, aveva dato fiato e energia a queste idee, che tuttavia, in un paese agrario e clericale come l’Italia, con una guerra civile finita da poco, sanguinosa e sotterranea come il brigantaggio che aveva sfiorato anche il Centro Italia, erano destinate a fare un grande rumore per diventare loro malgrado concausa alla stretta del blocco sociale borghese-reazionario da cui sarebbe stato sospinto il fascismo. Senza contare l’appoggio del monarca Savoia, che addirittura andava oltre ai desiderata dei circoli nobiliari più fedeli alla corona. Tutto ciò, innescato dalla delusione dei reduci della Grande guerra, in particolare i tanti borghesi diventati ufficiali che tornavano a situazioni degradate economicamente e socialmente, diventò materia esplosiva. Mussolini diventò rappresentante di istanze protestatarie e giustizialiste che mescolavano tentazioni estremiste (l’anticlericalismo di molti fascisti della prima ora, ad esempio) a istanze di difesa dello status quo, in particolare da parte della grande borghesia agraria padana e del ceto industriale, pronto a tutto pur di aumentare profitti e potere. E Mussolini non chiedeva di meglio.

Tutte queste ragioni storiche confluirono nelle leggi fascistissime, che, costituirono il mezzo per giungere a quel completo controllo della società cui il fascismo aspirava. In questo, Mussolini fu aiutato dalla stessa arretratezza del Paese, che salutava come segno dei tempi e del progresso ad esempio l’implementazione della rete ferroviaria,

Del resto, uno dei dati più sconvolgenti, come mette in luce il libro di Valdo Spini, è la rapidità con cui viene scardinato un intero sistema storico liberale che svuotato in pochi anni, non offre alcun riparo al dilagare della dittatura fascista. Proprio a proposito dei riflessi del periodo storico che accompagna l’ascesa del fascismo con la contemporaneità, uno degli elementi messi in evidenza da Spini è il ruolo del nazionalismo. Un dato che pone il problema: quanto avevano chiaro, come dice il presidente della Fondazione Rosselli, le forze che sostenevano il fascismo quale fosse l’obiettivo cui si stava per arrivare e quanto invece avevano oscuro quali mezzi di difesa potevano mettere in campo le forze liberali e di sinistra? “Sempre, ovviamente, con l’eccezione di Matteotti, che aveva chiaro il primato del problema del Parlamento e quello della libertà – dice Spini – un primato che anche molte parti della Sinistra, a quei tempi, non vedeva”.

Un punto che senz’altro mette in evidenza, come dice Spini, qualche assonanza con i nostri tempi”. Perché? “Possibile che in tanti anni non si sia rimediato a quella instabilità di governo che costituisce la scusa per introdurre delle riforme che comprimono il Parlamento? E’ cosa nota che la Germania Federale, che fino al ’49 non poteva avere un Cancelliere, una volta ottenutolo, ne ha avuti 9. I presidenti del Consiglio italiani sono circa una trentina, a fronte di 60 governi circa. A tutto questo si poteva porre rimedio, mentre si è preferito un conservatorismo rispetto al quale oggi si compie un tentativo di rompere, di sfondare. Sono convinto che il problema non è quello di chiedere un auto da fé dopo l’altro ai Fratelli d’Italia di oggi, il vero problema è creare un’opinione pubblica vaccinata e rispondente rispetto a ciò che avviene. In questo passaggio, ciò che urtica è l’incertezza. Calamandrei ha riportato, come ho fatto anch’io, l’ultimo brevissimo discorso di Giovanni Giolitti alla Camera (Giolitti peraltro responsabile di tanti cedimenti nei confronti del fascismo), che, di fronte alla legge elettorale del ’29, lista unica con scheda trasparente, dice “questa è la fine dello Statuto”.

Tirando le fila, mentre da un lato si sapeva cosa si voleva, dall’altro c’era una grande oscurità “Questo forse vale anche oggi – continua Spini – anche oggi, oltre che contrastare, dovremmo avere molto chiaro quello che vogliamo, Non semplicemente accontentarsi di mettere in difficoltà gli altri, ma evidenziare con molta chiarezza qual è il tipo di istituzione, governo, Parlamento che vorremmo. Ci sono esempi di stabilità con rispetto del Parlamento che potrebbero essere attuati anche in Italia. Stiamo andando verso un altro modello, ovvero una compressione di fatto del Parlamento, che del resto è stata preparata dal fenomeno delle liste bloccate introdotte dal centrodestra, ma quale resistenza ha fatto il centrosinistra? Ai segretari di partito non dispiaceva di poter decidere i parlamentari”.

Se questo è il primo punto, non può celarsi il fatto che il problema per qualsiasi sistema autoritario (e in tutti i tempi), resta il Parlamento e come comprimere la sua centralità. Lo era allora, dice Spini, e in un certo senso lo è anche oggi. Tant’è vero che il percorso è già iniziato da tempo, con la delegittimazione del Parlamento, la riduzione dei parlamentari, l’introduzione, appunto, delle liste bloccate.

Le conseguenze dell’analisi di Spini sono molto gravi per i tempi in cui viviamo. Infatti, se la strada è stata creata, la legge sul premierato che consegna alla Costituzione repubblicana un altro soggetto decisionale che ha dalla sua il voto diretto popolare (la votazione diretta dei sindaci, non c’entra nulla, in questi passaggi verso lo svuotamento dell’assemblea legislativa parlamentare?) e che si pone, senza riequilibri di sorta, come antagonista diretto verso il Parlamento da un lato, ma anche verso tutte le istituzioni repubblicane, in primis il presidente della Repubblica (ma anche contro gli organi di autogoverno indipendente del potere giudiziario) dall’altro, la difesa della centralità del Parlamento si fa cruciale.

A conti fatti, ci sono cose su cui non si può transigere: Parlamento, libertà e pluralismo dell’informazione, tutela e garanzia dei cittadini, ad esempio. Del resto, non possiamo negare di essere in una condizione diversa, rispetto agli anni 20-30, ovvero, dice Spini, siamo inseriti nell’UE, “Sono contrario a coloro che dicono che la storia si ripete – dice ancora Spini – ma che i nemici dell’autoritarismo siano sempre quelli, ovvero il Parlamento, la rappresentanza, il pluralismo dell’informazione e politico, è una constatazione evidente. Questo dobbiamo difendere”.

Se tutto questo ha un senso, altri passaggi, altri riflessi inquietanti si intravedono. Il disegno di legge 1660, ad esempio, firmato da tre ministri, Piantedosi, Crosetto e Nordio, contiene un vero e proprio cambiamento di approccio nei confronti del diritto penale e dei principi che lo informano. Non si tratta solo di aumentare pene e introdurre nuovi reati nella materia disciplinata, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, quanto piuttosto di enucleare, come rilevato da diversi penalisti , un principio che gli americani chiamano governing through crime, ovvero il governare attraverso i crimini. Cosa significa? In buona sostanza, la vittoria del principio del “punire di più” per creare argine contro situazioni ritenute, a torto o a ragione, emergenziali. Del resto, tutti gli interventi previsti dal disegno di legge 1660 “vedono l’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici, l’ampliamento di ipotesi esistenti, la definizione di nuove circostanze aggravanti e contestualmente vengono motivati con la finalità di arginare forme di criminalità ritenute di particolare allarme sociale”, come scrive Lucrezia Rossi, https://www.sistemapenale.it/it/scheda/rossi-a-proposito-del-nuovo-disegno-di-legge-in-materia-di-sicurezza. Una sorta di gioco al rialzo che se da un lato è contestabile per quanto riguarda l’utilità, come da autorevole dottrina, dall’altro si scontra con principi fondamentali del sistema penale italiano, in particolare allorché prevede restrizioni ad esempio delle proteste in carcere (nel caso anche di sciopero della fame) o, ancora di proteste pacifiche come sit in con conseguente rallentamento o blocco del traffico.

Un approccio, questo, che va sicuramente contro i principi liberal democratici della libera espressione del dissenso e del diritto di protesta: ma soprattutto, rischia di abituare dolcemente a vedere smussate le libertà democratiche. Senza contare che, nel frattempo, il governo, a differenza dei precedenti, non costituisce nuovi ministeri ma sta modificando quelli esistenti, strutturalmente.Una tentazione all’utoritarismo e all’accentramento del potere che ha anche altri profili. Secondo i dati di Openpolis, a parte le modifiche che non abbisognano di leggi per essere attuate, il governo attuale a differenza degli altri, non ha istituito nuovi ministeri, ma in compenso è intervenuto con midifiche significative nella struttura dei ministeri. in sei ministeri l’intervento è stato legislativo. “Presso i ministeri dell’università e del turismo viene aumentato il numero di direzioni generali; il Ministero dell’economia passa da 4 a 6 dipartimenti. I ministeri della Salute della Cultura e del Lavoro sono passati da un’organizzazione per direzione generali a una per dipartimenti”. Ma soprattutto, ognuna di queste modifiche “comporta la nomina di nuovi dirigenti di vertice e in alcuni casi, a cascata anche su altri dirigenti”. Realizzando una sorta di lungo e protratto spoil system, al di là dei 90 giorni previsti per legge.

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