Le lezioni della pandemia: riforma dell’Oms, trasparenza sui vaccini

Dovremo attrezzarci ad altre possibili aggressioni virali

La flessione della curva pandemica, la riduzione dei ricoveri e dei decessi, il progressivo, non facile, avvio verso una normalizzazione nelle strutture sanitarie ci potrebbe consentire di fare una riflessione su quanto è avvenuto e sulle possibili, seppure incerte, prospettive future.

In tale impresa, di cui questa breve nota vuole essere solo un accenno e uno stimolo alla riflessione, ci sono di aiuto alcuni rilevanti rapporti pubblicati recentemente e, in particolare, quello della commissione istituita dalla rivista Lancet.

Si è trattato di una pandemia che ha prodotto un impatto rilevante sulla popolazione mondiale, con 631 milioni di casi di infezione (largamente sottostimati) e, al 31 maggio 2022, 6.9 milioni di decessi. Anche i decessi risultano ampiamente sottostimati e vengono valutati a oltre 17 milioni.

Di fronte a tale fenomeno è indispensabile porsi alcune domande. Vinceremo il Covid? Sono prevedibili, e per quali motivi, altre pandemie? Cosa dobbiamo fare per prevenirle o contenerle? Alcune risposte sono possibili, anche se – ovviamente – con un margine di incertezza specie su luoghi, tempi e modalità di diffusione delle future infezioni.

La prima cosa che appare certa è che il Covid non scomparirà. La capacità di trasformarsi del virus è elevata. Omicron, l’ultima variante, presenta un gran numero di mutazioni e Centaurus è appunto la più recente sua sottovariante. É pertanto certo – o quanto meno ragionevole – affermare che, a differenza di quanto ipotizzato da molti all’inizio della pandemia, il Covid non sparirà e dovremo convivere con la sua endemica presenza.

Dovremmo inoltre attrezzarci a possibili altre epidemie o pandemie. I rischi, su cui virologi, infettivologi ed epidemiologi richiamano l’attenzione, sono principalmente di due tipi: i virus, in primo luogo quello dell’influenza aviaria, con il salto di specie da polli o anatre all’uomo (ad esempio il virus H5N1) e la grande – e ingravescente – famiglia (non geneticamente, ma in termini di “famiglia pericolosa”) dei batteri antibiotico – resistenti; un problema sempre più rilevante nella pratica clinica, specie nei percorsi assistenziali complessi per trapiantati, immunodepressi, pazienti in trattamento chemioterapico.

La diffusione di un nuovo patogeno, a seguito di uno  spillover – termine ormai entrato nel linguaggio comune indicando un salto di specie – o lo sviluppo diffuso della antibiotico-resistenza può essere contrastato, in un mondo globalizzato, solo con una forte cooperazione internazionale che preveda:  la notifica tempestiva di un nuovo agente patogeno; la individuazione dei meccanismi di trasmissione e l’assunzione di adeguate misure di contenimento (cosa che, nel caso della attuale pandemia, è avvenuto con notevole ritardo);  la fornitura di adeguati presidi, mezzi di protezione, vaccini e  farmaci, con supporti sostanziali, economici e sanitari, ai Paesi a basso e medio reddito; la realizzazione di adeguate infrastrutture  laboratoristiche per tipizzare virus e batteri; la tempestiva trasmissione di dati, accurati e sistematici su infezioni, decessi, varianti virali, risposte del sistema sanitario e conseguenze indirette sulla salute; il finanziamenti alla ricerca biomedica e alla produzione di vaccini, sulla base di pianificate politiche industriali e il conseguente controllo dei prezzi dei vaccini.

Questi obiettivi comportano una profonda revisione del coordinamento internazionale in tema sanitario, che si accompagni a una riforma dell’OMS. Tale organismo ha perso, negli ultimi decenni, la sua autorevolezza; l’assistenza ai singoli Paesi è subordinata alla loro richiesta e accettazione e gli stessi regolamenti approvati dall’Assemblea mondiale della salute possono essere non recepiti dai singoli Stati, limitandone così la capacità di intervento. Inoltre i finanziamenti dell’OMS si sono ridotti progressivamente poiché alcuni Paesi, e in primo luogo gli Stati Uniti (presidenza Trump) hanno congelato i contributi; conseguentemente il bilancio è ormai rappresentato, per l’80%, da fondi volontari che hanno finalità specifiche e ne riducono la flessibilità di intervento a fronte di nuove emergenze.

Gli attuali vaccini disponibili contro il Covid rappresentano un progresso eccezionale, anche per la rapidità con cui sono stati realizzati; la loro disponibilità ha consentito una svolta fondamentale nel contenere la pandemia riducendo in misura parziale il contagio e, in misura invece rilevantissima, la gravità della malattia e conseguentemente la pressione sulle strutture sanitarie e la mortalità. Si tratta tuttavia di prodotti che non attuano una barriera nei confronti dell’infezione; abbiamo pertanto la necessità di sviluppare un vaccino – come ricordava uno dei massimi esperti in tale ambito, Rino Rappuoli, –  che protegga le mucose (ad esempio uno  spray nasale)  e che sia attivo verso tutti i coronavirus.

Inoltre gli attuali vaccini sono assai “primitivi” in termini industriali, per la necessità di mantenerli a basse temperature; un problema enorme per la loro diffusione nei Paesi a basso o medio reddito e il loro costo appare del tutto ingiustificato. I criteri di definizione del costo di un farmaco hanno due possibili approcci: valutare – e compensare – i costi sostenuti per la loro realizzazione, vale a dire le diverse fasi di ricerca di base e applicata, ovvero definirne il prezzo in relazione alla loro efficacia.

Incredibilmente di entrambi i criteri non si è tenuto conto nelle – oscure – trattative fra Stati, UE e industria farmaceutica.  Via via che questi prodotti si sono dimostrati meno efficaci rispetto alla diffusione del virus e alle successive varianti e mentre gli investimenti si erano rivelati largamente redditizi (e manager e azionisti hanno avuto favolosi compensi), il prezzo dei vaccini è addirittura aumentato!

Allo stesso tempo, per ignavia di alcuni Stati, non si è ottenuta la sospensione temporanea dei diritti di proprietà intellettuale e così i brevetti, nati al fine di creare valore per l’intera economia, si sono trasformati, in questo come in altri casi, in un potente ostacolo alla diffusione della conoscenza e alla protezione della salute globale.

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