L’altra AI: quando la robotica ha bisogno del cervello umano

Se si tratta di compensare disabilità umane la macchina non basta

Il sesto dito robotico che restituisce la capacità di afferrare oggetti a persone con paralisi alla mano, le cavigliere vibranti che aiutano i malati di Parkinson a camminare, piccoli vibratori multisensoriali comandati dalla app di uno smartphone per ridurre gli acufeni, impercettibili correnti applicate sulla superficie della testa per ridurre il senso di nausea (cybersickness) di chi si immerge nella realtà virtuale.

Sono solo alcuni esempi della collaborazione tra robotica e neuroscienze di cui hanno scoperto la necessità  due docenti dell’Università di Siena, il professor Simone Rossi, docente  di fisiologia, neurologo e direttore all’università del laboratorio Si-BIN Lab  e l’ingegner Domenico Prattichizzo, docente di robotica, esperto di robotica indossabile  e cofondatore e delle  due start up, Existo e Weart . I due hanno anche scritto insieme il libro,  “Il Corpo artificiale. Neuroscienze e robot da indossare”, pubblicato da Raffaello Cortina Editore nella collana Scienze e Idee, e recentemente presentato in Regione Toscana.

Una collaborazione, quella dei due docenti, “a metà strada tra la ricerca e la realizzazione scientifica e l’avventura di due amici che  si sono incontrati per caso venti anni fa e hanno scoperto che da certi punti di vista lavoravano agli  stessi progetti, solo con prospettive diverse” racconta  il professor Rossi a proposito del lavoro svolto insieme al professor Prattichizzo. Ovvero avevano scoperto che  “la neurologia e la robotica devono procedere insieme quando la seconda non si occupa di tecniche dell’intelligenza artificiale che procedono autonomamente, ma di tecniche che sostituiscono funzionalità  umane  perdute tramite robot indossabili. Mentre  le  neuroscienze devono capire come reagisce il cervello a queste tecniche a lui originariamente estranee” dice Rossi, spiegando anche che sulle fantasiose reazioni del cervello i due amici hanno  a volte anche molto scherzato. Conferma Prattichizzo:   “La robotica si affianca alla neuroscienza ogniqualvolta non deve totalmente ricreare  tramite l’intelligenza artificiale  tecnologie altrettanto artificiali ma deve compensare una disabilità umana perduta con tecnologie altrettanto umane”. Ovvero non i soliti robottini con braccia e gambe dell’immaginario collettivo, dice Prattichizzo,  ma protesi “per cui non è  necessaria nessuna operazione  chirurgica”, spiega Rossi, che compensino funzionalità umane motorie e cognitive perdute.  L’interazione senese tra robotica e neurologia ha già sfornato prototipi, brevetti, due startup per ricerca e produzione di cui è cofondatore Praticchizzo: Existo, che produce il sesto dito robotico e Weart che si occupa e produce digitalizzazione del senso del tatto.

Il sesto dito indossabile. Aiuta chi ha perso l’uso della mano, per un’ischemia, un ictus, un’emorragia, una lesione del midollo spinale, unendo meccanica e elettronica tanto da chiamarsi anche pollice meccatronico. “In posizione di riposo – descrive Rossi –  lo si avvolge intorno al polso come un braccialetto e lo si srotola quando è necessario, facendolo diventare un pollice speculare a quello perso e capace di riprodurre, opponendosi al palmo della mano, la facoltà del normale  pollice di opporsi alle altre dita per afferrare un oggetto”.   Il cervello, che non sarebbe attrezzato per questa inedita soluzione,  la accoglie invece molto bene, spiega ancora il professore : “I pazienti imparano all’istante e il sesto dito aiuta anche a rimotivare  le persone  a utilizzare l’arto sano a cui invece si disaffezionano quando, per cercare di favorire la riabilitazione della mano offesa,  lo si immobilizza” .  Per esempio, aggiunge Prattichizzo , “il sesto dito contrapposto al palmo può tenere ferma una mela mentre l’altra mano la taglia”. Per una incredibile coincidenza senese, il sesto dito assume anche la dignità dell’arte, apparendo  nella sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico dove splende la Maestà di Simone Martini in cui a uno dei santi che  adorano la Madonna i restauri, racconta Rossi, hanno regalato  una mano a sei dita. 

Un altro brevetto interessante lo ha ottenuto un dispositivo vibrante da appoggiarsi sull’osso della mastoide,  comandato da un oggetto simile a un cellulare o da un’ app direttamente sul cellulare stesso,  per ridurre quel difficilmente sopportabile fischio cronico nell’orecchio che sono gli acufeni: “una patologia diffusa e difficile da curare che procura fino alla perdita del sonno, del  lavoro, e alla depressione” , commenta Rossi. Annunciando anche che “il dispositivo ha già attratto l’ interesse fattivo di una multinazionale austriaca che ha finanziato per cinque anni un laboratorio   interdipartimentale all’ università di Siena”.

Dopodiché un ulteriore brevetto neuro –  robotico  lancia le  cavigliere che vibrano,  comandate da un’app sul cellulare, per migliorare il cammino di chi è affetto dal Parkinson. “Mentre i farmaci funzionano su altri effetti della malattia, come per esempio i tremori, non hanno nessun potere sul  passo che all’improvviso si accorcia bruscamente  e il malato  rimane incollato al pavimento, come congelato. Freezing  è il termine tecnico. Al disgelo si arriva solo se  il paziente si concentra su uno stimolo uditivo o visivo  rischiando di perdere il contatto con il mondo esterno e cadendo,  che è uno dei rischi più frequenti del Parkinson. Con le cavigliere, invece, lo stimolo non necessita di attenzione per essere capito” . La robotica aveva già inventato la cavigliera per ciechi che tramite una telecamera sugli occhiali trasmetteva a un operatore in remoto il percorso del cieco facendo vibrare le cavigliere sinistra o destra a seconda di dove si dovesse svoltare.  Ci ha messo bocca la neuroscienza e ne ha ampliato la funzione fino alle stimolazioni sul sistema sensoriale del malato che  allinea il suo passo al vibrare delle cavigliere. 

Ci sono anche i caschetti  per immergersi nella realtà virtuale senza rischio di avere la nausea, come invece nell’80 per cento dei casi succede, “perché – si spiega a Siena –  le nostre sensazioni vengono  leggermente modificate fino a quella che si chiama cybersickness per cui non c’è cura farmacologica. Applicando invece impercettibili  correnti sulla superficie esterna del cervello in corrispondenza delle aree del sistema vestibolare che serve per mantenere equilibrio, l’interazione tra corrente esterna e interna diminuisce la cybersickness” . Molte le potenziali applicazioni, da un giro  sulle montagne russe, ai chirurghi che operano con il robot, agli astronauti.  “Tutti questi device possono essere migliorati con l’AI – avverte  Rossi – ma già adesso funzionano,  sono via via entrati in progetti europei che li hanno finanziati con milioni di euro. Servono anche allo sviluppo del territorio, insegnano a fare impresa, fanno assumere molti giovani.  Nel mio laboratorio lavorano 11 persone e da Prattichizzo 30 . Sono già una piccola e una media impresa”.

Prattichizzo rinforza: “Robotica e neuroscienze sono molto vicine. Mentre l’uomo percepisce con tecnologie naturali, la robotica lo fa con tecnologie artificiali derivate dalla AI, dunque è  autonoma. Ma si affianca alla neuroscienza quando deve compensare disabilità umane: senza il cervello umano questi robot non funzionano e  l’uomo in questi casi diventa centrale. Robotica uomocentrica, si chiama”. Racconta anche che i laboratori senesi di robotica e neurologia sono molto attivi “su varie tematiche. Abbiamo presentato tecnologie non solo legate al  movimento  ma anche al tatto”.

Come la carezze da lontano: “L’idea ci è venuta durante la fase acuta del Covid quando chi finiva in terapia intensiva non poteva più avere nessuna interazione tattile né con i familiari né con il personale medico coperto di scafandri. Vedevamo come le persone ne soffrissero, come per esempio alla nonna mancassero le carezze dei nipoti a casa. C’era fame di tatto, skin hunger, fame di pelle, si dice. Così, per continuare con l’esempio del nipote e la nonna,  abbiamo inventato un anello da mettere al dito del nipote e una fascia-braccialetto da mettere sul braccio della nonna, ambedue gli attrezzi nati dalla cosiddetta robotica indossata per cui se nonna e nipote si chiamano in video e il nipote fa scorrere la mano con l’anello sul proprio braccio la nonna riceve la sensazione della carezza”.  Il dispositivo esiste già e,  nato da un’idea di Prattichizzo e Rossi, lo produce weart.it, una delle due startup fondate da  Prattichizzo.

In foto Domenico Prattichizzo

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