Negli anni Ottanta, Johanna Grawunder, californiana di nascita, completava i suoi studi in architettura, prima a Firenze, alla California State University, sotto la guida di Gianni Pettena e Cristiano Toraldo, per specializzarsi poi a Milano, presso lo Studio di Ettore Sottsass jr. di cui giovanissima, è diventata anche partner. Johanna che nel frattempo si è fatta un nome importante e rispettato anche come designer, e che si divide tra San Francisco e Milano, ha deciso di tornare qui a mostrare le sue opere, in una galleria che si è specializzata in design e arti decorative, quella di Antonella Villanova, in via della Spada 36/r, con una collezione tutta nuova, disegnata appositamente per l’occasione.
Sono mobili e lampade a tiratura limitata, realizzati con materiali naturali, in questo caso metalli primari come alluminio, bronzo, ottone e acciaio, oltre al cristallo molato dei ripiani. Elementi geometrici assemblati per un tavolo e un comodino, bronzo patinato per una forma scultorea formata da parallelepipedi saldati tra loro, bordati di luce di led e neon, e per una lampada-albero, che invia cerchi luninosi verso il soffitto; acciaio specchiante per un’applique e per una elegante plafoniera di linea convessa. Spiega la curatrice Emanuela Nobile Mino che la ricerca di Grawunder ha come finalità la creazione di oggetti che possano migliorare la qualità della vita di chi li possiede e che costituiscano prodotti con un valore intrinseco da tramandare di padre in figlio, come i vecchi mobili in legno pregiato dei secoli scorsi. La mostra ha un titolo significativo: “Primum non nocere”. Quindi Grawunder dichiara di assumere un atteggiamento responsabile, addirittura ecologico nel momento in cui progetta e si impegna a migliorare la qualità della nostra vita di tutti i giorni, invece di intasarla con prodotti che non verranno più smaltiti. Il giorno dell’inaugurazione, al Centro per l’arte contemporanea EX3, c’è stata una conversazione stimolante su questi temi dell’oggetto di design rispettoso dell’ambiente, ma anche del rapporto stretto e spesso ambiguo tra arte e design. Hanno partecipato, oltre a Grawunder, anche Gianni Pettena e Gilberto Corretti, che sono stati tra i protagonisti del movimento “radicale”, sviluppatosi alla fine dei Sessanta, proprio a Firenze oltre che in Europa.
E’ stato precisato che Grawunder affronta oggi una sfida, quella di mantenere la sua progettazione in equilibrio tra l’idea di recupero, della conservazione insita nell’opera d’arte, e quella di sviluppo, legato alla ricerca dell’industria. Johanna ha mostrato oltre dieci anni di lavoro in immagini, quindi anche le sue architetture, che ben sintetizzano le sue due culture. I suoi progetti raccontano con consapevolezza velata di ironia, anche i momenti durissimi vissuti dal suo paese, come l’11 settembre 2001, che le forme e i colori del suo design invitavano a superare pensando “in rosa”, o la guerra in Iraq, ricordata da pezzi forti e aggressivi. C’è un aspetto della sua produzione architettonica che le ha permesso di lavorare accanto a un artista: la casa che ha disegnato per il pittore della Transavanguardia, Enzo Cucchi. L’intervento di Pettena è stato basilare per capire l’evoluzione del pensiero della designer. Pettena ha messo a confronto le proprie non-architetture naturali con quelle di Sottsass e Grawunder, rintracciando affinità tra “ragione e sentimento”. E’ proprio dal movimento “radicale” che è nata la contaminazione tra arte e architettura, c’è stato per anni un limite sottile tra le due discipline, le quali oggi tornano a confrontarsi. Nel recente lavoro di Grawunder riappare addirittura un atteggiamento da “artigiano”, dove si rintraccia la manualità, l’attenzione al dettaglio e allo stesso tempo, l’originalità quasi da pezzo unico, che è tipica dell’opera d’arte vera e propria. Corretti ha apprezzato l’approccio “femminile” al progetto, quindi il maggiore senso estetico di Grawunder, e si è augurato che la vera sostenibilità del futuro, si basi su un “atteggiamento empatico” verso la natura.