Firenze – I Puritani, la nuova produzione del Maggio Musicale (co-prodotta insieme al Teatro Regio di Torino), ha debuttato ieri sera al nuovo Teatro dell’Opera. Come già annunciato, un mini-sciopero indetto da CGIL e CISL dalle ore 20.00 alle ore 21.00, ha fatto slittare l’inizio dell’opera di oltre mezz’ora mentre un coraggioso drappello di lavoratori ha sfidato il freddo della serata nel piazzale antistante il Teatro, per porre all’attenzione dei concittadini i non pochi interrogativi che gravano sul futuro della loro professione all’interno della Fondazione. La direzione ha pensato bene di distribuire dei graditi cioccolatini per alleviare il protrarsi dell’attesa in sala.
Poco dopo le 21 è iniziato lo spettacolo. L’ultima volta che erano stati rappresentati I Puritani a Firenze è stato nel 1989. La direzione era affidata a Bruno Bartoletti e la regia riprendeva i bozzetti che per l’opera ne aveva fatto nel 1933, Giorgio de Chirico. Fu uno spettacolo chiassoso e non del tutto coerente ma pieno di luce e di calore che da lontano ancora si ricorda con affetto. Coscché una specie di legge del contrappasso sembra legarlo a questa edizione curata da un binomio di giovani talenti: il direttore Matteo Beltrami e il regista Fabio Cesarea. Quest’ultimo è stato assistente alla regia al Teatro alla Scala e la sua sapienza del palcoscenico la si riconosce d’acchito ad apertura di sipario, che mostra una grande volta gotica rovesciata, con l’incrocio degli archi al centro dello spazio scenico, tale da sembrare la punta di un’astronave, evocativo non – luogo architettonico disegnato dallo scenografo Tiziano Santi. Di gusto raffinato le luci che creano screziature cangianti sui bei vestiti dei protagonisti e la cura con cui sono trattati i movimenti del cast sulla scena.
Altre cose convincono meno: il monumento funebre al centro del palcoscenico, le tombe da cui escono i soldati di Cromuello (come lo scrive Bellini) l’atmosfera corrusca, nera, monocorde, che non cede di un passo per tutti i tre atti. Vero è che la povera Elvira impazza, ma solo temporaneamente. Jessica Pratt , che la intrepreta , è una bravissima cantante che possiede le doti adatte a questo arduo ruolo vocale, è abile nelle filature e nelle dinamiche, precisa nelle funamboliche virtuosità belcantistiche, arriva alle impervie vette della tessitura mantenendo intonazione e timbrica. Potrebbe essere forse più duttile nell’interpretare i vari livelli psicologici della protagonista ma sono dettagli che non intaccano la bellezza del suo canto.
Bravi anche gli altri tre interpreti principali Gianluca Buratto, un dolente ed espressivo Sir Giorgio, Massimo Cavalletti, cavalleresco Sir Riccardo dai toni patetici, Rossana Rinaldi, composta Enrichetta di Francia. Lord Arturo era interpretato da Antonino Siragusa, corretto per quello che riguarda il fraseggio ma la cui coloratura vocale sembra inadatta alle altezze del ruolo. Matteo Beltrami, alla direzione, disegna un’opera che cede alle fosche e grevi atmosfere del palcoscenico. Dotato di una solida tecnica e dei ferri del mestiere, non riesce a penetrare nel mistero di questa partitura che è ad un tempo corale e patriottica ma anche intima, tenera, lieve, con quelle melodie lunghe lunghe, delizia e peculiarità del compositore catanese. Così, inaspettatamente rispetto ad altre prove direttoriali anche recenti, alla fine dell’opera il direttore viene palesemente contestato da alcuni settori del teatro, dissensi che si allargano anche alla regia la cui messa in scena non viene apprezzata da tutti. Un peccato per gli altri protagonisti, a partire dall’Orchestra e il Coro del Maggio, bravissimi, e a tutte le maestranze che, al di là dei giudizi interpretativi, hanno realizzato uno spettacolo di rango.