“Socialismo liberale e socialismo riformista”, Per gli anniversari degli assassini di Carlo Rosselli e Giacomo Matteotti (9 giugno 1937- 10 giugno 1924), è il titolo dell’incontro che si è svolto venerdì 9 giugno presso la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, in via degli Alfani a Firenze
A dibattere, insieme al presidente Valdo Spini, alla presidente nazionale dell’Aici Flavia Piccoli Nardelli , al costituzionalista Stefano Caretti e al sindaco di Cava de’Tirreni Vincenzo Servalli, l’ex parlamentare del Pd (ricordiamo che ha rassegnato le dimissioni dopo la vittoria di Elly Schlein) l’economista Carlo Cottarelli, che, fra gli incarichi prestigiosi della sua brillante carriera, ha ricoperto quello di commissario straordinario per la spesa pubblica col governo Letta (ruolo con cui è diventato noto a tutti gli italiani) e quello, a livello internazionale, di Direttore del FMI.
Il contributo di Cottarelli “Giustizia e Libertà nell’economia e nella società contemporanea”, prende le mosse da un libro che il relatore ha scritto nel 2021, All’inferno e ritorno. Per la nostra rinascita sociale ed economica, Roma, Feltrinelli. Come dice il suo autore, si tratta del “più politico dei suoi libri”.
Si tratta infatti di un lavoro “in cui ho provato a riflettere su qual era il mio pensiero politico e tutta la questione che viene trattata riguarda proprio il concetto di giustizia; qual è il concetto di giustizia sociale che ritengo più valido”. Nel libro, si parla dei tre principali concetti di giustizia sociale che si sono alternati: l’eguaglianza di fronte alla legge, ovvero “siamo tutti eguali di fronte alla legge”, l’uguaglianza dei punti di partenza, l’uguaglianza “nei punti di arrivo”.
“Ad ognuno di questi tre concetti – continua Cottarelli – si associa un ruolo che lo Stato deve avere nella società. Il ruolo dello Stato è semplicemente quello di garantire che tutti siano uguali di fronte alla legge? Deve garantire le stesse opportunità di partenza a tutti? Si deve occupare anche di garantire uguaglianza nei punti di arrivo? Per esemplificare, faccio sempre riferimento alla corsa di 100 metri. Uguaglianza di fronte alla legge, significa che tutti partono, ognuno corre verso il traguardo e infine uguaglianza nei punti di arrivo significa che si arriva tutti insieme. Il terzo concetto è senz’altro più avanzato, che parte, come ricordo nel mio libro, dal cristianesimo, dall’idea che l’obiettivo della giustizia e della socialità dovessero essere i punti di arrivo e il non vedere la vita come una corsa, se non per il fatto che si arriva tutti insieme, “stringendoci la mano”.”.
Un grande slancio ideale permea questa terza visione della giustizia sociale, ma, dice Cottarelli “sono dell’idea che non siamo ancora pronti per questo genere di altruismo. Ci sarebbe qualcuno, nella società e nell’economia, che si farebbe trascinare dagli altri che corrono, quelli che corrono più veloci comincerebbero a porsi la domanda “ma perché devo correre per tirarmi dietro gli altri”, di conseguenza l’economia e la società funzionerebbero in maniera meno efficiente”.
Tuttavia, anche la semplice uguaglianza davanti alla legge è insufficiente. “Perciò, il primo concetto chiaro che si delinea è dare un’uguaglianza a tutti nei punti di partenza”. Il che significa, in termini individuali, istruzione e sanità ad esempio, in quanto uguaglianza alla partenza non riguarda solo la nascita, ma il corso della vita: ”Di fronte agli imprevisti di natura, ad esempio, se ci si ammala, serve una sanità pubblica che aiuti”.
“Nel campo delle imprese – continua Cottarelli – uguaglianza nei punti di partenza vuol dire mettere tutti nelle condizioni di poter competere in maniera adeguata”. Ovvero mettere in campo “leggi contro i monopoli, favorire la concorrenza, e altri azioni simili, mettendo in atto il principio di uguaglianza dei punti di partenza in campo economico”.
Una volta assicurata l’uguaglianza dei punti di partenza, “si può applicare il criterio del merito, che significa in concreto “se sei bravo, vinci qualcosa di più di quanto vincono gli altri”. La prima domanda che ci si pone è: chi determina il merito? Al di là di quello che può essere il merito all’interno della direzione statale, in cui è l’amministrazione pubblica che deve decidere sui propri componenti migliori e così via, a livello di economia generale è il mercato che lo determina; l’insieme delle forze del mercato, l’interazione di decine di migliaia, milioni di operatori, decidono qual è l’impresa migliore, qual è l’avvocato migliore, come conseguenza di lasciare operare la concorrenza fra le imprese”.
“Sarebbe sbagliato, come dice Einaudi, che una classe di mandarini decida chi vince la gara. E’ il mercato che lo deve determinare. E molti si fermano a questo punto. Nel mio libro tuttavia, oltre al principio di uguaglianza alla partenza e di lasciare operare il criterio del merito, sono il primo a dire che questo non è sufficiente per un liberal-democratico, perché non si può avere fede cieca nell’operare delle forza di mercato. Ci sono tanti motivi per cui, oltre ad operare nell’uguaglianza dei punti di partenza e del criterio del merito, lo Stato deve intervenire anche in funzione di un terzo principio, un certo grado di solidarietà, dal momento che fare operare tout court le forza di mercato può portare a situazioni estreme che non rendono la società esattamente la migliore in cui vorremmo vivere. Tornando alla corsa dei 100 metri, chi vorrebbe vivere in una società in cui si parte dallo stesso punto di partenza, si corre, il primo vince tutto e gli altri muoiono di fame?”.
Inoltre, “nel corso della vita, non conta soltanto la bravura, la capacità, ma anche la fortuna. In media, fra il 10% di chi ha più successo nella società, è più facile trovare gente fortunata piuttosto che fra persone che stanno al fondo ad esempio della distribuzione del reddito. Ciò non vuol dire che tutti quelli che hanno successo sono stati anche fortunati, ma i numeri dicono che il fattore è più presente fra chi ha successo piuttosto che fra gli ultimi. Questo è un altro motivo per cui è necessario un intervento adeguato dello Stato. Aggiungiamo anche il fatto che esiste evidenza empirica che società in cui la distribuzione della ricchezza è troppo estremizzata fra fasce sociali povere e ricche, sono società con un grande livello di conflitti sociali che tendono anche a crescere meno. Aggiungiamo ancora che garantire l’uguaglianza dei punti di partenza lo può sì fare uno Stato, ma solo fino a un certo punto. Chi proviene da una famiglia comunque benestante, ha dei vantaggi rispetto ad altri che non hanno la stessa provenienza sociale, nonostante lo Stato fornisca una buona e solida istruzione a tutti”. Tutto ciò comporta una necessità per lo Stato, quella di garantire “almeno” una ridistribuzione del reddito.
“Si tratta di uno strumento in cui si manifesta il principio di solidarietà – spiega Cottarelli – attuato attraverso la tassazione progressiva e con la messa a disposizione di servizi sociali gratuiti a chi non è in grado di pagarli”. Da qui si arriva all’universalità per tutti dei servizi sociali, ma naturalmente devono essere perlomeno garantite le fasce più indigenti. Ricapitolando, i tre principi che secondo Cottarelli sarebbero necessari per raggiungere un maggior livello di giustizia sociale (ma anche di sviluppo economico corretto), sarebbero “uguaglianza dei punti di partenza, l’operatività del criterio del merito e un certo grado di ridistribuzione. Sono secondo me l’essenza dell’ideale liberal democratico”.
Sul “merito” come sottolinea Cottarelli, sono in molti ad avere qualche perplessità, a cominciare dalle aree più limitrofe alla sinistra. Del resto, ebbe un grande successo, qualche anno fa, nel nostro Paese, il libro del filosofo americano Michael Sandel (“La tirannia del merito: Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti “, pubblicato in Italia nel 2021, ndr), in cui si critica il concetto di merito sulla base di due argomentazioni: la prima, nella realtà non c’è uguaglianza dei punti di partenza. “Una critica a mio parere piuttosto debole – dice Cottarelli – perché si può ribattere “allora garantiamo che ci sia uguaglianza nei punti di partenza”. La critica più pesante, molto presente in una parte della sinistra italiana, è più radicale: è sbagliato il concetto di gara. Premiare il merito vuol dire rendere la vita una gara, ovvero competere gli uni con gli altri, mentre chi vince qualcosa sta sottraendolo a qualcun altro. In parte, ciò è vero. Ma questo criterio, portato all’estremo, significa tornare a dare rilevanza solo al terzo concetto di uguaglianza, vale a dire quello di uguaglianza dei punti di arrivo, in cui tutti si arriva “sorridenti all’arrivo tenendosi per mano”.”. E questo, dice Cottarelli, “purtroppo mi sembra irrealistico”.
Esiste anche un altro fattore, per Cottarelli, che renderebbe sbagliato l’approccio di Sandel. “L’idea per cui la gara comporta che tu stia sottraendo qualcosa a qualcun altro, si scontra col fatto che la concorrenza, la competizione, la gara, il principio del merito comporta che la dimensione della torta aumenti. Ciò che viene distribuito è più grande, e quindi non c’è necessariamente una sottrazione di qualcosa a qualcun altro, ma se l’economia funziona bene, sulla base dei principi di concorrenza, la dimensione della torta aumenta. Se invece si toglie lo stimolo della concorrenza e della gara, e dunque del merito, la dimensione della torta può anche decrescere. Ciò significa che le persone staranno peggio, saranno anche più uguali, ma vivranno una condizione peggiore rispetto a società capitaliste di successo, come erano una volta gli Stati Uniti, quando c’erano opportunità per tutti, che è il principio che ha caratterizzato il XX secolo. Tra il 1910 e il 1980 la distribuzione della ricchezza negli USA è diventata più uguale, c’era crescita, il sogno americano sembrava realizzarsi, l’ascensore sociale funzionava”. Ovviamente al netto delle enormi sacche di povertà e sudditanza economica e culturale che continuavano ad investire gli strati più bassi della popolazione, come gli afro-ispanici, il perdurare delle condizioni spaventose nei ghetti, lo sviluppo che si reggeva sulle varie guerre in cui gli Usa mettevano mano in varie parti del mondo.
“La sfida, secondo me, è tornare a una società in cui l’ascensore sociale funziona, attraverso il merito. Ho trovato inappropriate le critiche che sono state fatte anche al governo attuale, quando, enfaticamente, si è voluto chiamare il Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero dell’Istruzione del Merito. Che poi questa destra in pratica non applichi il criterio del merito, è altra questione”.
Infine, su sollecitazione del presidente Valdo Spini, Carlo Cottarelli parla dello stato del Pnrr nella dialettica pubblico-privato.
“Il Pnrr è nato con aspetti molto validi e una debolezza di fondo, quella che c’era troppa carne al fuoco, probabilmente per dare soddisfazione un po’ a tutti. Ci si è trovati di fronte a talmente tante richieste, che addirittura si è dovuto introdurre un piano complementare di 30 miliardi finanziato con le nostre risorse perché 190 miliardi sembravano troppo pochi. Un problema con cui adesso ci si sta scontrando. L’altra questione di fondo, da me segnalata, è che la maggior parte della spesa è gestita dalle pubbliche amministrazioni. La parte gestita dal privato riguarda essenzialmente un po’ di sussidi all’innovazione, tutti il resto erano soldi che dovevano essere gestiti dal settore pubblico.
La vera difficoltà con cui ora ci si sta scontrando, è che il settore pubblico ha sempre avuto difficoltà in Italia a spendere soldi. In realtà, non sempre è stato così. Vent’anni fa abbiamo avuto un periodo in cui il rapporto fra investimenti pubblici e Pil era nell’ordine del 3.7-8 %. In seguito, si è scesi a poco più del 2%. Il sospetto rispetto a questa maggiore difficoltà a spendere, è che sia legata ai paletti messi per evitare la corruzione nel settore pubblico. Si spendeva tanto – conclude Cottarelli – ma si spendeva talmente male che detenevamo il record europeo per costo di un km di metropolitana. Una volta messi i paletti, sono emerse le difficoltà di spesa buona.
Adesso bisogna risolvere la situazione. Purtroppo non mi sembra che il governo ci si stia impegnando al meglio, perché sta perdendo tempo con il cambiamento della governance, una cosa secondo me sbagliata. Alcuni Paesi hanno gestito il Pnrr con un organo creato appositamente, ma per la maggior hanno afferito la gestione o alla Presidenza del Consiglio o al Ministero dell’Economia. In Italia era stata fatta la scelta di fare gestire il pacchetto delle risorse Pnrr al Ministero dell’Economia. Il cambiamento in corsa che è stato deciso, ovvero il passaggio di tutto dal Mef alla Presidenza del consiglio, solleva una domanda semplice. Perché? Infatti, pur essendo vero che c’erano difficoltà di spesa, non erano certo dovute al fatto che ci si trovasse nel Ministero dell’Economia. Non vedo altre ragioni che quelle politiche”. Ovvero, sottrarre la gestione del Pnrr alla Lega e portarla in capo a Fratelli d’Italia. L’unica spiegazione razionale.
In foto: Carlo Cottarelli
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