Il presidente uscente di Aici Valdo Spini è stato eletto all’unanimità presidente onorario, dopo 12 anni di esercizio del mandato. Nel corso dell’introduzione tenuta nell’assemblea nazionale mista che ha visto l’elezione di Flavia Nardelli Piccoli a neo presidente, Spini, oltre ad avere sottolineato i risultati e i successi conseguiti dall’Aici, ha messo in luce alcuni punti fondamentali per il panorama attuale del mondo della cultura italiano.
Dopo aver messo in evidenza che, giunto al dodicesimo anno di esercizio del mandato, dopo essere stato eletto 4 volte alla presidenza (nel 2012, nel 2014, nel 2017 e nel 2020), Spini ha voluto che “contestualmente all’approvazione dei documenti di bilancio, l’assemblea affrontasse anche l’elezione del nuovo presidente dell’associazione”, dal momento che “ritengo che, aldilà delle previsioni statutarie, sia giunto il momento per me, non di tirarsi indietro perché sarò sempre in prima fila nell’impegno a favore della nostra associazione, ma di eleggere un/a nuovo/a presidente”. Il motivo di fondo, “evitare una sorta di identificazione tra l’Associazione con la persona che la guida, che alla lunga da fattore di forza potrebbe diventare un fattore di debolezza e dare un segnale di vitalità e di coesione associativa procedendo ad una naturale turnazione”.
Spini ha continuato il suo intervento facendo il punto della situazione attuale dell’Aici, sottolineando l’importanza della presenza del consigliere Francesco Gilioli in rappresentanza del Ministero della Cultura, principale riferimento dell’associazione di carattere istituzionale.
“Recentemente si è svolta a Montecitorio la manifestazione commemorativa di uno dei miei predecessori, Gerardo Bianco. In quell’occasione proprio Flavia Nardelli ha ricordato le parole con cui Bianco definiva così l’Aici. “La più vasta,varia e radicata tessitura culturale sul territorio della nostra repubblica, fondata su basi solide come biblioteche, archivi storici, musei, vera ossatura culturale del nostro paese” – ricorda Spini – parole a cui non mi sentirei di aggiungere nulla, se non l’affermazione del pluralismo e dell’autonomia della nostra associazione e nella nostra associazione. Un pluralismo ed un’autonomia che concorre alla difesa e al rafforzamento della nostra democrazia”.
Nel momento in cui Gerardo Bianco scriveva, le fondazioni e gli istituti associati erano 75. “Ora siamo ben 150 soci distribuiti su tutto il territorio nazionale. Ci siamo arrivati perché non siamo stati fermi a Roma, ma abbiamo girato per tutta l’Italia. Ci siamo dati una regola: le nostre conferenze nazionali si devono svolgere a rotazione in città del nord, del sud e del centro e l’abbiamo seguita”. Un percorso che si è snodato dalla prima conferenza nazionale a Torino nel 2014, alla seconda a Conversano (Bari) nel 2015, alla terza a Lucca nel 2016. poi di nuovo al Nord, con la quarta a Trieste nel 2017, mentre la quinta si è tenuta di nuovo al Sud a Ravello (Sa) nel 2018, la sesta al centro a Firenze nel 2019.
Pausa lockdown, che tuttavia non ha interrotto completamente la serie, dal momento che sono stati comunque organizzati due convegni in forma ridotta e parzialmente in remoto, nel 2020 a Milano e nel 2021 a Parma, capitale della cultura italiana per quell’anno. 2022, ripartenza con i fiocchi, con una conferenza nazionale in piena regola, la VII a Napoli, “città del Mezzogiorno che ha svolto e svolge un ruolo nazionale, nella cultura e nella società italiana. Una conferenza che ci ha dato nuovo slancio ed entusiasmo anche per l’accoglienza partecipativa che abbiamo ricevuto in quella città. Logico che ora ci si proponga di tornare al Nord e di inserirci nel programma di Bergamo e Brescia, capitali congiunte della cultura per l’anno 2023”.
Una chiave di comprensione importante dell’Aici è il “titolo” che è stato dato alle conferenze nazionali, “Italia è cultura”. “Non un’endiadi come avrebbe potuto essere Italia e Cultura, ma l’espressione di una vocazione: “Italia è Cultura” costituisce un’espressione densa di significato che sta ad indicare un tratto distintivo ed indelebile della nostra nazione, quella di essere stata tale nella cultura e nella lingua ancor prima che ne fosse possibile realizzare l’unità politica e di possedere una particolare ricchezza non solo nei beni culturali materiali (monumenti, opere d’arte, paesaggio), ma anche in quelli immateriali, dalle tradizioni, dalla storia, dal patrimonio intellettuale di competenze e di ricerche che l’Italia esprime”.
“Nel 2014 ci eravamo trovati in una situazione che aveva visto, dopo la crisi del 2007-2008, il dimezzamento dell’ammontare dei contributi totali del Ministero della Cultura – continua il presidente Spini – si era diffusa un’espressione del tutto mistificatoria: “La cultura non si mangia”. Ma la tendenza si è via via modificata e siamo arrivati con la legge di bilancio del 2022 non solo a riguadagnare tutto il terreno perduto, ma addirittura a raddoppiarlo portando a 70 milioni di euro il contributo complessivo per le tabelle triennali e i contributi annuali”. Un risultato decisivo, dal momento che per le istituzioni culturali anche un piccolo aumento nel contributo possa significare veramente molto.
“Siamo alla vigilia dell’emanazione della nuova tabella triennale 2023-2025 e confidiamo che il nuovo governo e il nuovo parlamento possano mantenere e sviluppare questo impegno a favore delle Fondazioni e degli istituti culturali italiane in considerazione della rilevante funzione di pubblico interesse che gli istituti svolgono nella conservazione, tutela, catalogazione e promozione del patrimonio culturale. Le nostre fondazioni e i nostri istituti custodiscono e gestiscono a favore del pubblico, biblioteche ed archivi di grande importanza. Ecco perché è giusto che il pubblico ci sostenga nel quadro di quell’art. 9 della Costituzione che suona: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura”. Ricordo l’utilità di quei provvedimenti della Direzione Generale delle Biblioteche che ci consentono di incrementare i nostri acquisti di libri e quindi di rinnovare il nostro patrimonio librario”.
Ma la funzione dell’Aici non è “solo” di tipo culturale; o meglio, le sue attività sono l’esempio concreto, ancora una volta, del fatto che con la cultura si mangia e ci si forma. “Rappresentiamo ormai anche una realtà piuttosto consistente in termini di occupazione. Abbiamo sviluppato ricerche sul lavoro nelle Fondazioni e negli Istituti culturali che hanno censito circa 2000 fra collaboratrici e collaboratori attivi delle nostre istituzioni. Una ricerca che continuiamo a condurre e, proprio qui a Roma, portiamo i risultati un aggiornamento sull’identità dei nostri istituti realizzato con il coordinamento attivo e sollecito della vicepresidente Siriana Suprani. Parlando di lavoro ci rivolgiamo in particolar modo alle giovani e ai giovani. Al nostro interno, continuiamo l’esperienza della partecipazione ai nostri lavori del gruppo degli “under 35”, alla cui formazione vogliamo concorrere per favorire il ricambio dei nostri gruppi dirigenti”, sottolinea il presidente onorario.
Nel corso degli anni, l’Aici ha ricevuto “altri riconoscimenti istituzionali importanti”, ricorda Spini. “È in corso l’attuazione della convenzione che abbiamo firmato il 28 luglio scorso con la presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Maria Chiara Carrozza per la nostra partecipazione al “Portale delle fonti per la storia della Repubblica” che la legge ha messo in capo al Cnr. Il portale ha l’obiettivo di strutturare una collocazione unitaria per tutte le informatizzazioni degli archivi e delle documentazioni realizzate dalle istituzioni culturali dello stato nonché dalle Fondazioni e istituti come i nostri. Proprio la nostra larga presenza può concorrere al successo di un’operazione fondamentale per mettere in rete e condividere tutto quanto costituisce una fonte per la storia della nostra repubblica. Uno dei nostri vicepresidenti, Sergio Scamuzzi è stato nominato referente per l’Aici dell’attuazione della Convenzione”. Inoltre, nel gennaio di questo anno abbiamo siglato una convenzione con l’allora Commissario straordinario del governo per Santo Stefano e Ventotene Silvia Costa, di cui speriamo possa svilupparsi positivamente”.
Un percorso, quello dell’Aici, che tuttavia vede anche problemi ancora aperti. Uno di questi, molto delicato, riguarda la struttura giuridica delle associazioni culturali. L’interrogativo, posto anche da molti soci dell’Aici, è se sia necessario o comunque opportuno passare ad ETS, enti del terzo settore, che sono posti sotto la vigilanza del Ministero del lavoro. “Molti sono passati, o per usufruire di quel particolare regime o nel timore di essere esclusi in futuro da benefici fiscali o dagli stessi contributi pubblici. Altri invece pensano che le Fondazioni o istituti culturali che hanno avuto il riconoscimento come tali, non debbano assoggettarsi a costosi mutamenti di statuto e di struttura per il timore di perdere le attuali prerogative fiscali (5×1000) o di status o di essere esclusi dai bandi nazionali ed europei”, dice il presidente Spini, che sottolinea anche le notevoli differenze tra gli enti di volontariato del terzo settore e le Fondazioni e gli istituti culturali sia nella struttura che nell’ attività, che nel trattamento del personale.
“Che cosa penso personalmente? – continua Spini – Che chi è ormai passato nel terzo settore, sotto la vigilanza del ministero del lavoro, non debba essere per questo in alcun modo danneggiato o emarginato. Ma si deve nel contempo ribadire – sottolinea il presidente Spini – che chi vuole rimanere nell’attuale status col riferimento al Ministero della Cultura è pure libero di farlo senza perdere alcuna delle sue attuali potenzialità, magari, creando anche un albo degli istituti e delle Fondazioni che hanno un rapporto col Ministero, come più volte è stato prefigurato dalla stessa Direzione Generale competente. La nostra richiesta è che ci sia in questo senso una parola chiara proprio da parte del nuovo governo per capire in che direzione andare e quali orientamenti prendere”.
Un altro problema ancora aperto riguarda il sostegno all’attività informatica e di digitalizzazione degli istituti, conseguente all’importanza della rete nella cultura del mondo attuale. “La rete è diventata vitale per far conoscere le nostre attività che sono di riflessione, di analisi e di ricerca – continua Spini – ciò in considerazione della crisi che vive il mondo della carta stampata, che non assicura più la diffusione di un tempo da un lato e dell’orientamento dei talk show televisivi dall’altro. Questi ultimi, a parte la “dittatura” del conduttore che intende condurre l’intervistato dove vuole, vedono il prevalere della ricerca dello scontro invece del confronto, delle brevi frasi ad effetto invece di quelle analisi e di quelle riflessioni che ci caratterizzano. Di qui la necessità per i nostri associati di non essere autoreferenziali, ma di mettersi in rete operando sinergie di informazione e di diffusione dei singoli contenuti”.
Un punto particolarmente delicato e importante è poi, naturalmente, la questione Pnrr, che “rappresenterà una grande occasione di innovazione e di trasformazione in senso digitale. Ma sono le nostre fondazioni e istituti privati realmente coinvolti in quest’opera? – dice Spini – è stato emanato il bando “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” della Missione I del Pnrr, aperto in linea di principio anche ad istituti privati come il nostro, ma che si è rivelato di difficile accesso e in ogni caso di cui attendiamo i risultati. Continueremo naturalmente l’interlocuzione con la Digital Library del Ministero della Cultura. Salutiamo le possibilità di digitalizzazione che si sono aperte nel bando “Contributi per il funzionamento e per le attività delle biblioteche non statali aperte al pubblico”. Tali contributi possono riguardare elementi del nostro patrimonio culturale, come le riviste per chi le edita”.
Il rapporto fra Università e associazioni culturali è un altro passaggio fondamentale, soprattutto per quanto ancora non si fa. “Il tema riguarda le giovani e i giovani del nostro paese – spiega il presidente onorario – recentemente Sergio Fabbrini ci ha ricordato (Il Sole 24 ore del 26/3/2023) la situazione di vera e propria emergenza in atto nel lavoro giovanile intellettuale. Se sommiamo al decremento demografico il fatto che circa 250mila giovani laureati (secondo alcune fonti 400mila) hanno lasciato l’Italia alla ricerca di salari più degni, ci rendiamo conto che siamo di fronte a una vera e propria emergenza”.
Un quadro desolante in cui però e Fondazioni e gli istituti culturali possono dare “spazi e strumenti formativi per i giovani ricercatori che sono ben lontani dall’essere pienamente sfruttati e che, con un adeguato rapporto con le Università, potrebbero risultare utili anche in rapporto all’occupazione giovanile qualificata. Con un termine keynesiano, potrei dire che in proposito abbiamo capacità produttiva inutilizzata. Avevamo proposto sia alla Presidenza del Consiglio che al ministro per l’Università e la Ricerca un progetto per contratti di ricerca post-dottorato sui quali non abbiamo avuto alcuna risposta”.
Un progetto che, continua il presidente Spini, va riproposto al nuovo governo e al nuovo ministro dell’Università e della Ricerca. ”Sarebbe il nostro contributo a combattere una vera e propria emergenza, la perdita di capitale umano in atto nel nostro paese. Avevamo detto a Napoli che ci siamo, in questi anni, opposti al vecchio adagio “la cultura non si mangia” contrapponendo il motto “la cultura si mangia e ha anche un buon sapore”, a significare che il contributo economico e sociale della cultura alla vita del paese è ormai fatto acclarato: Cito tra tutti i documenti in proposito il rapporto di Federculture per il 2022 “Impresa Cultura”, denso di dati molto convincenti sul contributo del settore cultura all’economia nazionale”.
Ma la cultura non si misura solo con un indicatore economico. “Facciamo ancora nostra la definizione che dava Edgar Morin, cioè che “la cultura è l’insieme di abitudini, costumi, pratiche… saperi, regole… valori, miti che si perpetua di generazione in generazione. Cogliamo appieno i valori di identità e di coesione, che nella dialettica delle idee la cultura rappresenta”. “Come calare questo concetto nella realtà attuale del nostro paese, in questo secondo decennio del XXI secolo, credo che sia un compito importante per l’Aici e per i suoi soci”, sottolinea Spini.
Riguardo al presente momento storico, un interrogativo è ineludibile. “Dopo un periodo di governo di salvezza nazionale largamente unitario, siamo di fronte di nuovo ad un confronto, talora anche piuttosto duro, tra maggioranze e minoranze. Può questa rinnovata dialettica tradursi in un rinnovato interesse per la politica, in una ripresa di quel rapporto tra politica e società italiana la cui crisi è stata messa in rilievo dai tassi così rilevanti di assenteismo o registrati nelle ultime elezioni? E può questo rinnovato confronto, pur nella dialettica e nella contrapposizione, dare anche risultati di coesione e di condivisione un una società dal tessuto così delicato come quella italiana?”.
Una domanda che lascia margini di dubbio, ma a cui lo stesso presidente Spini dà risposta. Positiva, ad una condizione, “che si riaccenda il dibattito culturale, che si riprenda quel rapporto tra politica e cultura che si è consumato durante l’arco di tempo di quello che viene chiamata seconda repubblica e che è una delle cause del distacco e dell’assenteismo che lamentiamo. La ripresa di un fecondo rapporto tra politica e cultura è una condizione irrinunciabile per la ripresa del nostro paese”.