Firenze – La denuncia, stavolta, non si ferma alle pagine dei giornali, ma, attraverso un esposto e alcune raccomandate, una delle quali indirizzata alla Soprintendente Alessandra Marino, è già in viaggio verso le istituzioni pubbliche che dovrebbero essere informate degli accadimenti. Una raccomandata sui fatti in questione è stata inviata anche al Direttore Sardelli della Biblioteca Marucelliana. Già, perché l’accaduto interessa proprio la storica Biblioteca che contiene e custodisce (o dovrebbe farlo) tanti tesori d’arte inestimabili.
Il fatto.
Ed ecco il fatto e l’attore: la denuncia viene resa pubblica dall’architetto Maurizio D’Amato, un professionista che conosce molto bene la struttura in questione in quanto ha eseguito varie ricognizioni e studi sulla stessa; il fatto, un vero e proprio “sbrano” in forma di “apertura luce” attuato su di un muro settecentesco, dietro il quale si cela (o celava, anche se altri affacci, ma storici, ci sono già) un “fazzoletto” di verde, in origine hortus conclusus del Diciottesimo secolo, privato all’origine, passato poi attraverso tormentate vicende storiche a far parte del patrimonio pubblico . Come e perché ciò sia stato possibile, lo racconta l’architetto D’Amato.
I primi passi della vicenda.
“Tutto parte da un gestore di trattoria in via San Gallo, che si muove in un locale lungo e stretto in cui deve fare i conti con la scarsità sia di aria che di luce, il che tracima ovviamente sulle condizioni di lavoro nella cucina”. Alla ricerca di una via di aerazione, stretto da molte parti da altre strutture, gli rimangono solo due possibilità: una, il muro opposto all’ingresso, due, quello verso il vecchio comando militare, vale a dire l’ex-Convento di Santa Caterina. Con il secondo, quello verso il comando militare su sui già è stata installata una cappa fumaria, niente da fare. Dunque, non rimane che attuare un foro sul muro opposto all’ingresso. Cosa c’è al di là di quel muro? Il giardino della Biblioteca Marucelliana. Poco importa, serve “solo” un nulla osta della Soprintendenza, dal momento che su quello stesso giardino hanno l’affaccio sia altri residenti, sia alcuni dipartimenti della Facoltà di Lettere . Affacci, quelli di cui si parla, “storici” (alcuni presumibilmente aperti a cavallo fra 800 e 900), vale a dire già in essere da molto tempo. Quando, di sicuro, certe “fisime” di conservazione dello stato delle murature antiche non erano così “tiranne”.
Viene praticato il “foro”
Ma forse tanto tiranne ancora non sono. Infatti, racconta D’Amato, “viene inviato dal taverniere un muratore di nazionalità non italiana, che armato di flessibile e martello pneumatico in quattro balletti fa l’apertura e la ripresa muraria”. Un lavoretto facile e veloce. E le richieste di delucidazione fatte ai responsabili provvisori per l’ordinaria amministrazione della Biblioteca, dottoresse de Vincenziis e Camarlinghi, che rappresentano temporaneamente i due direttori, precisamente il Direttore della Biblioteca Sardelli e il responsabile amministrativo dottoressa Bach, per il momento irraggiungili? Tamquam non esset. Infatti, “risulta che il Direttore Sardelli e la dottoressa Bach avevano già espletato tutte le ricognizioni e richiesto alla Soprintendenza il nulla osta lasciando disposizioni in merito” racconta l’architetto D’Amato. E risulta anche che il placet c’è: “dato dal tecnico responsabile e firmato da tale architetto Scelza – continua il professionista – che internet informa essere stato in forza ora del quartiere 3 ora del quartiere 5, mai per il centro storico. Nomina probabilmente fatta recentemente”.
Il Nucleo Edilizia della Polizia Municipale.
D’Amato non si arrende e telefona al nucleo Edilizia della Polizia Municipale, dove viene informato “che la stessa espleterà indagini in seguito alla segnalazione dello scempio che si andava compiendo”, ma che con ogni probabilità non aveva ravvisato nulla di strano viste le autorizzazioni ricevute, “come se – commenta con amarezza D’Amato – l’apertura di una finestra, o forse luce ma bella grande!, di un locale pubblico su un’istituzione antica e fragile (che serba tesori dei più grandi artisti del Cinquecento), fosse da trattare e di pari importanza di uno sbocco di un retro bottega su un cavedio e che non fosse necessaria una comunicazione di qualche sorta, una Scia”.
Com’è e cosa c’è nel giardino
Ma è importante capire di cosa si stia parlando. “Parliamo di questo fazzoletto, un Hortus Conclusus settecentesco, pallida memoria anche di vicende dolorosissime di persecuzioni – informa D’Amato – la parete di fondo, coronata e sagomata, ha, incassata, una fontanella con bacile in pietra, dei mascheroni in terracotta con satiri, un’altra fontana interrata e archivoltata, un bel vascone in marmo con maniglie, un orcio di terracotta: questo per quanto riguarda gli oggetti di decoro. Per quanto riguarda le piante si ammirano: due cipressi infiniti, zona di sosta primaverile per specie in migrazione, un nespolo, una pergola di vite e un fico, più pitosfori e siepi. Questo fico dottato, buonissimo, veniva un tempo spogliato dei frutti e dati in ricompensa ai soli bibliotecari per il lavoro svolto durante l’anno. In questo fazzoletto, si tramanda abitato da una coppia di pavoni bianchi, nel quale era presente però qualche anno fa una tartaruga, si affaccia una scaletta in ferro e ghisa che, tra mille volute, arriva al ballatoio del Salone Manoscritti della prestigiosa Biblioteca Marucelliana, alla quale si accede solo da via Cavour, dove per entrare devi avere tessera e controtessera per sfogliare disegni preziosissimi e dove la Soprintendenza traslocò parte di scaffali preziosi e intagliati”.
Ebbene, conclude D’Amato, “se aprire questo piccolo spazio, una volta restaurato, in occasione della “Giornata dei Cortili Aperti” sarebbe un po’ difficoltoso per via del passaggio negli Archivi e Magazzini, trasformarlo in un cavedio con rumori di stoviglie e vapori etnici è indice di mancanza di buon gusto, a fronte di un eccesso di appetito!”.
Infine, è necessario sottolineare che quanto sta avvenendo nella parete che delimita il fazzoletto di giardino dall’impianto e origini settecentesche e la sua sorte futura non è affatto sconosciuto a chicchessia. L’unica speranza, di cui si fa latore D’Amato, risiede in “un ravvedimento operoso da parte della Soprintendenza ai beni architettonici…. per richiudere al più presto tale apertura: permesso concesso per un errore materiale dovuto ad un malaugurato errore di trasmissione dei dati, nei quali si era parlato di mancata notifica, su un vincolo di tutela generico dell’Unesco e di generiche forme di sicurezza su porte allarmate. Salvando capre e cavoli, che è sempre una soluzione, anche per l’alloggiato trattore etnico”.