Ettore Bernabei: 30 anni di storia raccontati da un protagonista

Firenze –  Un’operazione di grande interesse, dal punto di vista storico-culturale, quella condotta in porto da Piero Meucci. Piero, giornalista di grande esperienza (oggi direttore del giornale on line «Stamp Toscana», ha lavorato per «Il Sole-24 ore», per l’Agenzia ANSA, ha guidato la redazione fiorentina di «Paese Sera», è stato responsabile della comunicazione multimediale della Giunta Regionale e poi dell’Agenzia di informazione del Consiglio Regionale della Toscana) è anche presidente dell’ARCTON (Associazione Archivi Cristiani Toscani del Novecento).

In tali archivi sono depositate carte, documenti, immagini, memorie di importanti personalità del mondo cattolico. E in tale contesto che Meucci ha potuto lavorare sui diari di Ettore Bernabei. Ne è nato il volume Ettore Bernabei. Il primato della politica, Marsilio Specchi, Venezia 2021), che reca come sottotitolo: La storia segreta della DC nei diari di un protagonista.

Il volume ha come epigrafe di apertura un breve brano dello stesso Bernabei in cui si afferma che «(…) niente è così omogeneo come appare. Anche le grandi istituzioni politiche economiche e finanziarie sono molto articolate al loro interno. Non bisogna dare retta agli schemi e alle semplificazioni (…) la realtà è molto più complessa, la politica non è mai riconducibile a schemi così semplici e così banali».

La dimensione della complessità del mondo politico, Ettore Bernabei l’ha sperimentata e vissuta dall’interno. Il suo nome è legato soprattutto alla direzione della RAI in un periodo (d’importanza cruciale per l’azienda) che va dal 1961 al 1974. Bernabei (che ha dato un’impronta alla comunicazione televisiva e ha impresso un segno che ha connotato un’epoca ed ha lasciato un’eredità) era la RAI. Ma (come emerge dai Diari che vengono pazientemente passati in rassegna da Piero Meucci) era anche molto altro e molto di più. Il suo ambiente naturale era, certo, quello del giornalismo: era stato direttore di un originale quotidiano come «Il Giornale del mattino» (nato per dare espressione alle posizioni cattolico-democratiche vicine a Giorgio la Pira) e poi era stato chiamato (su volontà di Fanfani) a dirigere «Il Popolo», quotidiano ufficiale della DC (in cui avrebbe anche ricoperto il ruolo di vicedirettore responsabile quando nel partito si sarebbe affermato Aldo Moro). 

Nel «mosaico» dei Diari

Ma il mondo della comunicazione non avrebbe, per lui, senso, direzione e orientamento senza il riconoscimento del ruolo della politica. Del primato della politica, appunto. Bernabei, in fondo, vive di questo e per questo. E’ quanto riesce a rendere il libro di cui siamo a parlare, un saggio di carattere storico-biografico che, pagina per pagina, ti conduce per mano in un mondo e in un modo di vedere le cose con la scioltezza e la capacità di coinvolgimento di un testo di narrativa. Un lavoro non semplice, quello che è stato compiuto.

Non basta avere, infatti, a disposizione dei diari (sia pure così rilevanti e particolari) per riuscire a farli parlare, legando efficacemente fra loro, in un mosaico e in un quadro unitario, i diversi frammenti di una storia che in essi si esprime. Ebbene, va detto che la personalità, le propensioni, la visione delle cose, la mentalità dei Ettore Bernabei, emergono da queste pagine con grande chiarezza.

Ne risalta tutt’altro che unicamente la fisionomia di un uomo di potere (o che comunque si muove avendo ben presenti le dinamiche della dimensione del potere). L’autore dei Diari (scritti, come viene rilevato, con grande accuratezza, non solo contenutistica, ma formale, forse anche in vista di una possibile pubblicazione) esprime e dà voce, anche se non soprattutto, a una forte identità culturale e di fede. Quella di un cattolico, con contatti di alto e altissimo livello, e di un esponente della DC (mai però con ruoli di carattere strettamente politico-rappresentativo) che, in quel grande partito, è ben attento a distinguere fra una componente conservatrice, espressione di interessi economici più o meno grande e un’altra parte sensibile ai bisogni della «piccola gente». E’ un’ispirazione di carattere fanfaniano-lapiriana quella che muove  i passi del futuro direttore della RAI.

Con Fanfani, uomo «di sinistra»

Fanfani, d’altra parte, avrà posizioni nettamente «di sinistra» all’interno del partito-stato democristiano, almeno fino al 1971, anno della mancata elezione alla presidenza della Repubblica. Dopo (vicenda del Referendum per il divorzio inclusa), è un’altra storia. E’ un ambito molto interessante. Si pensi anche soltanto ai collegamenti (cui i Diari fanno più volte riferimento) di quest’area politica con un singolare, intraprendente, creativo e potente personaggio come Enrico Mattei. All’interno di vicende assai complesse, Bernabei svolge spesso un ruolo, ricercato e apprezzato, di consigliere, di mediatore, di punto di collegamento fra realtà e personalità fra loro diverse.

A volte «si pone la domanda se questo suo ruolo di informatore e consigliere sia davvero utile» ma spesso sono «i suoi interlocutori a chiedergli di mantenerlo» così è nel caso del cardinale Giovanni Benelli che (come egli registra in un’annotazione del 7 Settembre 1975) gli chiede  se non sia «(…) “disposto a continuare a fare per lui e per la segreteria (…) quello che ho fatto in questi anni per Fanfani ritenendo che sarebbe un servizio utile alla Chiesa sia nello stabilire contatti che ne fornire informazioni e valutazioni sulla situazione politica italiana”». Pronta è la risposta in cui viene assicurato: «(…) “per quanto mi sarà possibile riterrò mio dovere rendere tale servizio”».

Bernabei è insieme osservatore, testimone e protagonista (sia pure da una posizione e da un’ottica particolare) di vicende che hanno segnato decenni di storia del nostro Paese. Nei suoi tredici anni di direzione della RAI, intanto, egli ha dato non solo un indirizzo di carattere politico-culturale all’impostazione e ai programmi di un mezzo di comunicazione che stava diventando uno dei simboli della modernizzazione dell’Italia, scoprendo anche e «lanciando» volti nuovi come Umberto Eco e Enzo Biagi. Ma tutto si reggeva su equilibri assai delicati. La gestione della RAI diventa, con il tempo, sempre più complicata. E verrà il momento in cui dovrà «comunque lasciare la direzione perché la forze laiche hanno messo sul piatto come condizione ineludibile la sua uscita»: un passaggio che Bernabei affronterà, preparandosi a «combattere l’ultima battaglia: nel momento della spartizione, il suo compito sarà garantire il peso maggioritario dei cattolici».

Spartizioni, trattative, ricerche di equilibri

Spartizioni, trattative, ricerca di equilibri da pesare con la diplomazia e con il bilancino. Sono caratteristiche della politica di ieri (che i Diari e il libro mettono minuziosamente a nudo), che la politica di oggi non ha certo cancellato, anzi! Trattative assai complicate (fra le diverse forze politiche e fra le varie correnti democristiane) saranno necessarie anche e proprio per ricollocare Ettore Bernabei (che rivestirà poi il ruolo di amministratore delegato e direttore generale dell’ITALSTAT) in un «nuovo incarico all’altezza delle qualifiche e dell’esperienza».

Ma al di là del destino personale dell’autore dei Diari, quel che viene squadernato nelle pagine da lui accuratamente redatte è la pluridecennale «grande storia» di un paese e di una società in un periodo di convulsa trasformazione, che le logiche del Palazzo (come le avrebbe chiamate Pasolini), molto spesso, non sono in grado di accompagnare e di interpretare né, tanto meno, di dirigere.

C’è il «partito unico dei cattolici» (con i suoi stretti e complessi rapporti con Vaticano e gerarchie ecclesiali) che pure si misura con le «svolte» ormai ineludibili (come quella del centrosinistra), ma che si troverà fortemente spiazzato di fronte ai sommovimenti degli anni sessanta ed a cambiamenti di mentalità e di costume come quelle che porteranno al rovescio subito dalla DC in occasione del Referendum sul divorzio.

Un rovescio cui contribuiranno anche i «cattolici del no» (tra cui vengono citati anche dom Franzoni e padre Balducci). Bernabei osserva, cerca di interpretare, si interroga. Ha le sue idiosincrasie: verso le forze laiciste, verso la grande finanza anglo-olandese (che muove, secondo lui, molte pedine), verso la «falsa sinistra» in Italia e fuori. Pensa addirittura che una parte dei gruppi e dei movimenti sessantotteschi ed extraparlamentari siano finanziati dal grande Capitale. Ha in uggia Rudi Dutschke e Daniel Cohn-Bendit. Pensa che il MIR cileno (Movimiento Izquierda Revolucionaria) che appoggia, da posizioni di estema sinistra Allende, persegua un estremismo funzionale ai disegni dell’imperalismo. Singolare è anche il rapporto che ha con Rizhkov, l’ambasciatore sovietico, di cui ha molta considerazione e con cui ritiene sia importante interloquire in certe occasioni per indirizzare verso determinate posizioni il PCI. Una via più breve e più diretta rispetto alla trattativa con i dirigenti italiani.

Il dramma di Moro

Vive e respira anche il dramma, da vicino e dall’interno, nel biennio 1977-1978, gli anni della violenza nelle piazze, del terrorismo e del sequestro Moro. «La cronaca di quell’orribile mattinata gli arriva da un osservatore diretto: «“Alle dieci Pellegrini mi ha raccontato di aver assistito dalla finestra di casa sua (in via Stresa) alla scena terribile. Aveva sentito gli spari; si è affacciato e ha visto due persone che trasferivano Moro accosciato dentro una macchina (…) Nel frattempo ha visto il massacro degli uomini della scorta”».

Le notazioni che seguono riflettono il senso della tragedia che va vivendo la famiglia dello statista rapito, ma anche lo smarrimento e lo sgomento che pervadono la società, i partiti, il mondo del lavoro (che i sindacati prontamente portano in piazza contro il terrorismo). Un fenomeno, quello terroristico, che Bernabei tende a interpretare in chiave di «soggetti teleguidati con gelida freddezza dall’estero»; e che comunque pone la DC di fronte al terribile dilemma  tra cercare di salvare la vita di Moro con un gesto umanitario (opzione su cui Fanfani è possibilista) e la linea della fermezza (fatta propria ferreamente, come non poteva non essere  anche dal PCI, teso ad allontanare da sé l’ombra dell’ «album di famiglia» evocato Da Rossana Rossanda in merito alla dimensione della «lotta armata»). Sappiamo, purtroppo, come andò a finire.

A vicenda tragicamente conclusa Anche Bernabei si recherà poi a Torrita Tiberina a rendere omaggio alla tomba di Aldo Moro e «scrive parole di toccante commozione. “E’ stato un momento di consolazione in quel piccolo cimitero, la gente semplice e buona di quelle campagna custodisce Moro come uno di loro in silenzio ma con il cuore severo di un amore sofferto” (11 Maggio)». Ma come è noto, la fine di Moro non rappresenta solo un dramma dal punto di vista umano; come puntualmente non manca di sottolineare il nostro acuto osservatore, cambiano le dinamiche politiche e religiose.

Tutto cambia

In Vaticano arriva papa Wojtyla, che imprime un nuovo e diverso corso alla Chiesa, posta a confronto con i temi della secolarizzazione e con la crisi del «socialismo reale» di osservanza sovietica (di cui il nuovo papa è deciso critico e antagonista). Ma cambierà anche l’atteggiamento della Chiesa verso la politica italiana, cui non verrà più assicurata un’attenzione particolare e privilegiata. D’altra parte, nella politica italiana emergono in primo piano nuovi protagonisti: Spadolini, Craxi, De Mita. Curiosa un’interlocuzione fra Craxi e Bernabei. Craxi è inquieto. Non capisce la natura del nuovo interlocutore democristiano.

Bernabei, da bravo tessitore di rapporti, lo rassicura: «De Mita è un meridionale che si è fatto da sé (…) Si può contare sulla sua lealtà».  Ma cambia non solo lo scenario politico. Cambia anche il mondo della comunicazione. Significativa la nota del 1 Marzo 1984 in merito riguardo al «contratto di Raffaella Carrà (6 miliardi per tre anni). «”L’enormità del contratto rientra nella guerra forsennata scatenata dalle ‘private’ che, per strappare divi alla RAI hanno concesso cachet strabilianti”». Il tono di Bernabei, come nota puntualmente Piero Meucci, diventa via via più distaccato con il maturare di condizioni e con l’avanzare di una stagione che preparano prima il declino e poi il tracollo del «partito cattolico» sotto i colpi di maglio di Mani Pulite che segnerà anche la fine della cosiddetta «Prima Repubblica».

Un’epoca della nostra storia che aveva avuto ombre (alcune anche molto cupe) e luci. Mutano, e si allentano o si sciolgono del tutto, anche i rapporti fra la Chiesa e i credenti impegnati in politica. Bernabei impegna, negli anni che seguono, le sue forze nella messa a punto della sua nuova creatura: la casa di produzione cinematografica Lux Vide. Sul piano generale, tuttavia, gli «ultimi suoi diari (dal 2007 al 2016) risentono della nostalgia di una stagione che, con tutti i suoi errori, le sue contraddizioni e anche le malefatte, ha accompagnato l’Italia lungo il percorso di crescita democratica ed economica»

 

La recensione di Severino Saccardi sarà pubblicata sul numero 537-538 della rivista Testimonianze di prossima pubblicazione che come titolo di copertina avrà: “Cattolici, sinistra, Pci, memoria e lezione di un dialogo alla prova”. 

 

Foto: Ettore Bernabei

 

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