Duomo, la modernità che fa paura

Le polemiche provano che l’intervento artistico è riuscito

Anna Vittoria Zuliani

Ci sono poche piccole considerazioni che mi sento di fare in merito al riadeguamento liturgico in Cattedrale, e al polverone sollevato prima di poter giudicare le ciliegine sulla torta che saranno visibili il mese prossimo. Quello che trovo veramente sconcertante è la portata delle reazioni, che a mio parere non fanno che anticipare la riuscita dell’intervento artistico.

L’arte contemporanea è in fondo legata alla sperimentazione, si basa su ribaltamenti di percezioni, la sua efficacia è proporzionale alle polemiche che la seguono. Così come quella antica è al contrario esasperazione del calcolo matematico, preciso. I mezzi sono agli antipodi, ma lo scopo è comune: stupire. Faccio questa premessa perchè mi pare che la polemica oscilli tra una frangia ‘conservatrice’ e quella ‘leggermente più modernista’, dove la prima sembra escludere qualsiasi riadeguamento, inteso come inserimento del moderno nell’antico.

Ai lavori di restauro che non hanno che ripulito ed adeguato la struttura ad un suo completo utilizzo, va sommato il valore aggiunto dalla scultura di Graziano Pompili, dall’altare di Claudio Parmiggiani, dalla cattedra di Yannis Kounellis, dalla croce centrale di Hidetoshi Nagasawa e dal candelabro pasquale progettato da Ettore Spalletti. Valore aggiunto sì, perché sono proprio queste scelte ad evitare l’isolamento degli episodi storico-artistici, allontanando il rischio di slegarli dal contesto urbano in evoluzione.

Manca in generale la fiducia nell’integrazione del nuovo nell’antico; quel nuovo, che secondo Zevi era causa di “sofferenze, strappi, squilibri” sull’antico, alteranti ma necessari. In un contenitore di valore antico, l’inserimento di opere contemporanee dal carattere reversibile è oltre che consentito, a mio parere necessario. Mettere la materia originale di fronte a quella integrata aiuta a capire quest’ultima proprio per l’inevitabile divario che viene a crearsi, che corrisponde a dialogo o contrapposizione. Si continua ad accentuare il carattere provocatorio dell’arte contemporanea, utilizzandola soltanto per esperimenti espositivi di breve durata, si rimanda sempre più il momento in cui anche questa verrà accettata a fianco di quella classica.

In definitiva, non so dove possa portare questa rissa verbale e quale siano le intenzioni di chi rivorrebbe indietro l’impianto originario, considerando i lavori commissionati e quasi tutti eseguiti. Consiglio in questo caso un piccolo sforzo di rinnovamento, utile anche all’approccio ad altre tematiche. La vera polemica dovrebbe comunque spostarsi dal piano concettuale verso l’esame delle spese concrete per tali commissioni. La denominazione ‘Arte Povera’ può trarre in inganno.

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