Dracula alla Pergola: effetti (molto) speciali per il primo vampiro

Firenze – C’era stato un Delitto e castigo da Dostoewskij in configurazione altamente acustica a fare da apripista. Pur esso, la scorsa stagione, approdato alla Pergola. Che ora affianca il Nuovo Teatro di Marco Balsamo nella produzione di Dracula, adattamento dal romanzo di Bram Stoker a cura di Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini, che firma la regia e condivide il palcoscenico con lo stesso compagno di cordata dostoiewskiana, Luigi Lo Cascio.

Il romanzo epistolare di Stoker, come sappiamo, è sontuosamente gotico. Potremmo dirlo un pulp ante litteram. Uscì per i tipi dell’editore londinese Constant nel marzo 1897 ma già da una decina d’anni il fulvo poligrafo irlandese faceva ricerche sul vampirismo e sul personaggio storico che è all’origine del nome: Vlad, figlio del principe Mircea, governatore dell’Ungheria Valacchia che nel 15esimo secolo fu indomito e feroce difensore della cristianità contro i turchi invasori.

Per le sue imprese sanguinarie fu soprannominato Drakul (Dracula appunto), assumendo su di sé una insaziabile trinità infernale: Morto Redivivo, Stregone, Entità Diabolica. La leggenda dei vampiri (morti umani che escono dalla tomba per succhiare il sangue ai vivi) data dall’antichità. Ma tra Sette e Ottocento, soprattutto in Inghilterra, divenne una moda letteraria (ma non solo), che rispetto a Stoker vanta due illustri precedenti: The Vampyre di John Williams Polidori uscito nel 1819 e Carmilla di Sheridan Le Fanu pubblicato nel 1872.

Una “maschera” così incandescente, voluttuosamente piantata nel salotto buono e nel cuore della sana borghesia vittoriana, non poteva non finire sul palcoscenico (già a più riprese nel corso dell’Ottocento, anche se bisognerà aspettare il 1924 per vederla estratta dalle pagine di Stoker) e poi inevitabilmente sullo schermo.

Il primo vampiro al cinema nel 1922 fu tedesco e muto, l’inarrivabile Nosferatu di Murnau. Ne seguiranno a iosa (allargando il campo a tutto il “genere horror”) ma il capostipite balla da solo e non ha bisogno di epigoni. Anche se Bela Lugosi e Christopher Lee cercano ogni tanto di fargli ombra.

Sergio Rubini coglie, così ci sembra, tutte queste sfumature e suggestioni, letterarie, teatrali, cinematografiche, e prova una sorta di catalogazione epocale del mito draculesco (è lui l’oscurità che ci avvampa dentro e falsifica le inibizioni?), e tenta uno “spettacolo totale” oscillante fra le dinamiche assorte del kammerspiel e le teutoniche, tempestose traiettorie dello sturm und drag.

Sbilanciato sul versante “sussurri e grida” in versione rantoli e tormenti (senza un attimo di tregua), Rubini esalta l’affannoso ricorrersi degli elementi, uomini e cose l’un contro gli altri invasati, in una struttura epica, romantica e luciferina, ben sostenuta dalla scenografia “mutante” di Gregorio Botta e dalle architetture sonore (ai limiti della rock opera) elaborate da Giuseppe Vadalà e da Gup Alcaro.

Una avventura dei sensi allora questo Dracula, disperso nelle nebbie della Transilvania, copioso di effetti speciali, sminamenti ambientali fra stormir di fronde, ululati di lupi e squittii di topi, dove fa capolino (farla emergere di più non avrebbe guastato) una irridente vena parodistica e un febbricitante erotismo tossico. Completano il cast Lorenzo Lavia, Roberto Salemi, Geno Diana, Margherita Laterza.

Repliche fino a domenica.

 

 

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