Uno degli aspetti che forse è rimasto un po’ in ombra durante le celebrazioni per il centenario della nascita di don Milani riguarda la destinazione del suo messaggio. Certamente egli ha parlato per tutti noi, ma i veri destinatari del messaggio e delle parole di don Milani sono in particolare le giovani generazioni. Non è un caso che don Milani abbia scelto come suoi interlocutori prima i giovani della scuola popolare di san Donato e poi i ragazzi più piccoli della scuola di Barbiana. Don Lorenzo dunque ha parlato soprattutto ai giovani di ieri e il suo messaggio riguarda più che mai i giovani di oggi e di domani.
L’incontro di don Milani con i giovani si è sviluppato nel segno della loro formazione costruita, prima che sui testi religiosi, sui valori etici e civili contenuti nella Costituzione italiana. Don Lorenzo e la Costituzione: un accostamento che troviamo spesso quando si parla di don Milani. E’ vero infatti che in entrambe le sue scuole, quella di San Donato a Calenzano, e quella di Barbiana nel Mugello lo spirito della Costituzione è stato sempre presente. Tuttavia la Costituzione non è stata mai usata da don Milani come un libro di testo, come avviene nelle nostre scuole statali che la usano solo per qualche citazione distante e solenne. E’ stata molto di più: una guida sicura per la vita di ogni giorno.
Nella scuola di don Lorenzo diventava vita vissuta la lezione dei padri Costituenti, espressa dall’articolo 1 C.: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Il lavoro cessava finalmente di essere una merce da scambiare con il salario e diventava il segno distintivo della dignità di tutti i cittadini. Nello stesso tempo ogni ragazzo doveva essere educato alla ‘sovranità’ che lo stesso articolo 1 attribuisce a tutti i cittadini. E credo che si possa dire a ragione che la scuola per don Milani non era solo il mezzo per imparare la letteratura o la matematica, le lingue o le scienze, ma era soprattutto educazione alla sovranità.
Ma per essere sovrani – don Milani ce lo ha ripetuto nella Lettera a una professoressa e in tante altre lettere – occorre possedere la parola, che non è solo saper leggere e scrivere, ma è intendere i rapporti sociali e civili, saper scegliere e decidere il proprio destino. Ci fu una domenica in cui erano saliti a Barbiana gli studenti di una scuola di giornalismo e don Milani ebbe modo di spiegare: “Saper leggere significa a dir poco intendere il giornale dalla prima all’ultima pagina, oppure, a dir poco poco, intendere la prima pagina del giornale…ma io non chiamerei alfabeta e non chiamerei cittadino a pieno diritto, cittadino sovrano, chi non fosse in condizioni di intendere… il livello di una tribuna politica o il livello di un comizio”
Da questa convinzione nasceva la irremovibile decisione del Priore di fare scuola e nient’altro che scuola.
Chi saliva fino a Barbiana sapeva che avrebbe fatto, o subìto, una giornata di scuola, senza pause di ricreazione e senza interruzioni. Questa severità di vita e di metodo, insieme alla provenienza montanara dei ragazzi, rendeva possibile, anzi rendeva facile, cogliere il classismo della scuola pubblica come si coglie dall’albero un frutto maturo. E’ di qui che nasce la denuncia contenuta in quel capolavoro che è Lettera a una professoressa, che così tanto ha inciso nei rapporti civili e sociali dell’Italia contemporanea. Il fatto è che la scuola di don Lorenzo aveva un taglio completamente dedicato alla crescita civile dei ragazzi. La sua attenzione era tutta rivolta alla questione sociale, all’esame dei rapporti tra le classi, alla denunzia delle diseguaglianze di cultura ed economiche, delle discriminazioni e delle ingiustizie. Dunque un taglio nettamente laico, per nulla preoccupato della missione pastorale del prete e del parroco.
La scuola di Barbiana non è stata altro, in realtà, che l’applicazione letterale della raccomandazione contenuta nel capoverso dell’articolo 3 della Costituzione: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…ecc.”. Nella quotidiana azione di don Lorenzo, la lotta per l’eguaglianza degli ultimi si è inestricabilmente legata all’educazione alla sovranità di ciascuno, con una straordinaria adesione allo spirito della Costituzione. Don Lorenzo ha preso sul serio la finalità espressa nel capoverso dell’art. 3: “..garantire il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, come espressione massima della sovranità. E infatti in una lettera a Mario Lodi scrive: “finché ci sono ostacoli da rimuovere, è segno che non a tutti i cittadini è ancora consentito di diventare sovrani”.
Ma è necessario chiarire che don Lorenzo non voleva affatto che i suoi piccoli montanari avessero lo stesso tipo di cultura dei signori. Voleva soltanto metterli in grado di affermare consapevolmente i valori della classe alla quale appartenevano. Quando i poveri avranno il possesso della parola, cambieranno il mondo con la forza della loro cultura nuova.
2. E, ancora, in un altro celebre testo, la Lettera ai giudici, don Lorenzo spiega meglio quale sia il compito della sua scuola: “…da un lato formare nei ragazzi il senso della legalità, dall’altro la volontà di leggi migliori, cioè di senso politico”
E qui in un colpo solo si sottolineano due aspetti fondamentali delle moderne democrazie: la necessità dell’impegno politico e civile e la differenza profonda che corre tra l’illegalità e l’obiezione di coscienza. In un passaggio molto conosciuto, don Lorenzo prospetta anche la possibilità di disobbedire alla legge. Ma, avverte, un conto è violare la legge per ricavarne vantaggi individuali, un conto è violare la legge di cui si ha coscienza che è ingiusta, disponendosi a pagare di persona: “..chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri”.
La scuola di Barbiana è stata, dunque, anche scuola di una metodica, ragionata disobbedienza alle leggi ingiuste. Certo ci si può chiedere con quale criterio si possa stabilire che una legge è ingiusta. E don Lorenzo fornisce la risposta nella Lettera ai giudici. “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è di obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte), essi dovranno battersi perché siano cambiate”. E’ una risposta che si ispira al Vangelo e alla Costituzione, cioè a due testi del sì sì, no no, per dire i due testi che parlano una lingua alta e chiara.
E anche questo insegnamento rivela una profonda adesione allo spirito della Costituzione: la legalità per don Lorenzo non consiste nella automatica e pedissequa aderenza al comando della legge, ma nella valutazione consapevole che essa non contrasta con la voce della nostra coscienza. Tuttavia si danno dei casi in cui la legge del Parlamento contrasta con i principi della Costituzione o, peggio, urta contro la nostra coscienza.
“E allora – scrive don Lorenzo– non c’è miglior scuola che disporsi a pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè, violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede”.
E qui abbiamo un’altra profonda coincidenza tra il richiamo alla responsabilità individuale di ciascun cittadino, fondato sul primato della coscienza individuale, e la centralità della persona umana scritta nella Costituzione. Si rovescia così completamente l’idea dominante dello Stato fascista, per il quale l’individuo era uno strumento dello Stato. Per don Milani e per la Costituzione invece la persona è posta al centro della vita sociale e collettiva, mentre lo Stato diventa lo strumento del pieno sviluppo della persona.
Ma la vera chiave del funzionamento della democrazia è che ciascuno si faccia carico di tutto, come diceva don Milani, che cioè sia consapevole della propria responsabilità politica e civile.Questa profonda convinzione, secondo la quale le democrazie vivono e prosperano solo se ciascuno di noi si fa carico degli interessi generali, ci tiene al riparo dagli egoismi, dall’individualismo, dal consumismo e “dalle mode”, come diceva don Lorenzo.
Qui, mi pare, sta la straordinaria attualità del messaggio di don Milani e anche la spiegazione del fatto che la sua figura ha assunto un rilievo sempre crescente nella società civile e laica, piuttosto che dentro la Chiesa: proprio perché si tratta di un messaggio politico, con il quale si chiede a ciascuno di noi di assumersi le responsabilità del cittadino sovrano.
3. Questo rapidissimo accenno ai tanti modi in cui la Costituzione veniva declinata a Barbiana non può tralasciare di accennare ad un tema che costituisce l’ossatura di quello straordinario libro di educazione civile che è L’obbedienza non è più una virtù. Parlo del tema della guerra o, se si vuole, del tema della pace. Nel trattarlo don Milani non parla da pacifista non-violento, ma parte dalla lettura dell’articolo 11 della C.: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Con lo sguardo all’articolo 11, don Lorenzo dimostra che tutte le guerre combattute dal nostro paese sono state contrarie allo spirito e alla lettera della Costituzione. La storia d’Italia, dall’Unità in poi, viene letta implacabilmente alla luce di quel verbo ripudia, contenuto nell’articolo 11 della Costituzione. In questa lettura si salva solo una guerra: quella partigiana di resistenza contro i nazi-fascisti.
Don Milani ci mostra poi come anche il linguaggio che noi usiamo comunemente (guerra giusta, aggressori e aggrediti, guerra difensiva, ecc.) appartenga ad un epoca che è tramontata all’indomani dello scoppio della bomba atomica. Proprio lo scoppio della bomba atomica nel 1945 segna un punto di non ritorno, perché l’atomica è una sciagura per l’umanità intera, non permette più di distinguere tra aggressori ed aggrediti, tra civili e militari. E conclude: “Allora la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una guerra giusta, né per la Chiesa, né per la Costituzione.”
Dunque non si deve più ubbidire alla logica della guerra, alla scelta di fare la guerra e agli ordini dei generali che vogliono la guerra. Scrive don Lorenzo: “A Norimberga e a Gerusalemme sono stati condannati uomini che avevano obbedito. L’ umanità intera consente che essi non dovevano obbedire perché c’è una legge che gli uomini non hanno forse ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità la chiama legge di Dio, l’altra parte la chiama legge della Coscienza.”
Questo richiamo al valore della coscienza, dal carattere fortemente laico, consente di superare non solo i confini delle patrie, ma ogni divisione tra gli uomini, ogni diversità di religione, di ideologia e di cultura. Il ripudio della guerra, però, è solo l’inizio: per don Milani, se si vuole costruire la pace, il vero volto di un paese non può essere rappresentato dalle spese militari, ma dalla scuola: fare scuola per costruire un mondo di eguali, nel quale le lotte per il riscatto dei poveri conoscono solo ‘armi nobili e incruente’ come lo sciopero e il voto.
Questo, dunque, è il senso profondo dell’articolo 11 C., secondo la lezione di don Milani: la pace è fondata sul rispetto dei diritti inviolabili di ogni persona, che ci impongono di dire che la vita di un solo uomo vale più di tutte le guerre.
4. Naturalmente il rapporto di don Milani con la nostra Costituzione non è tutto in queste poche cose che ho scritto. Ma anche queste poche ci fanno capire che il messaggio di don Lorenzo e della sua scuola è rivolto al nostro futuro. Ha detto padre Balducci: “don Lorenzo e Barbiana non sono più solo nel Mugello: hanno assunto il valore come di una immensa e mirabile metafora del tempo nuovo”. All’edificazione del tempo nuovo dà un contributo decisivo l’opera di quest’uomo che ha speso la vita al servizio dei più umili; che è stato capace di sconvolgere la ‘gente perbene’ e il ceto a cui apparteneva per nascita. Il suo modo di fare scuola non poteva poi non sconvolgere la scuola classista alla quale aveva rivolto la sua critica feroce.
Un uomo, infine, che è stato capace di mettere la Chiesa e la società di fronte alle loro contraddizioni, guardando nelle pieghe nascoste di cose che a tutti parevano naturali e denunziandone le insopportabili ingiustizie. Questa sua capacità di scoprire i lati più intimi dei fenomeni religiosi e sociali e di denunziarne spietatamente le miserie e i limiti, scuote da più di sessant’anni tutte le coscienze capaci di riflettere e di battersi per un mondo nuovo.
In foto: don Lorenzo Milani (a sinistra) con padre David Maria Turoldo