Dante 700: Prato esclusa, i pratesi si arrabbiano

Prato – Il 2021 è l’anno di Dante Alighieri il più noto tra i poeti italiani nel mondo, lui che definì sé stesso  “tosco” e non fiorentino perché si sentiva figlio di terra toscana nella sua accezione più ampia. Probabilmente c’entrano anche i rapporti  infelici con la sua Firenze, lui che come un moderno cantore,avendo offerto in dote il suo cuore ai Guelfi Bianchi, pagò questa scelta, mai rinnegata, a caro prezzo con l’esilio. Dante figlio d’usuraio sognò infatti sin da giovanissimo di appartenere al mondo dei nobili, dei letterati e dei politici fiorentini scontrandosi ben presto però con la dura realtà mista a corruzione, doppiogiochismo, odio e rivalità.

Dante fu anche l’uomo del dogma filosofico per eccellenza: “l’ipse dixit”di aristotelica memoria  era infatti il suo faro, ma al tempo stesso egli  si dimostrò uomo dei nostri tempi per l’uso sagace ed irriverente della penna con cui discettò di politica, di usi e costumi della sua epoca proponendo anche soluzioni. Nel “De Monarchia” ispiratosi probabilmente alla evangelica frase di Cristo “date a Cesare quel che è di Cesare a Dio quel che è di Dio” scrisse della divisione dei poteri: il temporale e lo spirituale della Chiesa, la cui commistione era destabilizzante per la società dell’epoca.

Ne parlò come due soli ovvero due entità di pari dignità ma separate. Si interessò alla diffusione,secondo lui ormai inevitabile, dell’uso del volgare definendolo “un amico necessario” quale strumento luminoso della nuova cultura. Non una disisti­ma del latino, ma il sottolineare la vanagloria di chi ancora nel suo tempo promuoveva cultura in latino. Anticipando con il “Convivio” quel divorzio tra il nuovo pubblico borghese e le consuetudini della scienza che imponevano l’uso della lingua classica.

Ma Dante fu soprattutto il poeta dell’amore, di quell’emozione così forte che lo spingerà a rendere immortale l’unica donna che lui abbia amato di un platonico amore scrivendo di lei nella “Vita Nova” e poi ne “La Commedia” che Boccaccio, altro illustre scrittore fiorentino leggendola, definì Divina e come tale essa è giunta a noi.

Un’opera che racchiude tutto il mistero filosofico e teologale del tempo, “l’incipit e fine”del sapere universale mosso dall’Amore che fa ascendere al Divino. E a 700 anni dalla sua morte si celebra  il Sommo Poeta con iniziative culturali che  si svolgeranno nell’arco del 2021,(in anticipo sui tempi la Lectio su Dante Alighieri  Ragione. Politica. Profezia, del Cacciari già a settembre 2020 presso la Certosa di Firenze), tra la Toscana, il Veneto e l’Emilia Romagna con incontri di studio a Ravenna dove riposano le sue ossa.

E messa una pietra tombale sulla querelle tra Firenze e Ravenna per il ritorno, che non ci sarà nel capoluogo fiorentino delle sue spoglie, resta,(ahimè!), da chiedersi come mai  al tavolo delle iniziative programmate coi Comuni toscani ed elencate in una conferenza stampa in Regione, non fosse presente il presidente dell’Anci Toscana Matteo Biffoni. E perché tra le 101 realtà – 94 Comuni e 7 aree geografiche (Lunigiana, Garfagnana, Casentino, Mugello, Maremma, Val di Chiana e Romagna toscana) – citate direttamente da Dante nei canti della Divina Commedia, non figuri anche Prato.

Eppure Dante passò in Prato (oggi terza realtà del centro Italia) e inserì i Conti Alberti, i “Conti Rabbiosi”, che contribuirono con le loro gesta alla storia della città, all’interno della Commedia dantesca. Dante, infatti, concedette loro il privilegio di comparire in tutte e tre le cantiche, alternandoli tra l’Inferno e il Paradiso. Ma non solo, sempre Dante in un paio di occasioni si rivolse con delle Epistole al cardinale Niccolò da Prato per evitare uno scontro armato contro Firenze, nonché l’invito accorato  ad impegnarsi per il ritorno della sede papale a Roma.

Foto: Matteo Biffoni

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