«Un uomo e un sacerdote fuori dal comune che con totale dedizione e intelligente abnegazione si è sempre speso in favore degli ultimi e dei più derelitti». Con queste parole Margherita Cassano, primo presidente delle Corte di Cassazione, ha voluto ricordare don Danilo Cubattoli, per tutti «don Cuba» o semplicemente «Cuba», sacerdote fiorentino di cui sono in corso le celebrazioni per il centenario della nascita organizzate dall’associazione in suo nome presieduta da Franco Lucchesi.
L’ultima iniziativa, una tavola rotonda su «La missione di don Cuba tra i carcerati – Il culmine di ogni giustizia è sempre l’amore», ha fatto seguito a un convegno su «Don Cuba e il cinema – Un amore al servizio degli altri», a una Messa e all’intitolazione di una strada a Firenze nella sua San Frediano.
Sul tema del carcere, oltre alla Cassano che ha inviato una lettera-messaggio, sono intervenuti lo psichiatra Massimo Scalini, l’ex cappellano del carcere di Sollicciano don Vincenzo Russo e l’ex cappellano della Dogaia di Prato don Leonardo Basilissi moderati dal direttore di «Toscana Oggi» Domenico Mugnaini, mentre l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, nel saluto iniziale ha citato uno dei rarissimi scritti in cui don Cuba parla di sé definendosi «prete, solo prete e sempre prete» in modo da poter «incontrare tutti in carcere e fuori».
Don Cuba era nato il 24 settembre 1922 tra gli olivi e le vigne del Chianti fiorentino, a Tavernelle Val di Pesa, nella parrocchia di San Donato in Poggio, in provincia di Firenze. Maturò la vocazione con il cardinale Elia Dalla Costa e fu ordinato sacerdote nel 1938. La vita da prete l’ha trascorsa sempre dalla parte degli ultimi. Si era fatto sacerdote, diceva lui stesso, «per quelli che il prete non lo vogliono». Aveva un dono particolare: sapeva portare il Vangelo nei luoghi più difficili. Per moltissimi anni è stato il cappellano delle carceri fiorentine. Insieme a Ghita Vogel e a Fioretta Mazzei, alla fine degli Anni Quaranta, aveva fondato l’Opera di San Procolo per giovani che avevano problemi con la giustizia e che provenivano da famiglie umili o disadattate.
Nel popolare quartiere fiorentino di San Frediano, dove Cuba ha vissuto ed è morto il 2 dicembre 2006 a 84 anni, i più anziani ricordano ancora quando negli anni della guerra don Danilo calava dalla finestra del secondo piano del Seminario, con una matassa di spago, un sacchettino di carta con dentro un po’ di pane o quel poco che da mangiare riusciva a recuperare tra i seminaristi aiutato, tra gli altri, da don Lorenzo Milani e don Renzo Rossi. Molti ricordano anche l’esuberanza, la prestanza fisica, la passione per lo sport, ma anche la profonda spiritualità e la fede autentica di questo prete all’apparenza così poco prete, che comunque ripeteva spesso: «Dio mi ama e tutto quello che mi succede, succede per il mio bene».
Ciclista provetto, amico di Gino Bartali (di cui era tifoso) e di Fiorenzo Magni, per le sue gare negli anni Cinquanta con gli amici di San Frediano si guadagnò anche una copertina della «Domenica del Corriere» con tanto di tonaca svolazzante. Nel 1954 salì fino sul Kilimangiaro perché voleva celebrare una delle Messe più alte del mondo. Doveva rimanere in Africa 15 giorni, ci stette sei mesi e incontrò il Negus donandogli un messaggio di pace dell’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Con uno spirito tutto toscano riusciva a mettere d’accordo, si direbbe, il diavolo e l’acqua santa.
Ma don Cuba era anche un appassionato di cinema. Una passione iniziale che approfondì grazie al gesuita massmediologo padre Nazareno Taddei. Seguendo le sue lezioni, instaurò con lui un rapporto di stima e di amicizia. Dal loro incontro nacque anche l’idea di portare il cinema in carcere. Don Cuba, in veste di cappellano, ci riuscì con successo, vantandosi di dare una possibilità di «evasione» dall’ambiente carcerario.
Per 30 anni è stato attivo e ha ricoperto incarichi di responsabilità all’interno dell’Acec (l’Associazione cattolica esercenti cinema), figurando anche tra i promotori del premio «Speciale Ragazzi&Cinema», che nell’ambito della Mostra del cinema di Venezia assegnava un riconoscimento al film più adatto a «migliorare il rapporto tra il cinema e i ragazzi».
Amico di tanti registi, è stato il principale artefice di un incontro tra i sacerdoti fiorentini e Roberto Benigni in occasione dell’uscita del film «La vita è bella».
Nell’ambito del convegno su «Don Cuba e il cinema», è stato anche ricordato che negli Anni Cinquanta, con l’aiuto di un giovane che distribuiva le pellicole ai cinema di Firenze, don Cuba riuscì a intercettare i film di prima visione, a farseli prestare e a farli vedere gratis ai ragazzi di San Frediano che non potevano permettersi il biglietto di una sala. Quando gli esercenti cinematografici se ne accorsero, capirono il valore educativo dietro la scelta del prete fiorentino e fecero un accordo per distribuire le bobine, le cosiddette «pizze», anche nei cinema di parrocchia, nei centri ricreativi o in carcere, per i poveri e i detenuti.
In foto da destra danilo Cubattoli con Ghita Vogel e Roberto Benigni