Lo sparpagliamento impressionante di fango motu improprio di stampo e dal sapore mafioso che la città sta da una parte subendo, dall’altra alimentando, una sorta di nemesi storica, non ha radici recenti, leggi gli ultimi decenni con le infiltrazioni malavitose e l’incontrollata espansione edilizia. Bensì molto più lontane. Ed è da ravvisarsi nella progressiva visione manichea della realtà che dal dopoguerra ad oggi ha caratterizzato la società locale. Infettando tutti gli ambienti intellettuali, politici, civili di questa e dell’opposta fazione.
Questa non sempre consapevole forma mentis attraverso la quale leggere i fenomeni anche più complessi (e necessitanti decisamente di approfondimenti più sottili rispetto alla scure divisoria o di qua o di là) un tempo era esclusivo appannaggio dei professionisti dell’antifascismo (la cui tenuta numerica è stata recentemente testata in un corteo alla presenza di pochissime centinaia di persone). Che hanno bellamente bollato, emarginato o “semplicemente” isolato tutti coloro che fossero rei di distinzione ed argomentazioni (si badi bene a volte vicinissime all’humus dei censori) contribuendo a creare un pensiero unico che non ammetteva (o non ammette) troppi distinguo. Nel contesto di una procrastinazione quasi secolare di un potere sempre in mano agli stessi, nel ricambio delle generazioni e delle tonalità dei colori partitici. Oggi invece (ma domani cambieranno dimensione) il sacrario della memoria dell’isola felice che fu è custodito dai professionisti dell’antimafia. Ma resta sempre lo stesso adagio: aut-aut.
In entrambe le situazione storiche, l’una figlia naturale e consequenziale dell’altra, la regola è il clima del sospetto, della delazione, dello sputtanamento: basta una foto impolverata che ti ritrae mentre sorridi e sullo sfondo la nuca di un futuro imputato di Aemilia che passa e va, che zac! sei irrimediabilmente coinvolto nel tritacarne mediatico disonorante. Con buona pace della razionalità spazio-temporale che dovrebbe sovraintendere le considerazioni tra uno scatto di dieci anni fa e la situazione processuale odierna.
Dalla nostra umilissima testata 7per24 abbiamo ammonito da subito le parti in campo a non cedere all’immediato gioco al massacro degli additatori delle colpevolezze altrui, abbiamo cercato di “istigare” al ragionamento, alla distinzione, all’eccezione non in veste di sfigati dottori Azzeccagarbugli ma di professionisti che vivono da tempo sulla propria pelle il loro argomentare a seconda di ciò che ritengono giusto. Senza alcun altro orizzonte o interesse che la propria (spesso errabonda) coscienza.
Se in queste delicatissime ed intricatissime vicende, a maggior ragione in una città piccola come Reggio dove tutti conoscono tutti e dove tutti, più o meno e prima o poi, hanno frequentato tutti, chi amministra, o chi ha gli strumenti per indirizzare l’opinione pubblica non fa esercizio quotidiano di distinzione tra opportunità (che afferisce la sfera individuale dell’etica personale) e ipotesi di reato, lo scivolamento da uno Stato di Diritto (dove dovrebbero valere regole per tutti) ad uno Stato Etico (ovvero declinabile a seconda delle convinzioni momentanee del soggetto) diventa inevitabile. Salvo poi trovarsi dal pulpito accusatore al banco degli imputati costretti ad applicare doppie quando non triple morali.
Anche nel caso delle legittime cordate pro-Vecchi (cui va tutta la solidarietà possibile) non si ricada nell’atavico errore di dividere Reggio in due, anti-mafioso chi solidarizza, mafioso chi chiede chiarimenti non strumentali (non certo quelli avanzati dal carcere da parte di un imputato). Se questa richiesta, sia ben chiaro, va nell’ottica di fugare ogni dubbio, anche il più fumoso, sull’operato di chi amministra la cosa pubblica. Perché ormai l’asticella dell’attesa morale è stata alzata ad un punto di non ritorno.
Noi cercheremo di continuare a tenere la barra dritta, laica e dialettica come non mai, difendendo anche chi manco conosciamo o, in certi casi, chi non ci entusiasma. Sapendo che, nella remota ipotesi le parti si invertissero, non subiremmo lo stesso gentile trattamento. Ma è proprio qui, e questa volta scusate la punta di malcelata immodestia, il cuore della nostra continua ricerca di onesta intellettuale.