Cop 28, cosa c’è di nuovo? Chiediamo a Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana e responsabile nazionale paesaggio per il Cigno verde, una riflessione sull’esito dell’incontro, ma soprattutto sulla questione delle novità emerse e della loro effettiva importanza.
“Cop 28 si svolgeva a Dubai, nell’epicentro del problema, non nell’epicentro della soluzione. Eravamo in casa degli Emirati Arabi Uniti, e quindi in casa dei petrolieri. La speranza che l’asticella si alzasse come sperato e voluto, come fortemente auspicato, lo dico con franchezza, non era molto consistente. Pur ammettendo che ci aspettavamo di più e senza esitare a definire l’esito finale molto timido, c’è comunque un’evidenza storica, che vi segnalo e che sottolineo con forza: la Transition away, la progressiva, graduale e inesorabile presa di distanza e quindi abbandono delle fonti carbon fossili è scritta nero su bianco dagli Stati, non più dalla Comunità scientifica. Perciò, quando qualche nostro commentatore dalle pagine dei giornali italiani dice che le cause della crisi climatica non possono essere individuate con certezza e con nesso di causalità nel sistema industriale e antropico, e quindi nella nostra specie, ovvero degli esseri umani, è clamorosamente smentita da tutti gli Stati del mondo e dall’esito del documento finale di Cop28″.
Si può parlare di una svolta?
“Intanto incassiamo un risultato di portata storica, ovvero che, nella casa dei petrolieri, si dice che al 2050 ci dovranno essere emissioni nette pari a zero, e che la colpa della crisi climatica è sicuramente delle fonti fossili. Ovviamente ci aspettavamo la parola “phase out”, abbandono immediato, mentre la parola emersa da Cop 28 è Transition away, abbandono graduale, ma pur sempre abbandono. Per questo, intaschiamo comunque un risultato di portata storica”
Ma perché è un risultato storico?
“I petrolieri hanno dovuto ammettere, su pressioni anche dell’opinione pubblica mondiale, soprattutto dei Paesi in Polinesia, Africa, Sud Est asiatico, ma anche nell’Unione europea che hanno fortemente spinto per questa dichiarazione, che è anche colpa loro e quindi che un pezzo consistente di responsabilità della crisi climatica nella quale siamo avvinghiati è del sistema petrolio. Si tratta di un passaggio epocale per niente scontato”.
Quali sono le conseguenze concrete?
“Diciamo ai nostri governanti, vista l’evidenza non più solo scientifica (mi riferisco ai rapporti dell’IPCC, in particolare all’ultimo, la cui lettura è particolarmente inquietante e in cui si dice che abbiamo sostanzialmente 5-6 anni per prendere contromisure che riescano ad assicurare l’abitabilità nel pianeta della nostra specie), che questa volta c’è un esito anche politico, perché Cop 28 sancisce che i 195 stati che l’hanno firmato dicono che, pur gradualmente, dobbiamo abbandonare il sistema sorretto dalle fonti fossili di energia. Questo significa che in ogni Stato, in ogni governo, in ogni articolazione locale degli enti statuali (regione, comune….) è necessario porre in essere cronoprogrammi stringenti sulla decarbonizzazione”.
La domanda che nasce è: cosa fa la Repubblica Italiana in questo senso? E la Regione Toscana? E le articolazioni comunali?
“Si tratta di una domanda che a cascata dovremmo porci anche noi cittadini nei nostri stili di vita quotidiani. Cosa faccio io cittadino nella mia vita quotidiana per emettere meno anidride carbonica in atmosfera? Se si lavora in modo coordinato e deciso per porre in essere entro il 2030 contro misure efficaci, forse il traguardo della decarbonizzazione completa entro il 2050 non è avveniristico, diventa possibile. Si tratta di rimboccarsi le maniche a tutti i livelli”.
Ad esempio, chiedendo misure precise a tutte le istituzioni?
“Esattamente, prima di tutto a quelle centrali. Il 65% delle leve su cui noi esseri umani possiamo pragmaticamente agire nell’immediato, sono le leve energetiche. Prima di tutto non sprecando energia, rendendo più efficienti e più efficaci i riscaldamenti e i raffrescamenti di tutti i nostri edifici. Si tratta di una partita cosmica, dal momento che è enorme e investe tutto il nostro patrimonio edilizio; poi, abbandonare le grandi centrali centripete, che attraggono investimenti di energia e ne consumano quantità esorbitanti, promuovendo al loro posto un sistema che è esattamente agli antipodi: centrato, democratico, reticolare, basato sui fabbisogni e sulle caratteristiche dei singoli luoghi. Eolico, fotovoltaico, laddove c’è il geotermico”.
Le comunità energetiche possono essere i pilastri del cambiamento?
“Le comunità energetiche sono un movimento dal basso assolutamente fondamentale e rivoluzionario, che si alimentano con impianti che sono di proprietà collettiva e il cui obiettivo primario non è fare business, bensì autoalimentare e rendere indipendenti energeticamente delle comunità insediate. Quindi si parte da qui: autoconsumo collettivo e comunità energetiche rinnovabili”.