Warren Buffett ha chiesto a Obama di tassare i suoi superprofitti; George Soros ha donato decine di milioni di dollari per lo sviluppo dei paesi dell’Est negli anni della transizione dai regimi comunisti. La Bill & Melinda Gates Foundation, il gigante della beneficenza con 35 miliardi di patrimonio del fondatore della Microsoft, e altri 31 miliardi in arrivo da Warren Buffett, ha investito 218 milioni di dollari in vaccini contro la poliomielite e il morbillo in varie parti del mondo, compreso il Delta del Niger.
Nel mondo globalizzato sono questi oggi alcuni esempi dei sistemi inventati dai grandi tycoon per salvarsi l’anima, vale a dire per restituire alla collettività qualcosa delle grandi ricchezze accumulate anche a sue spese. Soros, in particolare, è quello che si definisce uno speculatore. Vi ricordate la crisi della sterlina e dello Sme dell’inizio degli anni 90? Ecco, “l’attacco della speculazione”, come in genere suonano i titoli dei giornali in occasione delle grandi tempeste finanziarie, allora aveva anche un nome e cognome .
Questo pensiero agli speculatori in agguato che sono pronti a puntare sulla crisi del debito italiano o sulle miserie del bilancio greco sorge spontaneamente quando si visita la mostra "Denaro e Bellezza, i banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità" evento autunnale di Palazzo Strozzi. Una mostra da vedere perché i suoi ideatori hanno avuto una fortuna che capita raramente: la coincidenza temporale fra il progetto artistico culturale e lo svolgersi impetuoso e affannoso delle vicende umane. Se si vogliono capire i meccanismi di quanto è accaduto dal 2008 a oggi, dalla crisi dei sub prime negli Stati Uniti, alle irrisolte tensioni monetarie, agli investimenti delle banche nei cosiddetti derivati, cioè scommesse su titoli il cui andamento è riferito ad altri titoli in una spirale senza fine di economia di carta, vale la pena farsi un giretto alla mostra, concentrandosi su comportamenti, strumenti e genialità dei primi cambiavalute della storia dell'Occidente.
Dove per esempio si capisce bene come i grandi banchieri fiorentini facevano i loro affari, agli albori di una economia monetaria che era ancora pienamente al servizio della produzione e del commercio,quella che oggi si chiama, con un po' di nostalgia, economia reale.
Come risarcimento sociale per le grandi ricchezze accumulate, quei banchieri-mercanti si inventarono anche un’economia della bellezza che aveva il doppio vantaggio di ingraziarsi chi aveva il monopolio del perdono e del paradiso e di investire in oggetti d’arte il cui valore era inevitabilmente destinato a crescere. Non ci è dato di sapere se alla fine siano andati tutti in paradiso. E’ certo che le generazioni successive hanno potuto godere, grazie a loro, di un patrimonio meraviglioso di scultura, pittura, architettura. Buffett, Soros e Gates non lasceranno un’eredità di bellezza assoluta neanche minimamente paragonabile. Però forse hanno ragione loro a preoccuparsi meno dell’arte e più dei gravi problemi dell’umanità, le malattie, la povertà, la dignità umana, la difesa delle ricchezze naturali. Nella Firenze della fine del ‘400 la sensibilità per gli equilibri sociali era insufficiente (del resto i tempi non lo richiedevano) e alla fine partorì la crisi e le invettive savonaroliane. Come finirà oggi se i governi non intervengono a frenare il processo che approfondisce le disuguaglianze all'interno di società sempre meno solidali?