Nel mese di gennaio si sono purtroppo giá registrati nel nostro Paese tre casi di femminicidio maturati in ambito familiare. Prima Teresa Spanó e Giulia Donato e, nelle ultime ore, Martina Scialdone, avvocata esperta di diritto di famiglia, uccisa a Roma dall’ex compagno. Un triste segnale che non puó essere sottovalutato dal Governo Meloni che a novembre ha approvato all’unanimità il testo unificato per istituire una commissione bicamerale di inchiesta sul fenomeno del femminicidio e su ogni forma di violenza di genere. Anche perchè il numero delle donne uccise lo scorso anno,secondo gli ultimi dati, vede un aumento del 3% rispetto a quello passato.
Una lunga scia di sangue che non accenna a diminuire nel nostro Paese nonostante le norme e le leggi introdotte dal Codice Rosso a tutela delle donne vittime di violenza. Ma, come ha più volte sottolineato in diverse sedi il Giudice della IV sezione del Tribunale Penale di Roma Valerio de Gioia, ” il dato del femminicidio in Italia è ancora troppo alto a fronte invece di una riduzione degli omicidi che avvengono in Italia.E oggi, dopo gli auguri per l’anno nuovo, abbiamo già cominciato una triste conta per arrivare poi al 25 novembre di quest’anno in cui si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, per vedere se, rispetto a quello passato, numeri alla mano, ne avremo di più contenuti”.
Allora provocatoriamente il termine “femminicidio di Stato”, diventa la parola chiave perché la politica in Italia finalmente si accorga che deve nuovamente e drasticamente intervenire dopo l’importante introduzione nel 2019 del testo n.69 che disciplina la materia penale e processuale della violenza di genere,che non è stato purtroppo risolutivo e i fatti ce lo dicono.
Per arginare i fenomeni di violenza che avvengono soprattutto in ambito familiare servono al nostro Paese ulteriori e importanti riforme soprattutto nell’ottica della prevenzione a partire dalle scuole dell’obbligo. Perché è proprio ai bambini che va insegnato che il rapporto tra i sessi deve essere improntato al rispetto e non al possesso, unitamente a un cambio di passo culturale che sradichi l’idea che la donna possa essere considerata ancora oggi una proprietà dell’uomo al punto da toglierle la vita o cagionarle lesioni o maltrattamenti duraturi.
Soprattutto serve investire nelle associazioni e nei centri antiviolenza del territorio a cui le istituzioni del nostro paese non danno quegli aiuti economici necessari per aiutare le donne nei percorsi in uscita dalla violenza e prevenire la violenza maschile. Ci voleva la nota influencer Chiara Ferragni a sollevare il problema delle mancanze di risorse devolvendo,non senza polemiche, il suo cachet per la partecipazione a Sanremo all’associazione D.i.Re. -Donne in Rete contro la violenza. Dal palco dell’Aristo ella stessa parlerà di ogni tipo di violenza che le donne subiscono.
Perché non esiste solo la violenza fisica che è quella più evidente ma anche quella psicologica,economica, sociale, senza dimenticare il drammatico fenomeno registrato negli ultimi anni in Italia dei matrimoni forzati che ha mostrato al nostro Paese il fallimento tout court dell’inclusione culturale delle comunità straniere presenti in Italia che rimangono realtà sociali chiuse,retrogade,maschiliste,ancorate a valori distorti in cui il vero nemico è il patriarcato.La tragica morte di Saman, e prima di lei quella di Sana Cheema, Hina Saleem, Sanaa Dafani, tutte riconducibili al cosidetto delitto d’onore hanno messo in luce le difficoltà e le sofferenze delle seconde generazioni, ragazzi e ragazze che vivono una doppia vita: a scuola italiani, ma non in famiglia. “E per loro era necessario colmare un vuoto normativo”, così la deputata pentastellata Stefania Ascari che presentó lo scorso anno un Pdl con il nome Saman, “e perché non ci siano più in Italia altre Saman”.
Una Pdl sostenuta da Ebla Ahmed presidente dell’associazione Senza Veli sulla lingua, che da italiana musulmana ne aveva a suo tempo rivendicato l’importanza e che si costituirà con l’associazione parte civile nel processo Saman,pronta a sostenere questa battaglia di civiltà, “perchè Saman è la figlia di tutti noi”.
Intanto dal tribunale di Islamabad riguardo all’estradizione in Italia di Shabbar Abbas il padre di Saman, fuggito in Pachistan subito dopo l’omicidio della figlia insieme alla moglie Nazia Shaheen, fanno sapere che non si è svolta alcuna udienza a causa dell’assenza di un funzionario dell’agenzia investigativa pachistana. Tutto rinviato al 19 gennaio prossimo. Un duro colpo alla credibilità internazionale di un paese che sta compiendo diversi sforzi per promuovere un’immagine di sé più attenta sui diritti delle donne attivando quel processo di cambiamento sociale e culturale che a quanto pare necessita ancora di tempo per completarsi del tutto. Un tempo peró ancora incredibilmente lungo.
Foto: Martina Scialdone